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Eugenio Monti, il leggendario amante della velocità.
#2
Lo sport del mitico Eugenio Monti

Uno sport che si confonde con l’incoscienza, ma non è il solo. Protagonisti: uomini coraggiosi, ma sempre uomini che, nell’atto agonistico, si imbevono di un’alterazione palpabile, suprema.
E’ la paura…della paura che tormenta il cervello negli attimi prima del via. Serpeggia fino alle ginocchia. Opprime il petto e toglie il respiro. Offusca i sensi. Il bob é sul ghiaccio, i quattro pattini posano sulla corsia levigata che terminerà 30 metri più avanti, dopo di che saranno solo il pilota e il bob, a decidere la direzione. Un segnale dell'altoparlante avverte: la pista é libera. Le mani stringono la staffa all'estremità del bob, pronte a spingere. Un aiutante pulisce in fretta, con una spazzola, i chiodi d'acciaio sotto gli “spikes” del guidatore e del frenatore, le scarpe speciali che devono offrire la presa necessaria durante l'accelerazione iniziale nel canalone di ghiaccio.
Dal pulsare delle tempie si indovina il battito cardiaco, rapidissimo: tra i 100 e i 120 battiti al minuto, quasi il doppio del normale. II bob viene dondolato avanti e indietro di pochi centimetri, in modo che si formi una pellicola d'acqua sotto i pattini d'acciaio che misurano otto millimetri di spessore. “Pronti?” - chiede il pilota. Da dietro arriva la risposta: “Okay!”.
Poi si conta lentamente: “Uno, due, tre, viaaa!”. Quattro braccia spingono in avanti il bob, che pesa due quintali. Dopo quindici metri, la strana slitta tocca la prima barriera elettronica. Il contatto cronometrico scatta, l'orologio corre. Dopo venti metri, il pilota salta al suo posto. Le mani afferrano i passanti metallici che per mezzo di un comando a cavo, manovrano i pattini anteriori. Il bob avanza traballando, sempre sotto la spinta del frenatore che salta a bordo, soltanto quando il “siluro” acquista una velocità superiore alla sua. Dopo trenta metri anche lui (spesso un ex velocista o decatleta) é sul bob, si siede sistemando le gambe a cavalcioni del pilota e cerca le maniglie di sostegno saldate sul fondo della “strana slitta”. Davanti a loro, adesso, ci sono 1500 metri, 15 curve, un minuto intero. Comincia il salto nel vuoto. Ora non c'e più modo di fermarsi, nessun aiuto, nessun pedale del freno. Perfino la paura arriverebbe troppo tardi.
“Partire da su, arrivare giù. Il bob é uno sport da idioti” - disse Peter Hell, buon bobbista tedesco, poi divenuto giudice. “Sono dei pazzi” - esclamò Walter Rohrl, spericolato rallista e vincitore a Montecarlo, quando vide per la prima volta i bob sulle curve verticali ghiacciate di St. Moritz, mentre per il mitico Eugenio Monti, sono solo “uomini che rischiano e sanno di rischiare”.
Già, “partire da su, arrivare giù”.
II nostro bob intanto, arriva strepitando alla prima curva a sinistra dopo il via. L'altoparlante annuncia il tempo dei primi cinquanta metri, dato orientativo per il tempo complessivo. Il pilota e il suo secondo non sentono. I pattini d'acciaio rimbombano sulle scanalature di ghiaccio, il fondo metallico del “siluro” ingigantisce ogni rumore. Quando arriverà la prossima curva? Alberi e spettatori schizzano via. Le pareti di ghiaccio alte 50 cm a destra e a sinistra del canalone, sono come le mura di una prigione. Poi si spalanca il tunnel bianco. Il bob si impenna in verticale. La pressione colpisce i corpi come una martellata, li comprime sui sedili, spreme l'aria dai polmoni. Secondo gli scienziati, a questo punto la velocità è quattro volte quella terrestre, 4g nel linguaggio della fisica. Respirare, respirare forte per evitare l'asfissia.
Il bob vola verso la parete successiva. Il battito cardiaco sotto la sottile tuta aerodinamica supera le 200 pulsazioni al minuto.
Sono valori che i piloti di Formula 1 raggiungono in pista. Come loro anche alcuni bobbisti prendono i “beta-bloccanti”, pillole calmanti per la circolazione sanguigna, comprese nella lista del doping. “Un buon guidatore deve essere freddo come il ghiaccio” - disse Wolfgang Zimmerer che, con quattro medaglie olimpiche e quattro titoli mondiali, é stato il miglior bobbista tedesco. Ed essere freddi significa padronanza dei nervi, calcolo cosciente del rischio. Prima del via i piloti si appartano in qualche angolo tranquillo. Si astraggono completamente e, ad occhi chiusi, ripercorrono mentalmente il percorso fino al traguardo. Più di un driver, orologio alla mano, ha cronometrato al decimo di secondo questa discesa immaginaria, perché dopo, in pista, non c'e più tempo per pensare.
Il bob é sempre più veloce, l'altoparlante annuncia i tempi intermedi. Ai bordi del “canalone ghiacciato” ci si chiede: dove avrà perso quel centesimo di secondo? Ha toccato una parete? E’ entrato in curva troppo alto o troppo basso? Sempre Zimmerer disse: “Una corsa perfetta non esiste. A sinistra, a destra, un paio di metri avanti, é come trovarsi dentro una lavatrice in funzione e guardare fuori dall'oblò. La velocità annebbia ogni percezione”. Nel 1981 a Lake Placid, gli austriaci Manfred Stengel e Otto Breg, scivolarono sulla testa per alcune frazioni di secondo in una curva. II bob si era capovolto. Al traguardo avevano dimenticato tutto.
La maggior parte degli incidenti finisce senza grossi danni, anche se agli spettatori possono sembrare catastrofici. Tuttavia, sulla pista di St. Moritz, durante i campionati europei 1984, un errore di manovra nella curva del traguardo, stava per costare la vita al tedesco Gaisreiter. Tre settimane prima, lo stesso, si era capovolto nello stesso punto. “Lo shock non passa tanto in fretta” - affermò dopo.
Nella storia del bob ci sono una quindicina di morti. La pista di St. Moritz ha mietuto due vittime e numerosi feriti gravi. Nel 1968, il copilota dell'austriaco Werner Dellekarth, si ridusse in brandelli il viso, nel 1976 fu amputata la gamba sinistra allo svizzero Peter Berner, nel 1977 l’austriaco Fritz Sperling, in una caduta, si ferì gravemente la testa.
“Le cadute fanno parte del gioco” - affermò Walter Graf, a quei tempi direttore della pista di St. Moritz. Poi, forse per difendere passione e mestiere, aggiunse: “Questo inverno su 2218 partenze, le cadute sono state solo 31”. A Lake Placid, sulla pista probabilmente più veloce, le cadute sono, invece, all'ordine del giorno. Nel “canalone ghiacciato” lungo 1557 metri, sono morti tre bobbisti, uno dei quali, nel 1966, fu l’allora campione mondiale, l’italiano Sergio Zardini. Verso quella pista, fra gli amanti dei “siluri” del ghiaccio, si vive una forma di sacro rispetto, un eufemismo per non dire, direttamente, di paura.
Sulla pista olimpica di Lake Placid, ai margini della famigerata sequenza di curve, alte 3 metri e con una pendenza di 80 gradi, soprannominata non a caso “l’ingresso dell’inferno”, per tanti anni, ogni gara di bob, trovò il suo “Caronte” particolare, nelle vesti della fotografa dilettante Kay Jones. Con la macchina fotografica in mano, costei, antiquaria di professione, aspettava di poter scattare la foto del misfatto. “Lo sento subito – diceva - se questi ragazzi fanno un errore e allora scatto la foto”. Il mattino dopo vendeva ai bobbisti ad un prezzo di favore, le foto dell'incidente. Proprio la veterana delle cadute fotografò i due austriaci Stengel e Breg mentre volavano a testa in giù e anche l'ultima corsa dell'italiano Zardini.
[Immagine: Bundesarchiv_Bild_183-1990-1220-018%2C_A...l_Jang.jpg]
La corsa intanto continua. Il frenatore, che non può frenare, nasconde la testa dietro la schiena del pilota. Il vento non deve trovare la minima resistenza: si sono vinte o perse della gare per questo sottilissimo motivo creatore di differenze in millesimi, a volte centesimi di secondo. I due corpi si piegano in sincronia nelle curve, formando il giusto angolo con la pista. Dei buoni frenatori possono correggere gli errori di manovra del pilota spostando velocemente il proprio peso. In questo, era particolarmente bravo Peter Utzschneider, che per molti anni fu il frenatore, proprio del più volte citato Zimmerer.
Nelle piste di ghiaccio artificiali, lisce come specchi, costate cifre da palazzetti di pregio, a Konigssee o a Winterberg, a Innsbruck o a Oberhof, il tempo perduto per un errore di manovra non si recupera più. I veterani di questi “canali di ghiaccio”, inseriti a forza di colate di cemento nel paesaggio e che perfino con una temperatura esterna di 15 gradi, con i loro refrigeranti, garantiscono la gelida avventura, li chiamano “Autostrade”. Invece, le piste naturali, come St. Moritz o Cortina d'Ampezzo, assomigliano a strade selciate, ma offrono ai buoni piloti la possibilità di fare delle correzioni, perché si deve manovrare di più.
Il bob, la “strana slitta” o il “siluro” del ghiaccio costa caro. Per una stagione si può spendere per manutenzione e attività, una cifra anche superiore a quella d’acquisto. Il leader dei costruttori è l’italiano Sergio Siorpaes, antico grandissimo frenatore del mitico “Rosso Volante” Eugenio Monti. Un bob a due costa sui 7-8000 euro ed un bob a quattro circa il 35% in più. 
Sono passati un minuto e dieci secondi dal via. Settanta secondi di acrobazia su quattro sottilissimi pattini. Manca soltanto la curva d'arrivo e poi la dirittura del traguardo, dove gli occhi elettronici del cronometro si chiudono per un attimo. “Stop!” urla il pilota. Dietro di lui, per la prima volta, vengono azionate entrambe le leve dei freni verso l'alto. Sotto la parte posteriore del bob che avanza rollando, un rastrello d'acciaio si conficca nel ghiaccio frantumandolo. Una pacca sulla spalla al pilota. I capelli sotto il casco sono bagnati come dopo una doccia, il respiro affannoso disegna nuvolette nella fredda aria invernale. Ma la paura è passata.
 
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RE: Eugenio Monti, il leggendario amante della velocità. - da Morris - 02-12-2018, 12:31 PM

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