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Martin Emilio “Cochise” Rodriguez
#5
(24-05-2018, 10:43 PM)OldGiBi Ha scritto: Ciao Morris, 
mi accodo qui, con la domanda di Paglia, ma su tutt'altri argomenti. 
Hai citato con stima Gianni Clerici (in un altro articolo), io qualche tempo fa avevo accennato a una tua narrazione alla Rino Tommasi (che ho sempre stimato molto), che tra l'altro oltre che di boxe sapeva molto di tennis. 
Mi piacerebbe qualche tua considerazione dall'interno sui grandi del giornalismo sportivo italiano, come i citati, ad esempio. Hai conosciuto Gianni Brera (che di ciclismo capiva il giusto ma era comunque sempre un piacere ascoltare)? 
Ci sono giornalisti sportivi della generazione più recente che stimi in particolare?

Poi una piccola curiosità: l'unico Morris che mi viene in mente è il grande fumettista belga ideatore e disegnatore (magnifico) di Lucky Luke, successivamente realizzato in collaborazione con l'altrettanto grande René Goshinny. Sei un appassionato di fumetti? 

Un carissimo saluto!

Clerici e Tommasi sono davvero due pietre miliari del giornalismo sportivo italiano. Clerici, come pochi in assoluto, ha sempre saputo fare letteratura. Diciamo che il tennis è stato, ed è, per lui,  uno strumento per narrare, approfondire, insegnare. Il tutto dopo aver steso orizzonti di fascino che bloccano nella più piena profondità, l’attenzione dell’ascoltatore o del lettore. Un fenomeno!
Tommasi, ha sempre posto nella precisione e nella sottolineatura, quel distinguo che ti chiarisce definitivamente gli epigoni dell’oggetto e ti esalta l’apprendimento. Statistico per insegnare, col dono di un’esperienza che non si insegna all’università, ovvero il rovescio dello sport da narrare: averlo praticato e, soprattutto, organizzato. Lo si potrebbe definire un “cantore della meccanica razionale applicata allo sport”. E visto che mi hai accostato a lui (te ne sono grato, anche se non lo merito), ti dirò che Rino coniò per Clerici il nomignolo di “Dottor Divago”, esattamente il soprannome che ha accompagnato lungamente la mia vita pubblica, prima nella politica e, poi, nello sport.
 
Gianni Brera non sono riuscito a conoscerlo di persona e mi dispiace tanto, anche se ho vissuto a lungo con la sua presenza a margine di palestre e piste d’atletica, grazie ai riporti di taluni  allenatori ex azzurri di questo sport, che lo avevano conosciuto dal vivo, quando era ancora, pur già famoso, una penna rampante e di riferimento dello sport italiano. L’atletica fu la sua culla, lo sport che ha librato il suo narrare unico, che si dischiudeva spesso in poesia e di atletica imparò presto a capire come pochi. E fu proprio sulle piste, allora di tenninsolite, che Brera affinò ulteriormente il suo naturale strumento di spinta verso i tasti dell’Olivetti, consistente nel porre a cornice del suo pensiero quell’antropologia culturale che, poi, il suo scrivere, trasformava in letteratura e saggi di filosofia pratica. Oggi uno come Brera, in virtù di questo costante approccio antropologico, rischierebbe di passare per razzista, omofobo e chi più ne ha più ne metta, quando, invece, andrebbe studiato al Liceo. È stato un grande, ed io continuerò a sentirmi fiero nel….. preferire, come lui, il calcio d’Argentina e d’Uruguay, piuttosto che il tanto decantato del Brasile….
I tempi di Brera però, erano pieni di grandi firme, di giornalisti narratori e letterati che hanno poco o niente da spartire con la rarefazione odierna. Per un motivo semplice. Allora il giornalista doveva necessariamente raccontare, perché i media erano pochi, estremamente parziali nel raggio di copertura, ed i ritmi della vita non imponevano ancora l’amplesso con la fretta. Il lettore voleva essere coinvolto, perché sovente l’articolo-racconto, era certo informazione, ma pure passatempo. Era un piccolo romanzo, o un film. Il giornalista che sapeva scrivere, poteva così accarezzare margini oggi impensabili, perfino romanzare senza stravolgere l’oggetto. Lo “scriba” del quotidiano o della rivista, rappresentava dunque un prodromo della cultura più generale prima ancora che sportiva, ed era composto da persone con attributi, capaci magari di buttare al macero un’occupazione, o un lauto incarico (con grande stipendio), per fedeltà ad un concetto di libertà prima ancora che di professione. Proprio Brera, da direttore della Gazzetta dello Sport, si dimise perché non accettò che la proprietà del giornale, lo considerasse filocomunista, solo perché aveva fatto benissimo il suo mestiere, inserendo in prima pagina il record mondiale del 5000 metri stabilito dal grandissimo sovietico Vladimir Kuts (tra l’altro un atleta che diverrà epocale). Infine, a completare l’opera di trasformazione (in peggio fino ad una sorta di neoplasia) del giornalista sportivo, la ricerca esasperata dell’effetto, dello scoop, magari spiegato nell’alveo del business. Ed è questo il tino che ha fatto traboccare la cisterna, fino al punto di spingere uno che ha scritto molto come me, ad esprimere fierezza per non aver mai accettato di fare il giornalista come mestiere. 
 
Ora però, vista l’occasione che mi dai, voglio menzionare alcune penne che hanno significato tanto nella mia formazione sportiva e culturale. Si tratta di grandi giornalisti, non così famosi come altri, a testimonianza del valore eccelso della loro generazione e di quanto siano stati fortunati gli over 60 come me. Sono cresciuto nella boxe con gli articoli di Giuseppe Signori, ovvero la penna monumento del pugilato non solo italiano (un po’ meno della vela). Bravo anche il figlio Riccardo, ma il padre scomparso nel 2002, era inarrivabile. Il recente e l’attualità della “noble art” comunque, è ben coperta dalla bravura di Dario Torromeo, Flavio Dell’Amore e Vittorio Parisi (che di professione è un direttore d’orchestra). Nell’atletica, voglio menzionare il monumento Dante Merlo, che ha significato tanto nella mia fanciullezza e il di questi figlio Gianni, classe 1947, prima firma d’atletica alla Gazzetta dello Sport, nonché Presidente dell’Associazione Internazionale della Stampa Sportiva. Nel tennis, ai celeberrimi Tommasi e Clerici vorrei aggiungere Ubaldo Scanagatta che è un bravissimo giornalista, perfettamente sulla breccia. Negli sport invernali, sciistici in particolare, devo molto a Rolly Marchi. Con stupore di qualcuno  e poi l’intera redazione dell’Unità anni ’60 -’70, giornale che era sì l’organo del Partito Comunista Italiano, ma aveva dei giornalisti sportivi di valore assoluto, degni ed in qualche caso pure superiori, alle testate sportive. Al già menzionato Giuseppe Signori, voglio aggiungere Bruno Panzera, Remo Musumeci, e quell’Attilio Camoriano che ha trasmesso sulle mie orbite l’idioma che ha fatto del ciclismo un protagonista della mia vita. Morì presto Attilio, e chi lo sostituì, Gino Sala, pur non valendolo, seppe divenire ugualmente un’icona del giornalismo di questo sport. Nel calcio sono cresciuto a pane e Alfeo Biagi, grande firma di Stadio, testata che è stato un delitto per la cultura sportiva degli italiani farla confluire nel perennemente deludente Corriere dello Sport. Ed io, interista, sono ancora qui a ripensare quanto fosse bravo, illuminato e preciso, il rossoblu Biagi, nei commenti sull’Inter. Arrivando compiutamente all’oggi, oltre a taluni di settore già menzionati, ci sono due nomi che stimo più di tutti: Gianni Mura e Marco Pastonesi. I motivi sono evidenti.
 
Perché Morris?
Non c’entrano i fumetti di cui son sempre stato poco appassionato, ma c’è una storia che si lega alla mia prima ragazza, che era ….statunitense.   
Frances, così si chiamava, mi disse che per lei ero e sarei sempre stato Morris. Quando le chiesi il perché, mi rispose che era il nome che mi rappresentava, perché l’aveva sognato ancor prima che io arrivassi col mio nome molto simile. Un giorno, mi fece promettere che il primo romanzo e la prima raccolta di poesie, le avrei dovute firmare Morris. E Morris l’ho usato sui libri ….anche se non per romanzi. 

Ciao!
 
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Messaggi in questa discussione
Martin Emilio “Cochise” Rodriguez - da Morris - 24-05-2018, 07:07 AM
RE: Martin Emilio “Cochise” Rodriguez - da Morris - 12-06-2018, 12:33 AM

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