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Mattia Gavazzi
#14
Mattia Gavazzi: «Chiedo scusa a tutti. Io drogato di bici»
Il velocista bresciano apre il proprio cuore senza esitazioni

L’11 settembre 2000 è anche la data dell’inizio della fine per Mattia Gavazzi, uno dei velocisti più talentuosi del ciclismo italiano, figlio di quel Pierino che in carriera seppe vincere una Sanremo e ben tre titoli italiani. Uno puledro di razza, che è sempre andato veloce, troppo veloce. «Forse mi serviva più calma e pazienza», dice oggi Mattia, che per la quarta volta è stato trovato positivo alla cocaina.

L’11 settembre di Mattia ha la stessa forza del crollo delle Torri Gemelle. «Quel giorno vengo scoperto, buttato in pasto all’opinione pubblica, i miei genitori, la mia famiglia, i miei amici vengono a sapere della mia dipendenza – racconta Mattia -. La prima volta che sniffo è per scherzo, perché così fan tutti e tutti pensano che come si comincia si può smettere. Ho sedici anni e sono con gli amici sbagliati a Provezze d’Iseo, il mio paese. Vuoi fare il figo, hai voglia di far vedere che non temi niente e nessuno, ti senti forte e invulnerabile e invece sei solo un povero pirla che non capisce che si sta ficcando in un vicolo cieco, dal quale è difficilissimo tirarsi fuori».

Mattia Gavazzi mi chiama dopo la sua quarta positività alla cocaina. Ha voglia di parlare, sfogarsi, piangere «per la mia stupidità», dice. Il primo test positivo è del 2000, da juniores. Poi ci sono quelli del 2004, 2010 e l’ultima positività resa nota il 12 aprile scorso dall’Uci. Una positività che risale allo scorso mese di luglio, esattamente il giorno 10, quando il bresciano della Amore&Vita risulta positivo ad un controllo effettuato nel coso del Qinghai Lake Tour, corsa cinese di categoria 2.HC nella quale Mattia vince quattro tappe.

Mattia, cosa è successo?
«È successo quello che speravo non dovesse più succedere e invece ci sono ricascato perché sono debole e quando mi trovo con il sedere per terra invece di reagire da uomo reagisco da mammoletta, sempre quello. Sempre sbagliato».

Cosa ti ha portato a dover fare i conti con quella porcheria?
«La fine di un amore, di una storia che per me era importante, con una donna sposata che mi faceva impazzire, e così poco prima di partire per una corsa in Cina nel mese di luglio, mi sono rinchiuso da solo in un albergo di Legnano e ho ripreso a fare quello che da 3 anni e 8 mesi non facevo più, perché ne ero realmente uscito. Mi sono procurato la roba - cosa per altro facilissima - e mi sono fatto del male, come sono solito fare quando voglio autodistruggermi. Cosa posso dire? Sono avvilito. Sono incazzato con me stesso. Non ho scusanti e nemmeno attenuanti, e quello che più mi addolora è l'aver provocato ancora una volta dolore ai miei genitori, a mio fratello, a quanti mi vogliono bene».

Tu eri stato anche in comunità.
«Si, all’Inexodus di Sonico, in Val Camonica. Aveva ragione Fortunato Pogna, il responsabile del centro, che mi ha sempre detto e ripetuto che io avrei dovuto prima pensare a me stesso, al mio recupero e poi al ciclismo. Ma per me – se me lo concedete – il ciclismo era ed è una droga. È l’unica cosa che so fare e mi rende felice. Ora l’idea di non poter mai più mettermi un numero sulla schiena mi crea angoscia e dolore. Al solo pensiero mi viene da piangere e sento solo un senso profondo di fine. Sarà dura metabolizzare questa ennessima mazzata. Anche se oggi ho Lucia e con lei sarà tutto più semplice».

Chi è Lucia?
«La mia nuova fidanzata, una ragazza eccezionale che ho conosciuto un mese fa. È tosta, intelligente, scrupolosa e attenta: tra poco si laureerà in medicina, ma ora ha a che fare con un bel paziente…».

Dai non dire così…
«Fammi almeno fare un po’ lo spiritoso, anche se questa storia non fa ridere nessuno».

Torniamo a Pogna.
«Lui mi ha sempre capito, sapeva del mio amore per il ciclismo, ma alla fine ha avuto ragione lui: per guarire da certe dipendenze bisogna fare le cose seriamente. Penso a Marco (Pantani, ndr): anche lui pensava che tornando in bici avrebbe risolto tutti i suoi problemi, ma non è così. Tutti volevano solo e soltanto rimetterlo in bici. È stato un errore. Con certe cose non si scherza. Io ero come lui: malato di bicicletta. E non mi rendevo conto di essere più semplicemente malato».

Cosa ti tormenta di più?
«Non poter più correre in bici. E poi l’aver tradito persone per bene come Ivano e Cristian Fanini dell’Amore & Vita, che mi hanno dato tutta la loro disponibilità, il loro affetto e il loro calore. Ho tradito anche la famiglia Schiavon, titolari di una fabbrica come le selle Smp, che mi sono stati parecchio vicino. Ho nuovamente deluso mamma Marilena, papà Pierino e mio fratello Nicola. Devo solo chiedere loro scusa, sperando che possano nuovamente capirmi e perdonarmi».

Mattia, ma ora con la cocaina come siamo messi?
«Da novembre sono tornato ad essere bravo, non ne faccio più uso, ma ormai la frittata l’ho fatta: basta ciclismo, basta numeri sulla schiena, basta volate».

E che volate…
«Me la sono sempre cavata. Da professionista ho vinto 44 corse».

Quella che ricordi con maggior piacere.
«Mi ricordo anche la data, come se fosse quella di un nuovo inizio: 28 gennaio 2013. Sono in Argentina, ultima tappa del Tour San Luis, vinco allo sprint battendo nientemeno che Sagan e Ventoso. Alle mie spalle anche Petacchi e Cavendish. Tornavo alle corse dopo l’ennesima squalifica, pensavo di essere tornato e definitivamente uscito dalla melma, invece eccomi qui».

Cosa pensi del mondo del ciclismo?
«Io non posso permettermi di pensare niente, perché ne ho combinate troppe. Non posso accusare nessuno, non posso assolutamente lamentarmi per il fatto di essere guardato come un oggetto estraneo, perché lo sono per davvero. Mi sento però di ringraziare un mio vecchio team manager, che si è dimostrato non solo una persona per bene ma un vero amico: Gianni Savio. Con lui ho corso, ci ho litigato e ci ho fatto pace, ma anche l’altro giorno è stato tra i pochi ad inviarmi un messaggio bellissimo, da amico vero. Leggendolo sono scoppiato a piangere: mi sono sentito ancora di più inadeguato e incapace di vivere una vita normale. Ho capito di quanta gente c’è che mi vuole ancora bene e di quanto poco bene voglio io a me stesso».

Tolti i tuoi compagni di squadra, chi si è fatto sentire?
«Solo Daniele Colli, un ragazzo dalla sensibilità unica. Un grande uomo».

E ora?
«Ora sarà dura, c’è da pedalare ma non so nemmeno dove ho messo la bicicletta, nel senso che non so cosa fare e dove andare. Mi sento letteralmente perso e naufrago di me stesso. Ora dovrò davvero capire cosa fare da grande. Forse per diventare grande devo cominciare a pensare in piccolo. Devo ridimensionare i miei sogni e le mie ambizoni. Anzi, forse devo smettere di sognare. Devo imparare ad affrontare la realtà. Devo guardare di più mio fratello e quelli come lui: è geometra e gestisce dei cantieri edili. Lì c’è gente che si fa un mazzo così tutti i giorni, che fatica e alla sera ha solo la forza di mangiare e andare a letto per alzarsi presto la mattina seguente. Devo avere la forza di scendere di bicicletta, e cominciare a camminare più lentamente, magari guardandomi dentro al cuore».

di Pier Augusto Stagi per tuttobiciweb.it
 
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Mattia Gavazzi - da SarriTheBest - 14-02-2011, 09:55 PM
RE: Mattia Gavazzi - da SarriTheBest - 14-02-2011, 09:56 PM
RE: Mattia Gavazzi - da SarriTheBest - 09-06-2011, 03:48 PM
RE: Mattia Gavazzi - da BidoneJack - 09-06-2011, 04:56 PM
RE: Mattia Gavazzi - da SarriTheBest - 26-03-2012, 06:55 PM
RE: Mattia Gavazzi - da SarriTheBest - 07-04-2012, 05:37 PM
RE: Mattia Gavazzi - da SarriTheBest - 09-06-2012, 04:33 AM
RE: Mattia Gavazzi - da SarriTheBest - 26-06-2012, 04:18 AM
RE: Mattia Gavazzi - da SarriTheBest - 19-01-2013, 05:56 PM
RE: Mattia Gavazzi - da SarriTheBest - 20-02-2013, 10:50 AM
RE: Mattia Gavazzi - da SarriTheBest - 11-11-2013, 12:09 PM
RE: Mattia Gavazzi - da SarriTheBest - 08-01-2014, 12:08 PM
RE: Mattia Gavazzi - da SarriTheBest - 16-11-2015, 11:28 AM
RE: Mattia Gavazzi - da SarriTheBest - 21-04-2016, 04:32 PM

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