20-10-2010, 04:27 AM
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E' l'Italia di Vittorio Pozzo, che guida gli azzurri per la prima volta sul tetto del mondo.
E' l'anno di Learco Guerra, la "locomotiva umana", che vince il Giro d'Italia.
Sono gli anni che precedono il secondo conflitto mondiale e, in quegli anni, c'è un "Angelo azzurro" di nome Marlene Dietrich, che ammalia generazioni di spettatori, con la sua voce, i suoi film, il suo sguardo magnetico e impenetrabile.
E' il 1934, l'anno in cui vede la luce, in un gelido giorno del 27 gennaio, Ugo De Rosa, fondatore e cuore di uno degli atelier più esclusivi per gli amanti della bicicletta.
LA FORMAZIONE
"Ma all'inizio il nostro incontro fu più uno scontro. Eddy era impegnato alla Sei Giorni di Milano, una sera vado a vederla, scendo in pista e lui mi aggredisce: "perché non mi vuoi fare la bici? In vita mia non ho mai incontrato un costruttore così presuntuoso".
Io cado dalle nuvole, divento tutto rosso e chiedo: "ma quale bici?".
Eddy mi spiega allora che ne aveva parlato per mesi con Motta, ma Gianni si era ben guardato dal parlarmene. Chiarito l'equivoco, iniziò la nostra intensa collaborazione".
"Era scrupoloso Eddy - ricorda -. Un vero perfezionista. Non scorderò mai un episodio: in vista della Sanremo del '75 provammo una serie di forcelle testandole lungo la discesa del Poggio. Quattro, cinque, sei discese con altrettante forcelle e inclinazioni diverse.
Andò bene, Eddy vinse la sesta Sanremo battendo il giovane Francesco Moser". Merckx smette di correre in bicicletta nel '78, ma per Ugo De Rosa gli impegni si moltiplicano, la sua fama, la sua credibilità e il proprio marchio sono ormai sinonimo di qualità assoluta. Sono moltissimi i corridori professionisti e le squadre che si presentano da lui per avere un telaio "fatto come Dio comanda". E' del 1973 la prima bicicletta "griffata" con il cuore De Rosa.
Tocca alla GBC di Dino Zandegù, con i vari Panizza e Francioni, portare in giro quella bicicletta verde fatta con il cuore, un "logo" che diventerà un marchio di garanzia di qualità nel settore delle due ruote.
UNA BICI "MONDIALE"
Per questo la famiglia De Rosa è una famiglia speciale. Gente che costruisce biciclette con il cuore.
Le bici del "cuore" prendono piede soprattutto negli anni Ottanta. Prima con la Sammontana di Moreno Argentin, Baronchelli e Corti e poi con la Ariostea di Ferretti. Sono anni importanti, ricchi di soddisfazioni e vittorie.
Gli anni Novanta sono quelli della Gewiss, poi della Riso Scotti: anni targati sempre Argentin e Berzin. Vittorie su tutti i fronti: dal Giro d'Italia, alla Liegi, passando per Sanremo e Freccia Vallone. Le bici De Rosa vincono un po' di tutto, un po' dappertutto.
Il nuovo millennio si tinge invece con i colori dell'arcobaleno, grazie alla volata vincente di Romans Vainsteins, lettone della Vini Caldirola, che riesce a bruciare tutti sul traguardo di Plouay, in Bretagna. Una bici mondiale per un'azienda in costante evoluzione ed espansione che guarda con occhio attento al mondo.
Stati Uniti, Unione Sovietica, Giappone, Benelux, Germania: mercati che il marchio De Rosa aggredisce con un prodotto di alta qualità e affidabilità.
Gli anni Ottanta sono gli anni del salto di qualità, con la creazione del nuovo stabilimento di Palazzolo Milanese, dove papà Ugo ha iniziato la sua attività, e dove vengono impiantate attrezzature d'avanguardia per poter lavorare materiali sempre più sofisticati.
UNA CORSA TECNOLOGICA
L'azienda è in costante evoluzione e crescita. Ben presto la cicli De Rosa si trova a dover nuovamente affrontare il problema dato dalla mancanza di spazio.
L'azienda cresce, ha bisogno di trasferirsi in un capannone di circa 2000 mq a Cusano Milanino, alle porte di Milano, affrontando con la massima professionalità e il massimo dell'impegno, ogni minimo aspetto delle vita commerciale e tecnologica. E se uno dei vanti della De Rosa è proprio quello di essere tra i pochi, per non dire gli unici, in grado di lavorare con le proprie mani ogni bicicletta, senza dover ricorrere a lavoro esterno o subfornitori, la De Rosa si distingue anche per ricerca e sviluppo, nei materiali e nella progettazione.
De Rosa affronta per prima la nuova frontiera della saldatura: dal saldo brasato passa al TIG (una bici per Pedersen, nel 1985).
Ma la vera rivoluzione culturale avviene con l'introduzione del titanio, una lavorazione che i De Rosa sanno fare come pochi.
L'ultimo passaggio è l'avvento delle leghe di alluminio. Un passaggio significativo, che porta la De Rosa ad ottenere risultati impensabili, portando il rapporto peso resistenza a livelli semplicemente eccezionali.
UNA FAMIGLIA
Un'azienda famiglia. Papà Ugo, mamma Mariuccia e i figli Danilo, Doriano e Cristiano. L'organico De Rosa si compone in tutto di sedici persone che formano lo staff di una delle aziende più apprezzate e amate dal competente pubblico della bicicletta.
"Siamo un gruppo molto affiatato" - spiega Cristiano, responsabile commerciale dell'azienda di famiglia -. Ogni decisione viene presa collegialmente, ma quando è necessario l’ultima parola spetta al presidente, al grande capo, a papà Ugo".
"Ma io lascio fare - dice lui, quasi schermendosi -. Sono bravi e, quel che più conta, hanno davvero grande passione e voglia di fare".
Sono cresciuti in azienda. Sin da ragazzini hanno respirato il sapore acre del cannello e il lamento del tubo che prende forma. "Si andava a scuola e poi si filava tutti in bottega - racconta Danilo, il più grande dei fratelli De Rosa -. Questo è un mestiere che bisogna sentire profondamente, altrimenti è dura".
TRE FIGLI, UN SOLO DNA
Doriano è taciturno e riservato come papà: in azienda ha il delicato ruolo di produrre i telai in titanio. Uno per uno, con pazienza e precisione certosina.
"Ne riesco a fare uno ogni due giorni e mezzo. Sono veramente dei piccoli gioielli: a me piace parecchio realizzarli. Sento un po' il peso della responsabilità, perché con il titanio non sono ammessi errori: quando si sbaglia, si deve gettare tutto. E il titanio non è certo un materiale qualsiasi".
Il più giovane è Cristiano ha in mano tutta la strategia commerciale. Anche lui con un passato di corridore ciclista e una gran passione nel DNA. "Ho provato a fare il corridore, ma ben presto ho compreso che la mia strada sarebbe stata un'altra: sempre tra le biciclette, che adoro, ma dietro una scrivania".
Insomma, una bella famiglia, stretta attorno all'uomo che ha dato forma ai suoi sogni. "Noi puntiamo sulla qualità. Questa è l'unica strada che conosciamo. Biciclette di alta tecnologia, rispondenti a tutte le più rigide e importanti certificazioni europee e mondiali. Pensiamo che questo sia l'unico modo di opporci all'assalto del made in Usa. Loro hanno volumi di affari, capitale, distribuzione, noi possiamo tenere il confronto solo e soltanto con un prodotto di altissima tecnologia. Una sorta di pezzi unici per autentici intenditori". Una famiglia, dicevamo.
Una famiglia unita e affiatata che produce biciclette di alta gamma con la cura e l'attenzione di chi è abituato a produrre gioielli di alta oreficeria.Il piccolo Ugo frequenta le scuole elementari, le medie inferiori e l'istituto d'avviamento al lavoro, dove acquisisce le prime nozioni tecniche. Ma la passione per la bicicletta sboccia ben presto. Una passione che lo porta prima a intraprendere la carriera agonistica, come corridore nelle categorie "giovanissimi", "allievi" e "dilettanti", poi a cimentarsi come provetto meccanico.
Ed è in questi anni, a soli 13 anni, che Ugo De Rosa comincia a sbizzarrirsi con le biciclette. Correva e nei ritagli di tempo lavorava in bottega da Filippo Fascì, un suo parente, che aveva un'officina di riparazione di biciclette nei pressi di Niguarda, a Milano. Apprende velocemente, il giovane Ugo.
Apprende e ben presto si mette in proprio. Ha appena 18 anni quando, con l'aiuto della mamma, e qualche rimbrotto del papà, decide di metter su bottega.
E' il '52, e De Rosa apre un negozietto a Milano, in via Lanfranco della Pila, trasformando così in un colpo solo il suo hobby in un mestiere a tempo pieno. Comincia così la carriera di "mastro artigiano" che all'inizio si dedica essenzialmente alla realizzazione e alla progettazione di biciclette per corridori sostanzialmente dilettanti, dove ottiene subito ottimi risultati.
IN PRINCIPIO FU GEMIGNANI
"Ho cominciato nel '58 come meccanico della squadra di Gemignani. Era venuto a Milano per una riunione al Vigorelli ed era senza bici. Ne cercava disperatamente una, è arrivato da me: l'ha provata, l'ha trovata bella e mi ha proposto di diventare suo meccanico".
Così ricorda Ugo De Rosa il suo ingresso ufficiale nel mondo del ciclismo professionistico. Una scelta che segnerà radicalmente tutta la sua carriera, la sua formazione, incidendo profondamente nella storia e nell'esperienza di quello che diventerà di lì a poco uno dei massimi interpreti degli artigiani (potremmo dire artisti) della bicicletta.
Gemignani e il Giro d'Italia del '58 fu il pretesto per un inizio. Poi ha proseguito seguendo la Faema di Rik Van Looy. Chiamato da Gastone Nencini per la Max Mayer, nel '67, alla corte della Sanson, avvenne l'incontro con Gianni Motta, preludio di un incontro fondamentale per la carriera di De Rosa, alla Monteni, con Eddy Merckx, con il quale dà vita ad un sodalizio di reciproca collaborazione che dura tutt'oggi.
tratto da derosanews.com