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Jacques Anquetil
#5
Anquetil e la famiglia: le rivelazioni della figlia Sophie. 
Quando scrivevo il libro su Baldini, sua moglie Wanda, me lo aveva accennato, ma non aveva volutamente mai approfondito il discorso, per non ferire la privacy della famiglia Anquetil. I contenuti non mi erano comunque sconosciuti: troppe interlocuzioni in Francia e qualche lettura un po’ strana, mi avevano fatto capire quanto l’anomalia del nido famigliare d’Anquetil, non fosse leggenda aggiunta al leggendario percorso del campione. Alla convinzione ci fosse del vero, s’è poi aperta e sommata, come prova, la voce, virtuosa e fuori dagli schemi, della figlia maggiore di Jacques, Sophie. 
Costei, nata nel 1972, nel 2004, ha dato alle stampe un libro, “Pour l’amour de Jacques”, che è da considerarsi la storia, per la gran parte inedita, della sua famiglia. I contenuti dell’opera, vissuti in Francia col “modus normal” di un paese non soffocato dal “bacchettonismo iperipocrita” tanto tipico dell’Italietta, ci riportano un Anquetil fascinoso a 360 gradi, anche sul piano delle intimità, insomma un personaggio totale. 

Già le sue origini, che ebbero genesi dalla relazione mozzata dagli eventi, di una nonna, Augustine Melanie Anquetil, con un ufficiale prussiano, paiono come un fatto propedeutico che Sophie, nella sua narrazione, riesce ad intingere su orizzonti sociologici ed antropologici, e poi lui, il campione che mai s’è cosparso di banale, ha spinto il resto... 

“Sono stata una bambina con due madri, una di loro era figlia dell'altra, e per 15 anni le mie due mamme hanno vissuto sotto lo stesso tetto e papà su due letti” – racconta Sophie, parlando della sua origine, con l’incanto dell’amore verso il padre, non con l’odio o il risentimento che si potrebbe considerare legittimo o plausibile, nell’evidenza che poi saprà narrare. 

“Papà Jacques – prosegue – era un uomo capace di ammaliare come nessuno, aveva un fascino magnetico che circoscriveva il cuore delle donne, era una fortuna averlo conquistato”. 

Già, proprio come s’evince dal titolo del libro….. 

La storia riassunta è questa. Il giovane Anquetil, giunto agli altari dello sport appena diciottenne, conobbe Janine, la moglie del suo medico e se ne innamorò. Una relazione impossibile? Non per Jacques, che gettò sui sentimenti tutti i virtuosismi e le imprese che poteva compiere il suo talento, fino a conquistarla e, sei anni dopo, a farla divorziare e sposarla. L’anno era il 1958, uno dei più feroci, in Italia, per la storia simile di Coppi e la sua Dama Bianca. 
Janine, bellissima giunse al “Sì” a 30 anni, sei in più di Jacques e con la consapevolezza di aver subito un’operazione che il marito aveva reso irreversibile, non si sa quanto volutamente o per linea di destino: ella sapeva che non poteva avere più figli. Due però li aveva avuti col medico, Alain e Annie e se li portò con sé a casa di Jacques, in quella che diverrà dimora da fiabe per bellezza architettonica e per appellativo: la Villa degli Elfi, in Normandia, a due chilometri da La Neuville-Chant-d'Oisel ed a 17 da Rouen. 

Fra Jacques e Janine tutto filò liscio, in armonia, fino a quando, dopo la fine della carriera, Jacques sentì il bisogno di quel figlio che la moglie non poteva dargli e lei, per amore verso il marito che pareva aver fermato il tempo, "regalò" ad Anquetil la figlia Annie. Ne nacque un rapporto a tre, con Janine consenziente alle fughe di letto famigliare, per quell’evento che tutti attendevano e che, nel 1972, si concretizzò con la nascita di Sophie: una femmina, dunque, che non avrebbe mai potuto portare l’agnomen Anquetil. All’esterno, la piccola era la figlia di Janine, mentre all’interno della villa, il triangolo strano, continuò negli anni e si prolungò fino ai primi anni ottanta, quando Annie, la figliastra mamma della figlia del campione, non accettando più quella situazione così particolare, minacciò di andarsene. Jacques, per non perderla, la elesse a favorita-regina della Villa degli Elfi, e ciò provocò la furiosa reazione di Janine, che chiamò a raccolta, nella dimora normanna, anche gli altri di famiglia a conoscenza del triangolo, ovvero il figlio Alain con la moglie Dominique e il piccolo nipote Steve. Lo scopo: far godere a tutti i beni dell’ormai non più giovanissimo Anquetil, senza far uscire nulla all’esterno. Ma il campione, già più che cinquantenne, consapevole di tutto e di tutti, il vizietto non lo perse e la sua reazione non tardò. Col solito magnetismo sedusse e fece innamorare anche la bella e giovane Dominique, provocando così, nell’inorridito fino ad un certo punto, la fuga di Janine, dei figli Annie ed Alain (che divorziò da Dominique) e della nipotina Sophie. La nuova coppia, assieme al piccolo Steve, visse un breve periodo nella Villa degli Elfi, ed ebbe anche il tanto ricercato figlio maschio, Christopher, nato nel 1986, un anno prima della veloce malattia allo stomaco, che si portò via Anquetil. 

“Mia nonna Nanou (Janine), mia madre Annie, mio padre Jacques, io li amo tutti da sempre - scrive Sophie nel suo libro - e questo amore continuerà. Non ho niente, davvero niente da rimproverare loro. Non gliene voglio. Mi hanno dato la forza di essere quello che sono nella mia vita, con passione e amore. Io li amo tutti, da sempre”. 

A quanto pare, nemmeno gli altri di quella strana famiglia. Qualcuno penserà ai soldi come collante, altri ad una versione dell’amore, ma tanto è, perlomeno a quanto ci è dato sapere dal racconto e dal dichiarato. 


Non mi spetta e non voglio giudicare le scelte e la vita famigliare di Anquetil, mi limito a dire che se una storia simile fosse stata consumata da un campione o un “vip” italiano, sarebbe successo il finimondo, ma a noi italici piace l’ipocrisia, anche per ragioni papaline. E così, grazie a questo retroterra penoso, la Sacra Rota ....può annullare come non consumato il matrimonio con due figli di un mio amico grande tecnico.... Sì, un’altra chiave delle tragedie dell’Italietta....delle banane..... 

Le rivalità… 
Se sviluppassi modus e pathos delle rivalità vissute da Jacques, allora questo thread diverrebbe un libro....... 

Mi limito ad accennare quelle coi connazionali in ordine di nascita, ovvero con Luison Bobet, Roger Riviere, Henri Anglade. Mi dilungherò un poco solo con la quarta, la più importante e la più lunga: quella con Raymond Poulidor. I francesi, in gran maggioranza, parteggiavano per “Poupou”, per la loro facilità a scegliere l’amore e il tifo verso il più debole. Già, perché se Raymond non era inferiore a Jacques in salita (perlomeno per quel che Anquetil ha dato vedere), gli era troppo inferiore a cronometro, nonostante le sue indubbie valenze contro le lancette. 

Erano diversissimi i due: Poulidor, concreto e attento alla quotidianità del corridore, mentre Jacques era anticonvenzionale ed amante della vita, soprattutto a tavola. Anquetil si faceva cambiare il sangue in Svizzera ad ogni fine anno, perché inquinato dalle amfetamine? E’ vero, ma se le anfetamine erano metodica di tutti, solo il normanno vi aggiungeva una quotidianità fra champagne, ostriche, lumache, arrosti e pane. In altre parole Jacques si permetteva cose che per i colleghi erano dell'altro mondo. Resta il fatto, inconfutabile, che il preciso ed onesto “Poupou”, doveva soccombere di fronte al normanno dai tanti slanci autoctoni. Ma in fondo questa non è altri che una legge suprema dello sport, nonché variabile che va gustata senza sfregiare nessuno: il talento abbondante, sta sempre o quasi, dalla parte di chi non ha bisogno di programmarsi oltre ogni dove per vincere. Magari, gente del genere, s’ammazza prima, o non giunge sull’olimpo, ma l’insieme di quello scherzo di natura che forma il convenzionale talento, rappresenta per chi scrive, lo stimolo maggiore per amare lo sport come forma artistica: sì proprio da poeta maledetto. 
Ed è stato lo stesso Anquetil a darne un estremo segno, due giorni prima di spirare, quando l’onesto e pur grandissimo Poulidor, lo raggiunse al capezzale per salutarlo. Jacques, come vide Raymond, gli disse: “Eh caro Poupou, anche stavolta sei arrivato secondo!”.


 Cosa han detto di Anquetil i suoi avversari…
Anche qui l’elenco sarebbe lungo. Mi limiterò, dopo il tanto riportato di Baldini, a qualche battuta di un paio di corridori che ho conosciuto e conosco bene: Charly Gaul e Arnaldo Pambianco, me ne parlarono insieme, in una di quelle cene, dove i sapori donano a storie e ricordi, humus ed ore piccole, davvero particolari. 



Charly Gaul. 

"Quando battevi Jacques, sapevi di aver fatto un’impresa e quando non ci riuscivi, ti rimaneva sempre la convinzione di essere stato forte, fortissimo. Non aveva il fascino in corsa di un Coppi, perché all’italiano spettava una leggenda, magari favorita, aldilà degli eccelsi meriti, dal calore che avete voi in Italia. Anquetil però, non gli era molto distante, nonostante i tempi che stavano rendendo tutto più meccanico e quando te lo trovavi a fianco, sapevi che accanto a te c’era un monumento. Jacques mi temeva, ed io ne ero orgoglioso, era un avversario leale contrariamente a Bobet. Proprio le considerazioni del francese erano un vanto che esibivo a Bahamontes, che lo poteva staccare solo in salita, mentre io lo impegnavo allo spasimo anche a cronometro". 



Arnaldo Pambianco. 

“E’ vero quello che dice Charly, Anquetil lo temeva come nessuno, e fu per me un onore aldilà della grandezza di conquistare un Giro d’Italia, averli battuti entrambi nel 1961. Jacques temeva lui convinto di controllare me, invece, gli feci uno scherzetto. In corsa era un faro, ed anche coi suoi gregari era signorile, ma aveva una tempra molto forte che diveniva evidente e persino strafottente, quando sapeva di stare benissimo, al punto di permettersi qualche piatto in più anche durante un Giro, o un Tour. Nonostante quel che ha vinto, sono sicuro che Jacques poteva vincere di più, soprattutto le classiche, se si fosse risparmiato un poco quando non era in bici e se avesse considerato gli altri traguardi del ciclismo, al medesimo livello delle grandi corse a tappe. Ha vissuto spesso di rendita dietro le cronometro, ma ne aveva anche per fare delle imprese. 



Charly Gaul. 

“Certo, e le fece pure. Ricordo la Gent Wevelgem nel ’64. Ero fermo per quella maledetta operazione di appendicite e lo vidi in TV, quando, da superiore, si lasciò alle spalle tutti i belgi, compresa la guardia rossa di Van Looy. Anche la vittoria nella Bordeaux Parigi è stata devastante. La ricordo perché partecipai al Delfinato ’65, che fu anche una delle mie ultime corse, dove mi ritirai all’ultima tappa. Lì, Anquetil, volava. Quando mi disse che sarebbe andato a Bordeaux, gli dissi che era una pazzia arrivare in tempo…. Invece, la corse e la dominò. Anche la Liegi-Bastogne-Liegi del ’66, che non vidi perché avevo chiuso col ciclismo in tutto e per tutto, me l’hanno dipinta come una grande impresa. 



Arnaldo Pambianco. 
“Già, fece di quella classica una cronometro, e seppellì tutti di minuti”.


Maurizio Ricci detto Morris
 
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Jacques Anquetil - da Francesco G. - 05-11-2010, 10:14 PM
RE: Jacques Anquetil - da Danilo M. - 28-07-2013, 02:23 PM
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RE: Jacques Anquetil - da Morris - 13-01-2018, 12:33 AM
RE: Jacques Anquetil - da Danilo M. - 13-01-2018, 12:51 AM
RE: Jacques Anquetil - da Luciano Pagliarini - 13-01-2018, 01:51 AM
RE: Jacques Anquetil - da Luciano Pagliarini - 14-01-2018, 08:20 PM

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