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Alan Marangoni
#1
 
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#2
L'inverno dei corridori
Marangoni, gioia e fatica

Prosegue la carrellata sull'inverno dei corridori. Ecco Alan Marangoni, che nella prossima stagione correrà con la Liquigas
Hanno staccato la spina. Riposano, recuperano, si restituiscono alla vita — la vita normale — di tutti i giorni. C’è chi va in vacanza e chi rimane a casa, c’è chi va ancora in bici e chi va già in bici, c’è chi sogna e chi progetta. Corridori d’inverno: tutti a casa. Stavolta abbiamo sentito Alan Marangoni, 26 anni, professionista dal 2009, professione gregario.

Marangoni, ricominciato a pedalare?

"Il 10 novembre. Un mercoledì. Molti cominciano quando comincia la settimana, il lunedì. Io non ho regole: me lo devo sentire dentro. Così mercoledì 10 novembre sentivo che era giunto il momento di ritornare in bici".

Quanto è rimasto fermo?
"Tre settimane di zero assoluto. Ultima corsa il Lombardia: nella discesa dalla Colma di Sormano — pioggia e vento, strada viscida e sporca — sono volato, ho preso una sberla per terra, mi sono disfatto il ginocchio, sono uscito dall’ospedale con tre punti. Insomma, ho chiuso la stagione con il botto".

Poi?
"Già che c’ero, ho risolto un problema: due giorni dopo il Lombardia, mi sono fatto operare a un vaso linfatico sotto l’ascella, non funzionava, durante la stagione per 11 volte mi sono fatto aspirare e per 11 volte si rigonfiava. Un intervento di routine, ma per 10 giorni mi ha costretto a stare fermo".

Vacanze?
"Quattro giorni con gli amici a Saragozza, in Spagna, e tre con la morosa alle Terme di Colà di Lazise, sul Lago di Garda. Qualche serata, qualche cena, qualche cinema: come diciamo noi, un po’ di baracca. Mi piace andare al cinema: alle 20.30 lo spettacolo, alle 22.30 è finito, alle 23 sono a letto".

Il 2010?
"Il primo anno in cui ho potuto fare corse di alto livello: Tirreno-Adriatico, Milano-Sanremo, Giro d’Italia. Dai, mi sono comportato con dignità: ho aiutato i miei velocisti, come Modolo e Belletti, ho aiutato il mio scalatore, Pozzovivo, e sono pure andato in fuga".

Anche al Giro, vero?
"Levico Terme-Brescia, tappa di 140 chilometri, dopo 20 in fuga con il belga Olivier Kaisen. Ho capito subito che, a pedali, parlavamo la stessa lingua. I furbi li capisci al volo: limano, succhiano, frenano, risparmiano per fregarti nel finale. Invece Kaisen menava. E tirava anche più di me: se io chiedevo il cambio dopo un chilometro, lui dopo uno e mezzo. Quando è così, s’insinua perfino il sogno di fare un colpaccio".

Invece?
"A 7-8 chilometri dall’arrivo Kaisen ha ceduto. Io sono stato inghiottito poco prima dell’ultimo chilometro. E pensare che mi ero anche un po’ illuso di farcela".

Come si parlano un romagnolo e un fiammingo?
"I gesti si capiscono sempre, le parole meno. In genere si usa una lingua neutrale: fra romagnolo e fiammingo, l’inglese. ’Go strong’, per dirgli di andare più forte. ’Go slow’, per dirgli di andare più piano. Il resto è superfluo".

Altre illusioni?
"Alla Tirreno-Adriatico. Via in quattro. Se non fosse stato per Ignatiev, che nel finale, sulla salita di Montecatini ha provato ad andarsene via da solo, ce l’avremmo anche fatta. Invece prima lo abbiamo ripreso, poi non si è più collaborato, e siamo stati divorati a 3 chilometri dal traguardo".

Dalla Colnago alla Liquigas.
"Dopo il Giro mi hanno detto: siamo interessati. Ho risposto: per correttezza devo parlare con la squadra. Ci siamo parlati. Era una gran bella occasione".

Sa che cosa l’aspetta?

"Come qualità della vita, un peggioramento. Perché nella Colnago, certe tappe potevo anche tirare a campare, a salvarmi. Invece nella Liquigas ogni giorno si fa la corsa, c’è più peso, più responsabilità. Ma non mi fa paura, anzi, mi fa venire più voglia. Alla fatica sono abituato, anzi, abbonato. E poi noi viviamo nei nostri capitani: quando loro vincono, vinciamo anche noi".

Nibali, Basso...
"Nibali lo conosco dal 2002, Nazionale, quartetto a cronometro: io, lui, Finetto e Traficante. Due settimane insieme. Così ogni volta che ci vediamo, ci salutiamo. Invece con Basso non c’è mai stata l’occasione per parlarsi".

Il debutto?
"Al Tour Down Under, in Australia, prima tappa il 18 gennaio. È per questo che mi sto già preparando: in palestra, pesi per gambe, schiena e braccia, per tonificare, non per esagerare; bici, due o tre ore al giorno per fare fondo lento; e anche mountain bike, con Belletti".

Non le dispiace lasciare quelli della Colnago?
"Per loro ho organizzato una festa. A Cotignola, a casa mia, nella tavernetta. Al mangiare ci pensa mia mamma: cappelletti al ragù, piadine con il formaggio e gli affettati. Un po’ di birra, un po’ di Sangiovese, un po’ di Prosecco: ma poco. E Belletti porta il dolce. Un po’ di baracca non fa mica male, anzi, il giorno dopo ti fa venire più voglia di allenarti".

E lei con chi si allena?
"Contoli e Savini stanno a 6-7 chilometri. Ci troviamo sul Naviglio, la strada principale verso Faenza. Poi incontriamo anche gli altri, da Chiarini a Montaguti, e c’è anche il biker Jader Zoli. Quando si fa la distanza, la strada la decide Chiarini".

C’è una salita-verità?
"Il Monticino è il mio confessore: 4 chilometri, ma già al primo si capisce se ho commesso peccati o sono quasi santo. Oppure il Casale. Oppure il Trebbio. Roba da Coppi & Bartali, roba da Giro d’Italia".

Insomma, contento?
"Felice. È quello che volevo fare nella vita".

Marco Pastonesi, Gazzetta.it
 
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#3
Marangoni, il bilancio e le ambizioni
In occasione della festa del ciclismo romagnolo, Laura Guerra ha intervistato per noi Alan Marangoni: con lui ha fatto il bilancio della stagione 2010 che lo ha visto protagonista con la maglia della Colnago CSF e puntato l'attenzione sul 2011 che lo vedrà passare nel 2011 alla Liquigas. Ascoltiamolo.

tuttobiciweb.it
 
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#4
Alan Marangoni: io, ai Caraibi
Il romagnolo racconta il suo ritiro con la Cannondale Garmin

Tra italiani e americani è nato l’amore. Il primi ritiro della Cannondale Garmin si è svolto tra New York e i Caraibi e in queste mete da favola il gruppo tricolore e quello a stelle e strisce hanno trovato, tra una gara di nuovo e una in barca a vela, il feeling perfetto. Spazzate via, da entrambe le parti, le preoccupazioni di una fusione difficile da realizzare senza contraccolpi, Alan Marangoni prima di entrare in palestra per l’allenamento quotidiano ci racconta come è andato questo primissimo raduno in cui militano oltre al trentenne romagnolo, i “nostri” giovani Alberto Bettiol, Davide Formolo, Moreno Moser e Davide Villella.

Dalle foto si direbbe che vi hanno portato in paradiso.
«Sì, una meta davvero spettacolare tant’è che non volevamo più tornare a casa. I vertici del team hanno giocato sporco (scherza, ndr), ci hanno trattato troppo bene, hanno esagerato in modo tale che ora il minimo è che sputiamo l’anima in sella per la squadra. È stato bello soprattutto come gli americani ci hanno accolto, sono stati davvero ospitali e ci hanno coinvolto alla grande. Credo sia stato per tutti un raduno molto speciale, la fusione rappresentava un cambiamento importante per tutti, 8 nuovi arrivi non sono pochi ma ci siamo già integrati molto bene. Siamo tornati a casa tutti contenti: noi dell’accoglienza esagerata, loro di aver scoperto che non siamo così “italiani”, nel senso che sappiamo comunicare bene in inglese e non abbiamo alcuna intenzione di istituire un gruppetto isolato».

Il programma del ritiro cosa prevedeva?
«I primi 3 giorni a New York abbiamo fatto foto e video, oltre ad alcune riunioni per stabilire i programmi di base. Poi siamo partiti per Saint Thomas e in barca abbiamo raggiunto Tortola, nelle Isole Vergini britanniche. Lì abbiamo vissuto 5 giorni in barca a vela. Eravamo divisi in 11 barche ognuno con uno skipper, forse è meglio dire una skipper perché la maggior parte erano donne, e un capo marinaio che via radio coordinava tutte le imbarcazioni. La composizione dei gruppi durante il giorno, in cui ci sfidavamo in garette di 20’, cambiava, ma di notte ognuno dormiva nella sua barca. Con me per esempio c’erano il ds Charly Wegelius e Davide Formolo. Eravamo sempre in movimento, da un’isola all’altra, e per cena ci riunivamo su un isolotto in cui c’era giusto un ristorante e un negozietto, che raggiungevamo con un gommone dotato di motorino. Una vacanza, faccio fatica a definirla diversamente, davvero pazzesca e ricca di colpi di scena. Per farvi un esempio, un giorno alle 6.30 il capitano via radio ci ha dato il buongiorno dicendo “Good Mooooorning Cannondale Garmin guys, are you ready for the swimming race?”. Essendo ancora in dormiveglia speravo di aver capito male, ma raggiunto il meeting point ho capito che facevano sul serio. La sfida a nuoto all’alba è stata vinta da Ben King, io me la sono cavata discretamente chiudendo a metà classifica. Per essere in mutande, il costume non avevo capito servisse, e senza neanche aver fatto colazione non è andata male. Altre volte ci fermavamo per delle brevi riunioni o semplicemente per giocare a palla su isole che non avevano altro che sabbia e palme. Una figata!».

Che impressione ti sei fatto di questo nuovo gruppo?
«Temevamo di faticare a integrarci invece siamo partiti proprio con il piede giusto. Anche il fattore lingua non è un problema, capiamo tutti l’inglese e quasi tutti i direttori sportivi sanno esprimersi bene in italiano. Questo primo training camp è stato un'esperienza incredibile, speriamo sia solo l'inizio di una splendida avventura che per me inizierà a tutti gli effetti a Maiorca tra fine gennaio e inizio febbraio. Poi disputerò Tour of Algarve, Parigi-Nizza o Tirreno-Adriatico, le classiche del nord fino alla Roubaix e il Giro d’Italia».

Cosa ti aspetti dal 2015?
«Ho staccato dal 14 ottobre al 23 novembre, durante questo periodo ho pedalato solo 5 volte a Cuba, dove prima del “ritiro” sono stato in vacanza con un amico due settimane. Avendo dato una mano a un conoscente che fa volontariato in quella terra portando del materiale per i ragazzi che tra tante difficoltà cercano di pedalare, ho colto l’occasione per farmi qualche giretto con la nazionale cubana e la squadra di Santo Spirito. Tra la vacanza che mi sono scelto e quella regalatami dalla squadra vi assicuro che per 3 settimane mi è sembrato di vivere in un film, ho vissuto avventure eccezionali una dietro l’altra. Ora si torna però a lavorare come si deve. Oggi mi alleno in palestra perché è brutto tempo, ma appena riesco monto in bici per gettare le basi per la nuova stagione, serve un po’ di fondo. Non avendo più un capitano come Peter (Sagan, ndr) l’anno prossimo correremo più da cani sciolti. Alle classiche potrò mettermi un po’ più in luce e tentare di vedere dove posso arrivare in prima persona, al Giro saremo tutti per Hesjedal».

Giulia De Maio per tuttobiciweb.it
 
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