19-05-2016, 08:06 PM
GATTI&MISFATTI. BASTA CON QUESTI CICLISTI PART-TIME
Vengono al Giro con la liberatoria per correre altrove
GATTI&MISFATTI | di Cristiano Gatti
Gli iconoclasti del Giro, parte seconda. Vengono, si allenano, vincono qualche tappa, magnano le specialità locali, ammirano il patrimonio artistico, poi tagliano la corda in largo anticipo. In altre parole: fanno i comodi loro. Camminano sul Giro come fosse uno scendiletto. Sfregiano la nostra icona rosa, cinici e impuniti.
L’ultimo traditore – del Giro e anche dei valori sportivi più elementari – è Greipel, che addirittura se ne va dopo la terza vittoria e con la maglia rossa addosso. Senza provare il minimo imbarazzo, scende dal podio e va in aeroporto. Bye Giro, passo a cose più serie.
Dopo l’articolo di ieri, in cui mi ribellavo a questo scandaloso andazzo, in carovana c’è chi mi dice che ognuno è libero di gestirsi come vuole. Lo so benissimo. Ciascuno è libero di interpretare lo sport come meglio crede, ciascuno è libero di programmare la propria stagione come meglio crede. Però, se questi garantisti permettono, io voglio essere libero di esprimere la rabbia e l’umiliazione che i tifosi del Giro avvertono davanti a questo uso spregiativo della nostra corsa più bella. Liberi tutti. Liberi loro di metterci i piedi sul tavolo, da Cancellara a Kittel a Greipel, liberi noi di rinfacciarglielo. E’ una pura questione di dignità. Il rispetto va concesso, sempre, ma va anche preteso. E siccome noi italiani rispettiamo tantissimo le star straniere – pure troppo, mettendoci a zerbino – mi sembra il minimo pretendere da loro un atteggiamento diverso.
Dice Greipel, con la valigia in mano: «Capisco i tifosi, ho grande rispetto per il Giro, ma sono un essere umano…». E noi dovremmo pure starlo a sentire. Magari compatirlo. Faccia il piacere, lui e gli altri. Vada a farli in luglio sulle strade del Tour, questi discorsi. Vada dai francesi a dissacrare il loro mito in questo modo sfacciato, vincendo la tappa, vestendo la maglia a punti, precipitandosi all’aeroporto.
C’è una cosa che noi però dobbiamo doverosamente ammettere. E’ il caso e il momento di dirlo apertamente. Gli stranieri ci camminano in testa perché noi li mettiamo nelle migliori condizioni di camminarci in testa. Non rivelo niente di sconvolgente. Lo sanno tutti. Alcuni big – o presunti tali – accettano di venire al Giro soltanto a una condizione: che l’organizzazione conceda in anticipo la liberatoria per correre da un’altra parte dopo il ritiro (a norma, il ritirato dovrebbe stare fermo fino alla fine del Giro).
Pur di raccattare qualche nome, il Giro accetta queste condizioni capestro. Meglio un big a mezzo servizio che nessun big. Ci sta bene così? Ci sta bene, evidentemente. Ma chi striscia – dicevano gli antichi – non può lamentarsi se prima o poi viene schiacciato. E’ una suprema verità.
Ritagliamoci almeno lo spazio per dire apertamente che non è per niente bello, né serio, questo malcostume. Già ci sono i ritiri necessari. Se ogni volta dobbiamo aggiungerci questa moltitudine di malati immaginari e di sanissimi furbetti, il Giro ne esce a brandelli. Sulla nostra pelle, stiamo inventando il ciclismo part-time. Che pena.
tuttobiciweb.it
Vengono al Giro con la liberatoria per correre altrove
GATTI&MISFATTI | di Cristiano Gatti
Gli iconoclasti del Giro, parte seconda. Vengono, si allenano, vincono qualche tappa, magnano le specialità locali, ammirano il patrimonio artistico, poi tagliano la corda in largo anticipo. In altre parole: fanno i comodi loro. Camminano sul Giro come fosse uno scendiletto. Sfregiano la nostra icona rosa, cinici e impuniti.
L’ultimo traditore – del Giro e anche dei valori sportivi più elementari – è Greipel, che addirittura se ne va dopo la terza vittoria e con la maglia rossa addosso. Senza provare il minimo imbarazzo, scende dal podio e va in aeroporto. Bye Giro, passo a cose più serie.
Dopo l’articolo di ieri, in cui mi ribellavo a questo scandaloso andazzo, in carovana c’è chi mi dice che ognuno è libero di gestirsi come vuole. Lo so benissimo. Ciascuno è libero di interpretare lo sport come meglio crede, ciascuno è libero di programmare la propria stagione come meglio crede. Però, se questi garantisti permettono, io voglio essere libero di esprimere la rabbia e l’umiliazione che i tifosi del Giro avvertono davanti a questo uso spregiativo della nostra corsa più bella. Liberi tutti. Liberi loro di metterci i piedi sul tavolo, da Cancellara a Kittel a Greipel, liberi noi di rinfacciarglielo. E’ una pura questione di dignità. Il rispetto va concesso, sempre, ma va anche preteso. E siccome noi italiani rispettiamo tantissimo le star straniere – pure troppo, mettendoci a zerbino – mi sembra il minimo pretendere da loro un atteggiamento diverso.
Dice Greipel, con la valigia in mano: «Capisco i tifosi, ho grande rispetto per il Giro, ma sono un essere umano…». E noi dovremmo pure starlo a sentire. Magari compatirlo. Faccia il piacere, lui e gli altri. Vada a farli in luglio sulle strade del Tour, questi discorsi. Vada dai francesi a dissacrare il loro mito in questo modo sfacciato, vincendo la tappa, vestendo la maglia a punti, precipitandosi all’aeroporto.
C’è una cosa che noi però dobbiamo doverosamente ammettere. E’ il caso e il momento di dirlo apertamente. Gli stranieri ci camminano in testa perché noi li mettiamo nelle migliori condizioni di camminarci in testa. Non rivelo niente di sconvolgente. Lo sanno tutti. Alcuni big – o presunti tali – accettano di venire al Giro soltanto a una condizione: che l’organizzazione conceda in anticipo la liberatoria per correre da un’altra parte dopo il ritiro (a norma, il ritirato dovrebbe stare fermo fino alla fine del Giro).
Pur di raccattare qualche nome, il Giro accetta queste condizioni capestro. Meglio un big a mezzo servizio che nessun big. Ci sta bene così? Ci sta bene, evidentemente. Ma chi striscia – dicevano gli antichi – non può lamentarsi se prima o poi viene schiacciato. E’ una suprema verità.
Ritagliamoci almeno lo spazio per dire apertamente che non è per niente bello, né serio, questo malcostume. Già ci sono i ritiri necessari. Se ogni volta dobbiamo aggiungerci questa moltitudine di malati immaginari e di sanissimi furbetti, il Giro ne esce a brandelli. Sulla nostra pelle, stiamo inventando il ciclismo part-time. Che pena.
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