Un po' di roba for dummies.
Il ciclismo non è uno sport che produce introiti diretti.
I diritti tv valgono pochissimo, non c'è la compravendita dei cartellini degli atleti e gli spettatori non pagano alcun biglietto....ah, e non si vendono nemmeno le magliette.
Il ciclismo si è retto per decenni, diciamo almeno dagli anni '50, quando viene concesso agli sponsor extra ciclistici di investire sulle due ruote, agli anni '00, su un sistema legato, per l'appunto, alle sponsorizzazioni, dunque a introiti indiretti.
Però il giocattolo è chiaramente rotto. Per millemila motivi. Il ciclismo costa sempre di più, dunque possono investire solo soggetti che in grossissima parte non hanno bisogno del ciclismo per farsi pubblicità. Il ciclismo è sempre meno popolare, schiacciato tra un'offerta televisiva sempre più ampia e le nuove tecnologie che permettono di fruire di tantissimi altri prodotti. Tutto molto più semplice ai tempi della televisione a sei canali, quando i telefonini avevano i tasti e al massimo potevi usarli per fare foto e video. E parliamo di venti anni fa, non cinquanta. E poi oggi hai molti nuovi modi per farti pubblicità. Una storia di una influencer sta online 24 ore, una gara di ciclismo devi beccarla in diretta.
Di fatto oggi nel ciclismo investono solo sponsor di paesi in cui le due ruote sono ancora un minimo rilevanti (Francia e Belgio) e stati che devono fare il cosiddetto sportwashing (UAE, Bahrain).
Per la stessa Ineos il ciclismo non è il core business, come lo era per Sky, ma solamente uno degli elementi di un vasto portafoglio sportivo.
Un soggetto come Red Bull investe anche nel ciclismo. Solo che non lo fa in maniera tradizionale, perché quella maniera non è più redditizia. Red Bull investe sul singolo atleta, che oggi è anche influencer, e si produce per conto suo dei contenuti via Red Bull TV.
In questo contesto desolato e desolante ecco che si inseriscono dei soggetti che per fare anche solamente uno 0.5% di fatturato in più sono disposti a tutto.
Del resto è notizia degli ultimi giorni che Amazon è finita sotto inchiesta da parte dell'Antitrust statunitense.
Mi pare chiaro ed evidente che Amazon non ha bisogno del ciclismo per farsi pubblicità (
)
Amazon vuole solamente confezionare il suo drive to survive, così come fa Netflix che vuole fare un altro drive to survive.
Il valore dei diritti TV della Formula 1 è cresciuto di 16 volte dopo Drive to survive.
Per soggetti economicamente molto deboli in relazione alla posizione che occupano, questa è un'occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire.
Non vorrei dire, ma l'UCI, come troppe volte ha ripetuto, parlando evidentemente con il muro, l'amico Winter, non fattura neanche 50 milioni. La UEFA fattura 4,7 miliardi di euro. La NBA fattura 10 miliardi di dollari. Solamente nel mio COMUNE ci sono tre aziende con un fatturato superiore a quello dell'UCI. Una di queste per qualche anno ha investito nel ciclismo e, ad oggi, ha un fatturato che è 12 volte quello dell'UCI. Rendetevi conto di quanto sono piccoli i soggetti che dovrebbero gestire questo """"""sport""""".
Amazon (514 miliardi di fatturato) e Netflix (30 miliardi di fatturato) decidono di entrare nel ciclismo e, ovviamente, lo fanno alle loro condizioni, ovvero confezionando un tipo di prodotto diverso da quello standard, che per loro paga dividendi. Del resto il ciclismo in sé e per sé fu un salasso già per Mediaset negli anni '90 (infatti nessuno, da allora, prova a sfilare i diritti TV del Giro alla Rai). Perché Amazon dovrebbe mettersi a produrre l'intero Tour de France senza aver un minimo di ritorno? Non ha senso, molto meglio il documentario.
Mi pare chiaro che la linea, dunque, la dettano loro e gli enti che comandavano, illo tempore, questo sport, si adattano, nella speranza di ricevere le "briciole" dai colossi. La Formula 1 stessa, pur con un fatturato astronomico rispetto al ciclismo, è 15 volte più piccola di Netflix.
L'asino di turno pensa che stiamo qua a parlare di complotti, come se non venisse già fatto tutto alla luce del sole. Peraltro siamo ancora qua a dare dei complottisti a chi solleva dei dubbi riguardanti le prestazioni degli atleti nello sport che giusto vent'anni fa ci aveva regalato Armstrong.
Il Modus operandi è sempre lo stesso, dai tempi del texano. I soggetti più grossi dell'UCI fanno quello che vogliono, mentre i più piccoli devono tenere la testa bassa. Quindi ecco il ciclismo del duopolio Jumbo-UAE.
Ma questo non è manco il punto focale. Dire "Eh, ma tutti questi complotti per il Giro e la Vuelta più brutti di sempre" significa non aver capito nulla. Anche i panini del McDonald fanno cagare, ma McDonald fattura comunque 23 miliardi di dollari. Perché il prodotto di McDonald è un prodotto di massa, che si vende a tutti con una buona campagna di marketing. Se domani McDonald sostituisse gli happy meal con le aragoste, proporrebbe un prodotto di qualità un miliardo di volte superiore, ma fallirebbe nel giro di poche ore.
La competizione ciclistica in sé, ad oggi, non si vende più. Si fa fatica a vendere il calcio, figurarsi uno sport pieno di tempi morti dove non accade nulla per giorni interi. Il documentario pop corn di un'ora su Netflix o Amazon Prime, invece, si vende che è una meraviglia, perché è ricco di pathos e drama, ingredienti che possono catturare tantissimi occasionali.
Una lite dietro le quinte tra Roglic e Vingegaard può potenzialmente catturare molti più spettatori rispetto a un assolo di 50 chilometri di Evenepoel. A maggior ragione in un'epoca, quella attuale, in cui puoi fare costante promozione via social.
Per cui si sta già andando da mo verso un ciclismo dove è il documentario a trainare la competizione sportiva e non il contrario. E tutti quegli aspetti che a noi piacciono sono già spariti. Amazon ha bisogno di quei due chilometri in cui Roglic attacca Kuss, non della Merano-Aprica del Giro d'Italia 1994.
Mucho texto, mi rendo conto. Mi sento Primo della Cignala quando scrive su Ciclostalla.