30-01-2013, 07:14 PM
Pozzato, un classico per le classiche
«Dalla Sanremo in poi voglio essere al top»
In pratica ha fatto le vacanze come molti impiegati, nel mese di agosto, anche se ha impiegato il suo tempo per fare del bene, per darsi da fare e rendersi utile al prossimo. Poi è tornato alle corse, dopo l’amarezza di uno stop durato tre mesi, che gli ha impedito di correre sia le Olimpiadi di Londra che il Mondiale di Valkenburg.
«Non essere stato a Londra mi ha pesato parecchio - ci racconta Filippo Pozzato, 32 anni, neo acquisto della Lampre Merida, alla vigilia della sua quattordicesima stagione da professionista -. Uno stop duro da accettare, ma che ho affrontato con la serenità di chi sa di aver commesso un peccato veniale. E allora, invece di stare con le mani in mano, ho deciso di mettermi in discussione e mi sono reso utile per qualcosa di più importante anche di un’Olimpiade, che per altro non ho seguito. Ho accettato l’invito di don Marco Pozza e sono andato con lui in Kenya e più precisamente a Nyahururu, famosa per le sua cascate (Nya - acque che fanno rumore - hururu). Ci sono stato ai primi di agosto, mi sono fermato lì per due settimane. E sono stato felicissimo di averlo fatto, di essere stato all’equatore, dove ho avuto l’occasione di passeggiare tra le foreste, habitat naturale di elefanti e babbuini, e dove i volontari di Unimondo stanno piantando una foresta che conta già 33.333 alberi a compensazione. Che significa? Parte dell’anidride carbonica che noi produciamo quassù in Italia viene compensata con la piantumazione di nuovi alberi all’equatore come stabilito dagli “accordi di Kyoto”. Monumenti utili un domani a frenare l’avanzata del deserto rafforzando il sogno di Wangari Maathai, già premio nobel per la pace».
Pippo parla fluido, senza esitazione, si capisce che questa esperienza l’ha segnato e non rimarrà isolata.
«Dei problemi che hanno laggiù se ne parla spesso, ma un conto è sentirne parlare, un altro è andare a toccare con mano. Sono entrato in punta di piedi presso la casa “Thalita Kum”, una struttura nata per l’accoglienza di bambini con Hiv Aids e con poche speranze di vita. Ho visto ragazzi malati che sperimentano ogni giorno la fatica della salita ripida, sulla cui cima non vi è alcun traguardo, se non quello della morte. C’è poco da dire, molto da fare. Io ci tornerò anche quest’anno».
Pippo però non si sente vittima di una ingiustizia, la sua frustrazione l’ha cancellata con qualcosa di più concreto e nobile.
«In Kenya mi hanno detto. “son sempre gli alberi più grandi ad essere abbattuti”, ma io davanti a certe realtà e a certe storie mi sono sentito un ramoscello, non un albero grande e maestoso. È una questione di prospettiva, dipende da che punto ti metti ad osservare. Andando in Kenya ho imparato a guardare il mondo in un modo diverso».
Il suo mondo ora è tornato ad essere il ciclismo. In verità è tornato ad esserlo già dal 26 settembre dello scorso anno, giorno della Milano-Torino. Questa è stata la corsa dei ritorni: sia della corsa più antica d’Italia, che dopo cinque anni è stata rilanciata dall’Ac Arona di Antonio Bertinotti (per tre anni l’ha presa in affitto dalla Gazzetta dello Sport, ndr), sia per Filippo Pozzato, che con il dorsale numero 121, a più di tre mesi dall’ultima corsa, il Giro di Slovenia, è tornato alle competizioni.
«È stata una bella sensazione tornare a pedalare nel gruppo, anche in quell’occasione ho capito cosa significhi essere privato di quello che più ami fare. Non correre, non competere è stata una cosa molto dura da accettare, ma ora questo fa parte del passato. Ora voglio solo metterci una pietra sopra e pensare a quello che andrò a fare con la mia nuova squadra, con la mia nuova maglia, con la mia nuova bicicletta…».
Alla fine alla corte di Beppe Saronni ci sei arrivato…
«Sì, non nego che in passato tra noi ci sono anche state delle frizioni, delle incomprensioni, qualche battuta da parte sua che non mi è andata giù, ma alla fine poi ci siamo chiariti, capiti e compresi. Beppe non è uomo che le manda a dire, come il sottoscritto. Però io preferisco le persone che le cose te le dicono in faccia, non alle spalle. Dopo il Mondiale di Geelong era stato molto duro e io non avevo assolutamente gradito quello che lui aveva detto sul mio conto, ma non ci ho girato tanto attorno: io l’ho affrontato, lui mi ha spiegato le ragioni della sua critica, io ho ribattuto punto per punto e tra noi è tornata la stima, che in verità forse non è mai venuta meno».
Cosa ti ha convinto del progetto Lampre Merida?
«Io ad una squadra chiedo di credere nel sottoscritto. Non mi piace essere uno dei tanti, mal sopportato. Contrariamente a quanto si possa pensare, non è stata assolutamente una questione di soldi, ma di programmi. Beppe mi ha proposto un contratto triennale, la Lampre Merida crede nel sottoscritto e a questo punto sta a me ripagarli con una buona stagione».
Com’è stato il tuo inverno?
«Sono stato negli Stati Uniti. Prima cinque giorni, ai primi di novembre, a New York con Andrea Ceccato, un mio amico, e poi ho accettato l’invito di Stefano Allocchio e l’ho raggiunto a Miami per la prima Gran Fondo Gazzetta dello Sport».
Quella con Mario Cipollini…
«Io sono andato per Stefano Allocchio…».
Con Cipollini non hai mai legato troppo…
«A Mario non va mai bene niente, è sempre tutto sbagliato e tutto da rifare. Per me non è così, e ve lo dice uno che non lesina le critiche. Ma quando è solo un atteggiamento, non mi piace neanche un po’. E poi dico solo una cosa: per Mario tutti i team manager sono dei falliti, i direttori sportivi tutti degli incapaci, i corridori solo una massa di pecoroni, le istituzioni sono da cancellare e via di questo passo. Ma perché non si trova uno sponsor e non fa una squadra lui? Poi vediamo».
Dici quello che un anno fa disse Beppe Saronni…
«Bene, la penso esattamente come lui. Ma anche come Scinto».
Ti è spiaciuto lasciare Scinto e Citracca?
«Sì, molto. Con loro mi sono trovato benissimo e mi è spiaciuto non averli potuti ripagare con qualcosa di più sostanzioso, ma la frattura della clavicola prima e la questione Ferrari dopo mi hanno condizionato non poco. Non posso dire la stessa cosa degli sponsor, uno in particolare, con il quale non mi sono lasciato benissimo. E per il quale ho deciso di accettare una delle quattro offerte che avevo davanti a me».
Lo sponsor con il quale non ti sei lasciato benissimo è Valentino Sciotti, il signor Farnese?
«Lasciamo perdere, ti prego».
Torniamo alla tua preparazione: dal 4 al 7 dicembre il primo ritiro Lampre Merida a Boario Terme. Poi…
«Dodici giorni in California, a Malibù, al caldo, dove ho preso in affitto una casa. Sono andato con Michele Del Gallo, il mio storico massaggiatore. Lì ho lavorato benissimo dal 10 a 23 dicembre. Poi ho trascorso qualche giorno con la mia famiglia per le festività natalizie e il 27 sono tornato a Montecarlo, in attesa di partire per l’Argentina e correre il Tour di San Luis che segna in pratica il mio inizio agonistico 2013».
Nella tua marcia di avvicinamento alla nuova stagione non è cambiato nulla, il copione è rimasto quello di un anno fa?
«Vorrei porre una variante che l’anno scorso alla Farnese non sono riuscito ad inserire. Mi piacerebbe, dopo l’Argentina, inserire una sei giorni. Probabile che sia quella di Copenhagen, ma devo verificare bene le date. Visto che in Argentina andrò per svolgere un certo tipo di lavoro, dove metterò nelle gambe una bella base di chilometri, voglio rifinire il tutto con una settimana di agilità, ritmo di corsa per trovare quella brillantezza che è necessaria per l’inizio di stagione. Poi, proseguirò con Tirreno e Sanremo in attesa delle classiche del nord che per me, come ben sai, costituiscono il piatto forte della mia stagione».
Alla Sanremo con un Petacchi in squadra…
«Quando vinsi la Classicissima avevo in squadra corridori come Bettini e Boonen. Essere in due per un grande obiettivo, rappresenta una possibilità in più per la Lampre Merida. Se si arriva in volata, tutti per Alessandro. Se c’è da giocarsela prima e inventarsi qualcosa, io voglio farmi trovare pronto. Sono felice di tornare a correre con Alessandro, con il quale ho avuto qualche malinteso nel lontano 2004, ma oggi siamo buoni amici».
Giro o Tour?
«Il cuore dice Giro, ma anche la ragione, perché io vorrei pensare anche in chiave Mondiale di Firenze, e quindi ho in mente di correre sia il Giro che la Vuelta. Ma la squadra sta pensando al Tour, vediamo. Tireremo le somme più avanti, tutti assieme come è giusto che sia».
Una buona squadra, la Lampre-Merida, con tanti giovani interessanti, hai già individuato quelli che potrebbero fare al caso tuo?
«Alcuni li conoscevo già, altri li sto scoprendo e ci conosceremo sempre meglio. Certo, sono arrivato qui senza nessun uomo di fiducia che - nel mio caso - avrebbero potuto essere Luca Paolini o Kevin Hulsmans che è rimasto alla Farnese. Ad ogni modo qui ho trovato corridori molto interessanti come Davide Cimolai e Massimo Graziato, ma anche il giovanissimo Luca Wackermann mi ha molto impressionato. Certo, ora bisognerà vederlo all’opera, sulle strade in mezzo al gruppo, ma se il buongiorno si vede dal mattino, il ragazzo mi sembra che abbia tutti i numeri per poter far bene».
Fiandre o Roubaix?
«Per me l’importante è arrivare lì con la condizione ed essere tra i protagonisti. Poi vada come vada. Ma sia ben chiaro, io voglio esserci anche alla Sanremo».
Quest’anno la Classicissima si correrà di domenica, cambierà qualcosa?
«Qualcosa sì, sarà importantissimo avvicinarsi il meglio possibile. Sarà una questione di dettagli, ma a certi livelli i dettagli sono tutto. So che stanno pensando di inserire una corsa tra la Tirreno e la Sanremo (il Gp Nobili, al venerdì, ndr): sarebbe una cosa buona e giusta».
Da quest’anno, in casa Lampre Merida, la preparazione sarà seguita dallo “Sport Service” di Lunata, dove lavorano il dottor Giammattei e Michele Bartoli.
«Il dottor Carlo Giammattei è il medico della nazionale italiana di ciclismo, un punto fermo. Per la prima volta mi confronterò con Michele (Bartoli, ndr). Cosa posso dirti? Ci parleremo, ascolterò le esperienze di un corridore come lui e le confronterò con le mie. Ormai ho una certa esperienza anch’io, con questa sono quattordici le stagioni da professionista. Non sono più un ragazzino…».
Che idea ti sei fatto delle vicenda Armstrong?
«Ho una mia idea, ma è meglio che la tenga per me. Posso solo dirti che ciò che è accaduto non ha fatto altro che gettare ancora più nella polvere uno sport che fatica a ritrovare serenità e credibilità».
Hai una ricetta per risalire la china?
«Ce n’è solo una: pedalare a testa bassa e raccogliere risultati. Io per primo. Spero solo che questo inverno rigido e deprimente finisca quanto prima, e si torni a parlare solo di corse e di corridori. Mi auguro che il ciclismo italiano possa tornare a conquistare le pagine dei giornali e dei telegiornali, per quello che fa di buono. Abbiamo un corridore come Vincenzo Nibali, che è uno dei più grandi del mondo: lui ci può veramente riportare in alto. E poi abbiamo tanti bei giovani, che stanno crescendo e maturando, come Moreno Moser, Elia Viviani, Enrico Battaglin, Stefano Agostini, Diego Ulissi e altri ancora che scopriremo nell’arco di questa stagione. Il ciclismo italiano c’è, può regalare agli sportivi qualcosa di bello. Sta a noi corridori, però, non rovinare nuovamente tutto».
Fidanzato o single?
«Single. E poi, scusami, ma io del mio privato preferirei non parlare».
C’è qualcosa che, dopo quattordici anni di professionismo, non ti perdoni?
«Sì, più d’una. Ma ce n’è una in particolare. Mi spiace essermi giocato male la carta Giancarlo Ferretti. Ancora oggi non so se è stato sbagliato il mio atteggiamento con lui o dovevo andare prima alla Quick Step e poi magari andare da Ferretti. Ferron era un uomo forte, con le sue idee, con la sua personalità, io un giovanotto sfrontato con la mia testa e il mio bel caratterino. Con lui mi sono scontrato senza mezze misure. Oggi mi dico: forse ho sbagliato. È un dubbio che mi porterò sempre dietro e al quale non saprò mai dare una risposta certa, anche se un’idea me la sono fatta».
da tuttoBICI di gennaio
a firma di Pier Augusto Stagi
http://www.tuttobiciweb.it
«Dalla Sanremo in poi voglio essere al top»
In pratica ha fatto le vacanze come molti impiegati, nel mese di agosto, anche se ha impiegato il suo tempo per fare del bene, per darsi da fare e rendersi utile al prossimo. Poi è tornato alle corse, dopo l’amarezza di uno stop durato tre mesi, che gli ha impedito di correre sia le Olimpiadi di Londra che il Mondiale di Valkenburg.
«Non essere stato a Londra mi ha pesato parecchio - ci racconta Filippo Pozzato, 32 anni, neo acquisto della Lampre Merida, alla vigilia della sua quattordicesima stagione da professionista -. Uno stop duro da accettare, ma che ho affrontato con la serenità di chi sa di aver commesso un peccato veniale. E allora, invece di stare con le mani in mano, ho deciso di mettermi in discussione e mi sono reso utile per qualcosa di più importante anche di un’Olimpiade, che per altro non ho seguito. Ho accettato l’invito di don Marco Pozza e sono andato con lui in Kenya e più precisamente a Nyahururu, famosa per le sua cascate (Nya - acque che fanno rumore - hururu). Ci sono stato ai primi di agosto, mi sono fermato lì per due settimane. E sono stato felicissimo di averlo fatto, di essere stato all’equatore, dove ho avuto l’occasione di passeggiare tra le foreste, habitat naturale di elefanti e babbuini, e dove i volontari di Unimondo stanno piantando una foresta che conta già 33.333 alberi a compensazione. Che significa? Parte dell’anidride carbonica che noi produciamo quassù in Italia viene compensata con la piantumazione di nuovi alberi all’equatore come stabilito dagli “accordi di Kyoto”. Monumenti utili un domani a frenare l’avanzata del deserto rafforzando il sogno di Wangari Maathai, già premio nobel per la pace».
Pippo parla fluido, senza esitazione, si capisce che questa esperienza l’ha segnato e non rimarrà isolata.
«Dei problemi che hanno laggiù se ne parla spesso, ma un conto è sentirne parlare, un altro è andare a toccare con mano. Sono entrato in punta di piedi presso la casa “Thalita Kum”, una struttura nata per l’accoglienza di bambini con Hiv Aids e con poche speranze di vita. Ho visto ragazzi malati che sperimentano ogni giorno la fatica della salita ripida, sulla cui cima non vi è alcun traguardo, se non quello della morte. C’è poco da dire, molto da fare. Io ci tornerò anche quest’anno».
Pippo però non si sente vittima di una ingiustizia, la sua frustrazione l’ha cancellata con qualcosa di più concreto e nobile.
«In Kenya mi hanno detto. “son sempre gli alberi più grandi ad essere abbattuti”, ma io davanti a certe realtà e a certe storie mi sono sentito un ramoscello, non un albero grande e maestoso. È una questione di prospettiva, dipende da che punto ti metti ad osservare. Andando in Kenya ho imparato a guardare il mondo in un modo diverso».
Il suo mondo ora è tornato ad essere il ciclismo. In verità è tornato ad esserlo già dal 26 settembre dello scorso anno, giorno della Milano-Torino. Questa è stata la corsa dei ritorni: sia della corsa più antica d’Italia, che dopo cinque anni è stata rilanciata dall’Ac Arona di Antonio Bertinotti (per tre anni l’ha presa in affitto dalla Gazzetta dello Sport, ndr), sia per Filippo Pozzato, che con il dorsale numero 121, a più di tre mesi dall’ultima corsa, il Giro di Slovenia, è tornato alle competizioni.
«È stata una bella sensazione tornare a pedalare nel gruppo, anche in quell’occasione ho capito cosa significhi essere privato di quello che più ami fare. Non correre, non competere è stata una cosa molto dura da accettare, ma ora questo fa parte del passato. Ora voglio solo metterci una pietra sopra e pensare a quello che andrò a fare con la mia nuova squadra, con la mia nuova maglia, con la mia nuova bicicletta…».
Alla fine alla corte di Beppe Saronni ci sei arrivato…
«Sì, non nego che in passato tra noi ci sono anche state delle frizioni, delle incomprensioni, qualche battuta da parte sua che non mi è andata giù, ma alla fine poi ci siamo chiariti, capiti e compresi. Beppe non è uomo che le manda a dire, come il sottoscritto. Però io preferisco le persone che le cose te le dicono in faccia, non alle spalle. Dopo il Mondiale di Geelong era stato molto duro e io non avevo assolutamente gradito quello che lui aveva detto sul mio conto, ma non ci ho girato tanto attorno: io l’ho affrontato, lui mi ha spiegato le ragioni della sua critica, io ho ribattuto punto per punto e tra noi è tornata la stima, che in verità forse non è mai venuta meno».
Cosa ti ha convinto del progetto Lampre Merida?
«Io ad una squadra chiedo di credere nel sottoscritto. Non mi piace essere uno dei tanti, mal sopportato. Contrariamente a quanto si possa pensare, non è stata assolutamente una questione di soldi, ma di programmi. Beppe mi ha proposto un contratto triennale, la Lampre Merida crede nel sottoscritto e a questo punto sta a me ripagarli con una buona stagione».
Com’è stato il tuo inverno?
«Sono stato negli Stati Uniti. Prima cinque giorni, ai primi di novembre, a New York con Andrea Ceccato, un mio amico, e poi ho accettato l’invito di Stefano Allocchio e l’ho raggiunto a Miami per la prima Gran Fondo Gazzetta dello Sport».
Quella con Mario Cipollini…
«Io sono andato per Stefano Allocchio…».
Con Cipollini non hai mai legato troppo…
«A Mario non va mai bene niente, è sempre tutto sbagliato e tutto da rifare. Per me non è così, e ve lo dice uno che non lesina le critiche. Ma quando è solo un atteggiamento, non mi piace neanche un po’. E poi dico solo una cosa: per Mario tutti i team manager sono dei falliti, i direttori sportivi tutti degli incapaci, i corridori solo una massa di pecoroni, le istituzioni sono da cancellare e via di questo passo. Ma perché non si trova uno sponsor e non fa una squadra lui? Poi vediamo».
Dici quello che un anno fa disse Beppe Saronni…
«Bene, la penso esattamente come lui. Ma anche come Scinto».
Ti è spiaciuto lasciare Scinto e Citracca?
«Sì, molto. Con loro mi sono trovato benissimo e mi è spiaciuto non averli potuti ripagare con qualcosa di più sostanzioso, ma la frattura della clavicola prima e la questione Ferrari dopo mi hanno condizionato non poco. Non posso dire la stessa cosa degli sponsor, uno in particolare, con il quale non mi sono lasciato benissimo. E per il quale ho deciso di accettare una delle quattro offerte che avevo davanti a me».
Lo sponsor con il quale non ti sei lasciato benissimo è Valentino Sciotti, il signor Farnese?
«Lasciamo perdere, ti prego».
Torniamo alla tua preparazione: dal 4 al 7 dicembre il primo ritiro Lampre Merida a Boario Terme. Poi…
«Dodici giorni in California, a Malibù, al caldo, dove ho preso in affitto una casa. Sono andato con Michele Del Gallo, il mio storico massaggiatore. Lì ho lavorato benissimo dal 10 a 23 dicembre. Poi ho trascorso qualche giorno con la mia famiglia per le festività natalizie e il 27 sono tornato a Montecarlo, in attesa di partire per l’Argentina e correre il Tour di San Luis che segna in pratica il mio inizio agonistico 2013».
Nella tua marcia di avvicinamento alla nuova stagione non è cambiato nulla, il copione è rimasto quello di un anno fa?
«Vorrei porre una variante che l’anno scorso alla Farnese non sono riuscito ad inserire. Mi piacerebbe, dopo l’Argentina, inserire una sei giorni. Probabile che sia quella di Copenhagen, ma devo verificare bene le date. Visto che in Argentina andrò per svolgere un certo tipo di lavoro, dove metterò nelle gambe una bella base di chilometri, voglio rifinire il tutto con una settimana di agilità, ritmo di corsa per trovare quella brillantezza che è necessaria per l’inizio di stagione. Poi, proseguirò con Tirreno e Sanremo in attesa delle classiche del nord che per me, come ben sai, costituiscono il piatto forte della mia stagione».
Alla Sanremo con un Petacchi in squadra…
«Quando vinsi la Classicissima avevo in squadra corridori come Bettini e Boonen. Essere in due per un grande obiettivo, rappresenta una possibilità in più per la Lampre Merida. Se si arriva in volata, tutti per Alessandro. Se c’è da giocarsela prima e inventarsi qualcosa, io voglio farmi trovare pronto. Sono felice di tornare a correre con Alessandro, con il quale ho avuto qualche malinteso nel lontano 2004, ma oggi siamo buoni amici».
Giro o Tour?
«Il cuore dice Giro, ma anche la ragione, perché io vorrei pensare anche in chiave Mondiale di Firenze, e quindi ho in mente di correre sia il Giro che la Vuelta. Ma la squadra sta pensando al Tour, vediamo. Tireremo le somme più avanti, tutti assieme come è giusto che sia».
Una buona squadra, la Lampre-Merida, con tanti giovani interessanti, hai già individuato quelli che potrebbero fare al caso tuo?
«Alcuni li conoscevo già, altri li sto scoprendo e ci conosceremo sempre meglio. Certo, sono arrivato qui senza nessun uomo di fiducia che - nel mio caso - avrebbero potuto essere Luca Paolini o Kevin Hulsmans che è rimasto alla Farnese. Ad ogni modo qui ho trovato corridori molto interessanti come Davide Cimolai e Massimo Graziato, ma anche il giovanissimo Luca Wackermann mi ha molto impressionato. Certo, ora bisognerà vederlo all’opera, sulle strade in mezzo al gruppo, ma se il buongiorno si vede dal mattino, il ragazzo mi sembra che abbia tutti i numeri per poter far bene».
Fiandre o Roubaix?
«Per me l’importante è arrivare lì con la condizione ed essere tra i protagonisti. Poi vada come vada. Ma sia ben chiaro, io voglio esserci anche alla Sanremo».
Quest’anno la Classicissima si correrà di domenica, cambierà qualcosa?
«Qualcosa sì, sarà importantissimo avvicinarsi il meglio possibile. Sarà una questione di dettagli, ma a certi livelli i dettagli sono tutto. So che stanno pensando di inserire una corsa tra la Tirreno e la Sanremo (il Gp Nobili, al venerdì, ndr): sarebbe una cosa buona e giusta».
Da quest’anno, in casa Lampre Merida, la preparazione sarà seguita dallo “Sport Service” di Lunata, dove lavorano il dottor Giammattei e Michele Bartoli.
«Il dottor Carlo Giammattei è il medico della nazionale italiana di ciclismo, un punto fermo. Per la prima volta mi confronterò con Michele (Bartoli, ndr). Cosa posso dirti? Ci parleremo, ascolterò le esperienze di un corridore come lui e le confronterò con le mie. Ormai ho una certa esperienza anch’io, con questa sono quattordici le stagioni da professionista. Non sono più un ragazzino…».
Che idea ti sei fatto delle vicenda Armstrong?
«Ho una mia idea, ma è meglio che la tenga per me. Posso solo dirti che ciò che è accaduto non ha fatto altro che gettare ancora più nella polvere uno sport che fatica a ritrovare serenità e credibilità».
Hai una ricetta per risalire la china?
«Ce n’è solo una: pedalare a testa bassa e raccogliere risultati. Io per primo. Spero solo che questo inverno rigido e deprimente finisca quanto prima, e si torni a parlare solo di corse e di corridori. Mi auguro che il ciclismo italiano possa tornare a conquistare le pagine dei giornali e dei telegiornali, per quello che fa di buono. Abbiamo un corridore come Vincenzo Nibali, che è uno dei più grandi del mondo: lui ci può veramente riportare in alto. E poi abbiamo tanti bei giovani, che stanno crescendo e maturando, come Moreno Moser, Elia Viviani, Enrico Battaglin, Stefano Agostini, Diego Ulissi e altri ancora che scopriremo nell’arco di questa stagione. Il ciclismo italiano c’è, può regalare agli sportivi qualcosa di bello. Sta a noi corridori, però, non rovinare nuovamente tutto».
Fidanzato o single?
«Single. E poi, scusami, ma io del mio privato preferirei non parlare».
C’è qualcosa che, dopo quattordici anni di professionismo, non ti perdoni?
«Sì, più d’una. Ma ce n’è una in particolare. Mi spiace essermi giocato male la carta Giancarlo Ferretti. Ancora oggi non so se è stato sbagliato il mio atteggiamento con lui o dovevo andare prima alla Quick Step e poi magari andare da Ferretti. Ferron era un uomo forte, con le sue idee, con la sua personalità, io un giovanotto sfrontato con la mia testa e il mio bel caratterino. Con lui mi sono scontrato senza mezze misure. Oggi mi dico: forse ho sbagliato. È un dubbio che mi porterò sempre dietro e al quale non saprò mai dare una risposta certa, anche se un’idea me la sono fatta».
da tuttoBICI di gennaio
a firma di Pier Augusto Stagi
http://www.tuttobiciweb.it