02-07-2013, 01:23 AM
Tra le tante di quello che è stato il mio primo idolissimo indiscusso, Michele Bartoli, scelgo senza ombra di dubbio la Liegi del 1997. La forza d'animo e la ferocia agonistica con cui sgretolò la coppia Once Zulle-Jalabert lavorandola ai fianchi e il modo irrisorio con cui staccò quest'ultimo all'ultimo km me lo fecero entrare nel cuore. Seguivo questo sport da appena un anno, e da allora decisi che quello doveva essere il mio modo di approcciare al ciclismo, il mio metro di paragone nei confronti di tutti gli altri corridori. Mi conquistò, non so come spiegarlo, il suo lato estetico: il suo modo di stare in bici, di pedalare, perfino di esultare. In più, ed è un particolare da non trascurare, aveva un modo di porsi estremamente gentile ed educato. Era (è, visto che nelle interviste e negli interventi che fa da ex corridore dimostra di essere ancora la splendida persona che era quando aveva ancora il numero sulla schiena) la modestia fatta persona, nonostante potesse vantare un palmares per avere il quale tre quarti del gruppo, all'epoca e attualmente, avrebbe donato un rene. Un campione buono a cui è mancata solo l'incoronazione della maglia iridata per diventare definitivamente una leggenda (anche se per me lo è e lo sarà sempre), e se quel maledetto giorno non si fosse fracassato un ginocchio in Germania, posso mettere la mano sul fuoco che un Mondiale, almeno uno, l'avrebbe vinto. Grande Michele, mi hai iniziato al Ciclismo con la C maiuscola.