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Fabio Felline
#9
L'intervista: Una personalità fuori dal comune - L'astro nascente Fabio Felline: «Son fatto a modo mio»
«Quando si va a scuola o si gioca a calcio, o si gioca a pallavolo, o si gioca a basket. A calcio avevo il piede a banana, a pallavolo non provavo soddisfazione, il basket era l'unico in cui riuscivo bene. Un giorno all'oratorio stavo facendo tiri liberi, quando passa un istruttore che aveva una squadra. Io gli dico: "Se faccio canestro da centrocampo tu mi prendi nella tua squadra?", e lui: "Fallo e poi vediamo!". Io sono andato a centrocampo, ho tirato... e ho fatto canestro. Avevo 8 anni. Lui mi dice di ripassare per l'iscrizione, mi presento alla società di giovedì con 100.000 lire ma non lo trovo perché stava male. Tre giorni dopo, non so se per questi fatti o no, mio nonno mi chiama: "Fabio, ti ho iscritto a una squadra ciclistica. Vieni alla presentazione". Non avevo mai usato una bici da corsa e tutti mi prendevano in giro perché ero cicciottello. Però io in bici ci andavo sempre, e senza rotelle sin da quando avevo 3 anni».

Comincia così l'avventura in bicicletta di Fabio Felline, ragazzo torinese che compirà 21 anni a marzo. L'anno scorso ha esordito tra i pro' con qualche timore da parte dell'osservatorio per la giovane età. Lui ha fugato ogni dubbio, dimostrando, specie nella prima parte di stagione, una maturità non solo fisica, ma anche caratteriale (ricordate gli spintoni con Carrara in Lorena?) insolita per un ventenne. Lo abbiamo intervistato alla presentazione del Team Geox e abbiamo avuto conferma di tutto questo: Fabio ha in sé la sicurezza e l'audacia dei vent'anni ma allo stesso tempo si dimostra serio e concreto. Se mantiene le promesse e se la Federazione non gli metterà ulteriormente i bastoni tra le ruote (leggete l'intervista per capire di cosa stiamo parlando) potrebbe diventare l'uomo nuovo che il ciclismo italiano sta aspettando.

Alla presentazione era presente anche Di Rocco: ha detto che non potrai correre per 2 anni nelle squadre italiane e in Nazionale per il tuo prematuro passaggio al professionismo.
«Mi sarebbe piaciuto parlargli ma è scappato via. In teoria il regolamento dice questo: i corridori italiani U23 possono passare professionisti se raggiungono un tot di punti e se corrono 3 stagioni UCI. Ciò in Italia significa un anno juniores e due anni da dilettante, ma la nostra è l'unica Federazione che li considera così. Tra l'altro tre anni UCI significa considerare due anni da juniores e non solo uno. Per le altre federazioni questa regola non esiste. Dopo la categoria juniores puoi diventare direttamente professionista. Se Di Rocco mi vuole punire per quello che ho fatto, ci sta che mi dia anche dieci anni di squalifica; ma a livello pratico, io quest'anno avrei potuto già correre i Mondiali».

Proponiamo un quiz: Alberio, Bertazzo, Cimolai, Felline, Guardini, Locatelli, Nizzolo, Pelucchi, Pirini, Presello e Viviani. Cosa ti ricorda?
«Compagni della Nazionale... su pista e su strada. E avversari».

Per la precisione, è la nazionale su pista juniores 2007. Di questi, solo Pirini e Presello non sono professionisti affermati, e solo in 3 sono rimasti in nazionale. Perché tutti gli altri hanno abbandonato?
«Dipende da ciò che offre il settore. Io per quale motivo avrei dovuto correre ancora in pista? Per chi? Per cosa?».

Beh, magari per pensare a un titolo Olimpico, come sta facendo Viviani o come fanno i giovani della Nazionale australiana e britannica.
«Io quest'anno ho chiesto alla squadra la bici da pista, perché volevo ancora allenarmi nell'inseguimento, per fare un lavoro propedeutico alla preparazione su strada. Invece mi è stato detto che non posso più partecipare ai raduni della Nazionale. Allora che faccio, pedalo da solo? Un corridore che ha già cominiciato su strada non può ritornare pistard, però può avere un programma che gli permetta di andar forte anche su pista. La Federazione però ti obbliga a determinati programmi incompatibili: ora, non posso rimanere venti giorni con la Nazionale per una prova d'inseguimento, quando ero nel giro della Nazionale era così. Da primo anno juniores ho fatto due mesi su pista, ma non credo che sarei andato più piano o più forte se non l'avessi fatta o se l'avessi fatta a modo mio. Perciò per il secondo anno ho messo davanti la scuola e ho rinunciato».

I tuoi studi, a proposito?
«Sono diplomato al liceo Economico-Aziendale, sono uscito anche con 90. Stavo pensando di proseguire gli studi ma col passaggio al professionismo diventava un po' complicato».

Voi della classe '90 siete tanti e agguerriti: Phinney, Sagan, Pinot, Matthews. Quale tra questi pensi ti darà più filo da torcere in futuro?
«Con Matthews non ho mai corso. Pinot non credo mi darà fastidio perché lo vedo come uno scalatore, ed a meno che in futuro non diventi scalatore anch'io non dovremmo scontrarci. Phinney è già più completo di Pinot, ma credo si specializzi a cronometro. I più simili siamo sicuramente io e Sagan, ci siamo scontrati già da juniores e da dilettanti. Di solito, quando la corsa era dura, io avevo la meglio su di lui. Però l'anno scorso ha fatto un salto di qualità notevole, superiore anche al mio: sarà la squadra, sarà il modo in cui viene seguito».

Secondo te qual è la peculiarità di Sagan? In cosa riesce a essere superiore agli altri?
«Sicuramente è molto sicuro di sé stesso. Certo, sa star bene in bici perché ha fatto mountain bike, ma senza gambe e testa non basta. La presenza della squadra fa parecchio; mentre lui era in ritiro al Passo San Pellegrino io mi allenavo da solo a casa».

Dunque non hai proprio compagni d'allenamento, in zona?
«A Torino non c'è nessuno. Certo, prima o poi dovrò andarmene, ma se a vent'anni devo già trasferirmi, a venticinque cosa dovrò fare? Allora io dico: per il momento vediamo dove riesco ad arrivare così, poi se non riuscirò ancora a trovare una persona di fiducia che mi segua prenderò decisioni conseguenti. In base alle offerte che riceverò potrei andarmene anche in America, per dire».

Il tuo contratto?
«Con Gianetti ho ancora tre anni di contratto, quindi solo dal 2014 potrei correre con un'altra squadra».

Com'è avvenuta la tua conoscenza con Gianetti?
«È stata una cosa molto semplice: avevo quindici anni. Ero allievo primo anno e stavo correndo una gara in Valle Antrona. C'era anche il figlio di Gianetti, che era allievo 2° anno, e il padre lo seguiva in ammiraglia. Era un arrivo in salita, o meglio 15 km di falsopiano, comunque piuttosto duro per degli allievi. Eravamo in fuga in cinque: a un km dall'arrivo il mio direttore sportivo mi chiede come sto e gli urlo: "Ho i crampi!". Sentito questo, il figlio di Gianetti è scattato... io gli ho fatto prendere cinquanta metri, poi ho messo il 53 e sono andato a vincere. In realtà non è che avessi i crampi, sentivo le gambe strane, però appena l'ho visto scattare mi son tornate le forze. Non è stata una furbata, insomma, anche se gli altri avranno pensato così. Al traguardo Gianetti mi ha presentato il suo biglietto da visita, dicendo: "Se hai bisogno, chiamami". Poco dopo, vinsi anche il primo Eco di Bergamo, così cominciò a farsi avanti la Vangi per gli juniores. Io non sapevo che fare: mio padre e mia madre mi consigliarono di chiamare Gianetti per avere dei consigli. Lui mi disse semplicemente: "Se stai bene a casa e ti piace dove abiti, allora che motivo hai di andare in Toscana?" E così sono rimasto a Torino. In Toscana mi offrivano molti soldi, ma mi hanno insegnato che i soldi non cambiano la vita. Avrei potuto comprare la Golf, la Punto, o la Mini, ma sarebbe finita lì. Ora, non ho la controprova, ma non è detto che lì sarei ugualmente passato professionista, forse mi sarei stufato prima. Io sono strano, non amo prendere ordini: non faccio i capricci su cose come l'orario della cena, però ho le mie idee sulla vita d'atleta e sulla preparazione. Non penso che siano le idee più giuste e so ascoltare, ma non faccio niente se prima non ho la prova, la certezza che sia giusto per me».

L'esperienza alla Bergamasca com'è stata? Da fuori sembra un ambiente diverso da quello solito dilettantistico, leggero e alle volte goliardico.
«A me è piaciuto molto perché c'era la giusta dose di professionismo, però su certe cose, come il diario della squadra, non sono mai stato d'accordo, per me è un'iniziativa di cui alla gente non importa e magari ci ride pure sopra. Però in termini di professionalità non ho nulla da ridire, anzi ci ritornerei subito. Non è estremo come ambiente, ma ti insegnano il rispetto, la puntualità, la preparazione. Se avessi un figlio lo porterei alla Bergamasca; ci sono Stanga, la Di Leo e Bevilacqua che con il professionismo hanno avuto a che fare».

Nicola Stufano - cicloweb.it
 
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Fabio Felline - da SarriTheBest - 13-09-2010, 03:11 AM
RE: Fabio Felline - da SarriTheBest - 02-02-2011, 05:03 PM
RE: Fabio Felline - da Tommeke23 - 02-02-2011, 06:30 PM
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RE: Fabio Felline - da SarriTheBest - 02-02-2011, 07:09 PM
RE: Fabio Felline - da SarriTheBest - 05-02-2011, 06:26 PM
RE: Fabio Felline - da SarriTheBest - 13-02-2011, 02:11 AM
RE: Fabio Felline - da SarriTheBest - 18-02-2011, 01:02 PM
RE: Fabio Felline - da SarriTheBest - 25-02-2011, 08:14 PM
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RE: Fabio Felline - da Luciano Pagliarini - 22-01-2012, 12:08 AM
RE: Fabio Felline - da SarriTheBest - 22-01-2012, 03:30 AM
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RE: Fabio Felline - da AlexXx 94 - 12-10-2014, 08:18 PM
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