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L'intervista: Mauro Vegni e il Giro più complicato
#1
L'ntervista: Mauro Vegni e il Giro più complicato
Lunga chiacchierata col braccio destro di Zomegnan

Direttore operativo del Giro d'Italia, Mauro Vegni è in un certo senso l'alter ego di Angelo Zomegnan nella struttura organizzativa di RCS Sport: l'uomo che lavora spesso nell'ombra e che conosce metro per metro le strade d'Italia (su cui è passato, o passerà il Giro), non si esprime sulle notizie che circolano da qualche giorno e che riguardano una possibile sostituzione di Zomegnan come Direttore Generale dell'organizzazione della corsa rosa, sussurrata in seguito ai vari problemi organizzativi in cui si è incorso quest'anno. «Non sono a conoscenza di simili movimenti, ne ho letto anch'io ma non mi risultano».

Possiamo comunque dire che nella personale scala di difficoltà dei Giri che avete organizzato, questo sia comunque stato il più complicato?
«Per diversi motivi è stato un Giro sofferto, e da noi verrà ricordato così, per una serie di cause che hanno dato parecchia tensione».

Vogliamo ripercorrerle? Si parte con la concomitanza torinese del raduno degli Alpini, con notevoli difficoltà logistiche.
«Un simile afflusso di gente - parliamo di 500.000 persone - poteva in effetti essere problematico, ma abbiamo gestito abbastanza bene tutta la situazione, in sinergia con i responsabili del raduno, delimitando aree riservate per noi e per loro, e cercando di prendere noi il meglio che ci poteva offrire la presenza degli Alpini, e loro il meglio che poteva offrire la concomitanza del Giro. Direi che il risultato è stato buono».

Poi la tragedia di Wouter Weylandt ha sconvolto tutti quanti.

«È stata una notizia scioccante che ci è stata praticamente data durante la corsa: avevo contatti con l'autista del dottor Tredici (quest'ultimo era impegnato nei tentativi di rianimare Weylandt), e abbiamo saputo dall'inizio che non ci sarebbero state grosse speranze, anche se abbiamo continuato a sperare in un miracolo, quel miracolo che si compì per Horrillo. È stato un momento drammatico, tragico, per cui nessuno può sentirsi in colpa, e che mi ha lasciato tanta tristezza e dolore. Per me quest'anno ci sono stati due Giri, uno è finito lì alla terza tappa, e l'altro è ripartito il giorno dopo».

Col tema della sicurezza in corsa reso vivido dalla scomparsa di Weylandt, sono fioccate polemiche per gli sterrati della tappa di Orvieto.
«C'è stata qualche polemica, sì, però voglio dire che il Giro è stato presentato abbastanza tempo prima, chiunque poteva provare certe tappe, e qualcuno l'ha fatto. Poi in corsa c'è chi rischia di più e chi di meno, io penso che lì, in quella tappa, con tanta corsa ancora davanti, i corridori potevano rischiare tranquillamente di meno».

Dalla polvere dello sterrato a quella vulcanica: non dica che non ha avuto voglia di tornarsene a casa, quando ha sentito che pure l'Etna si metteva in movimento.
«No, più che voler tornare a casa, non vedevo l'ora che finisse, a un certo punto. Tra l'altro non tutti sanno che solo qualche giorno prima della tappa era franato un tratto della statale che abbiamo percorso in gara, quindi c'era già una situazione di tensione (poi per fortuna sono stati sgomberati per tempo quei 400-500 metri di carreggiata bloccata dalla frana). Poi questa notizia del vulcano... Abbiamo monitorato continuamente lo stato delle cose, sapevamo che la polvere vulcanica su quelle strade avrebbe reso impossibile il transito. Abbiamo vissuto alla giornata quei momenti, tranquillizzati comunque dal centro di vulcanologia con cui eravamo in contatto, e che ci aveva assicurato che l'attività vulcanica di quel tipo è ciclica, con frequenza mensile, e quindi non si sarebbe certamente ripetuta a breve».

Quindi siamo al gran pasticcio del Crostis.

«Il giorno della tappa di Fiuggi ero andato in Friuli per verificare la situazione della discesa, che era il punto critico sollevato dai corridori e dalle squadre. Mi sembra di aver dimostrato, col filmato che testimoniava la messa in sicurezza di quella discesa, che il transito della corsa sarebbe stato sicuro; e infatti i corridori, con cui abbiamo dialogato, ne hanno preso atto, dando l'assenso al passaggio sul Crostis. Dopodiché un presidente di giuria ha subìto forti pressioni da parte di alcuni team manager e la sera del Grossglöckner ha deciso che non riteneva idoneo il passaggio sul Crostis, per una questione di regolarità sportiva. Ciò ci ha creato grandi problemi, perché non abbiamo fatto in tempo ad approntare il percorso alternativo: ci avrebbero dovuto dare un maggiore preavviso».

Ma ve la siete un po' cercata? È vero che in cima non c'era spazio per far passare le ambulanze?
«Ciò non è assolutamente vero. Avevamo previsto un piano per disporle lungo la discesa, quattro o cinque mezzi pronti ad intervenire in caso di malaugurata necessità. Chiaro che avere un'ambulanza in mezzo alla corsa può causare problemi, e per questo le avremmo piazzate in discesa: ma questo vale anche per tante altre salite e discese, credete che sul Gavia la situazione sia diversa? Anche per lo stesso Finestre abbiamo applicato questo piano e tutto è andato bene. Oltre a ciò, vorrei dire che sulla discesa del Crostis avremmo avuto 3 medici in moto, operativi per i primissimi soccorsi, e in più erano pronte ad alzarsi in volo due unità di elisoccorso. Non credo che ci siano mai stati 10 km più coperti di quanto sarebbero stati quelli, dal punto di vista della sicurezza».

E allora perché la situazione è precipitata?

«Il Giro è stato il capro espiatorio di una guerra combattuta altrove, una guerra commerciale tra UCI e squadre, perché entrambe queste entità vogliono gestire in prima persona tutta una serie di cose (e al momento le gestisce l'UCI)».

Qual è il ruolo del Giro in mezzo a questa battaglia?

«L'unico nostro ruolo sarà di tutelare i nostri interessi per avere un Giro il più credibile possibile».

Torniamo alla nostra corsa rosa 2011. Qualcuno a un certo punto ha agitato lo spauracchio di una manifestazione dei NO TAV che avrebbero bloccato il Giro sul Finestre.

«Come se già non avessimo abbastanza preoccupazioni, la DIGOS di Torino ci ha avvisati che stava monitorando la situazione nella zona, e che c'era una certa agitazione, del resto pochi giorni prima c'erano stati degli scontri in Val di Susa. Il contesto del Giro, con la grande visibilità che poteva offrire, lasciava temere qualche intemperanza, e per di più non avevamo di fronte un'unica sigla sindacale, con cui trattare direttamente, ma gruppi di persone autonome, per cui potevi accordarti con cinquanta di loro, e poi magari altri venti attuavano qualche protesta. Per fortuna però devo dire che alla fine è emersa la volontà di non dare fastidio al Giro, e sono stato molto contento di ciò».

Un bel giorno, poi, le autorità di Milano scoprono che si vota, e vi fanno accorciare la crono finale...
«Probabilmente in città era stata sottovalutata la possibilità di ballottaggio, o forse si sperava di andarci a campi invertiti... Non avremmo comunque mai voluto che la presenza del Giro potesse venire strumentalizzata da qualcuno per giustificare una scarsa affluenza alle urne, così, d'accordo con la Prefettura, abbiamo studiato un percorso il meno impattante possibile dal punto di vista del numero di seggi resi più difficilmente raggiungibili».

E per finire, la gaffe della versione franchista dell'inno nazionale spagnolo.

«Tra tutte le cose che abbiamo elencato, se per le altre non mi sento di addossare responsabilità a RCS Sport, questa devo invece ammettere che è tutta farina del nostro sacco. Un errore marchiano, il nostro, per il quale abbiamo subito chiesto scusa».

A tutto ciò, possiamo aggiungere un problema quasi endemico del Giro, specie negli ultimi anni: quello dei tanti e lunghi trasferimenti.
«Quest'anno avevamo il dovere di toccare quante più regioni possibile, vista la ricorrenza dei 150 anni dell'Unità d'Italia. Riconosco che anche i tanti trasferimenti hanno controbuito a rendere questo Giro molto difficile».

Da qualche anno però è quasi un trend, quello dei tanti trasferimenti.
«Il problema è che l'Italia è geograficamente lunga: o facciamo un Giro di mezza Italia, o dobbiamo sempre partire dal sud e finire al nord. Siccome però spesso partiamo dal nord e ritorniamo al nord, siamo obbligati a inserire dei trasferimenti. Non dimentichiamo che il Giro di una volta aveva pochi trasferimenti, ma era anche lungo 4500 km, 1000 in più rispetto a oggi... Se facessimo anche noi un Giro di 4500 km, probabilmente vedreste molti meno trasferimenti».

Cosa si poteva migliorare nel percorso del 2011?
«Mah... qualcuno fa il discorso del Giro troppo duro, si dice che c'erano troppe montagne... Ora, indipendentemente dal successo che questo Giro ha avuto a livello di gente in strada e come ascolti televisivi, io dico che in 160 hanno portato a termine la corsa (e consideriamo che in 10 sono andati via per i motivi che sappiamo). Un Giro corso a 39 di media e portato a termine da 160 corridori, quindi in fin dei conti non è stato così duro. Se proprio devo trovare un neo, dico che probabilmente una tappa per velocisti nell'ultima settimana non avrebbe guastato; ma lo dico se proprio vogliamo cercare il pelo nell'uovo. Altrimenti confermo che è stato un percorso bello, è piaciuto e ha riservato temi d'interesse anche se la corsa, dal punto di vista tecnico e della classifica, qualcuno l'aveva uccisa già sull'Etna».

Venendo ad argomenti più generali: come nasce praticamente il disegno di un Giro?

«Partiamo da una serie di candidature (che siano giunte nel corso dell'anno, o che siano in lista d'attesa da anni precedenti) da parte di città che vogliono ospitare una tappa. Tra queste, si selezionano le sedi utili ad un progetto tecnico studiato a monte e basato su alcuni punti, che possono essere la necessità o la volontà di toccare zone che mancano da diverso tempo, o la celebrazione che si vuol fare di una determinata città, o la volontà di inserire una particolare montagna. Tenuto conto di queste specifiche geografiche, politiche, culturali, sportive, si procede alla tracciatura del percorso ideale».

Saprà che già sui forum c'è fermento per avere anticipazioni sul Giro del 2012. Si partirà dalla Danimarca, e poi? Avremo ancora un Giro montagnoso?
«Sicuramente le salite la faranno ancora da padrone, la gente in fondo vuole questo, il pubblico cerca quegli aspetti emozionali che solo le grandi montagne sanno dare. Ovviamente, miscelate nella misura giusta. Ma se consideriamo che già in partenza, nelle tre frazioni danesi, non avremo salite, e poi ci aggiungiamo quel paio di crono e quelle tappe riservate ai velocisti, capiamo che non rischieremo poi un'indigestione di salite l'anno prossimo».

Conferme sull'arrivo all'Alpe d'Huez?
«Non è ancora stato stabilito, certo i contatti che i francesi hanno preso con noi ci fanno estremo piacere, significa che anche all'estero, anche in Francia, il Giro è un evento richiesto e amato. E questo ci dice che abbiamo fatto grandi passi sul versante dell'internazionalizzazione della corsa, cosa peraltro confermata anche dalla partenza in Olanda l'anno scorso, e da quella in Danimarca nel 2012».

Cosa ne pensa del "cicloalpinismo", di certe pendenze estreme come quelle dello Zoncolan o del Kronplatz, che voi spesso inserite nel tracciato del Giro? Servono davvero?
«Hanno fascino per il pubblico, anche se tecnicamente non fanno la differenza, visto che con i rapporti usati su certe salite non si riesce a dare distacchi considerevoli. La gente ce le chiede, queste salite estreme; dobbiamo saperle dosare bene negli anni, per non svilirle. Non una presenza fissa ogni anno, ma averle una volta ogni tanto fa solo bene. Si pensi al ritorno del Finestre quest'anno, a 6 anni di distanza dalla prima volta: quella è stata per me - e non solo per me - una delle tappe più belle dell'intero Giro».

Una curiosità: cosa le chiedono in genere i corridori quando si avvicinano alla sua ammiraglia?
«Si parla spesso del più e del meno, ovviamente di cose inerenti alla corsa: si commenta la tappa del giorno prima, si prendono in esame situazioni che potrebbero essere particolarmente difficoltose. Per me è importante sentire sempre gli umori del gruppo, essere considerato "uno di loro", che poi è inevitabile quando sei sempre in mezzo ai corridori, e soprattutto quando hai dimostrato di poter meritare la loro fiducia. In questi anni non penso di averli mai portati in situazioni complicate, o non corrispondenti a come le avevo spiegate loro. E dai corridori ho sempre avuto questo riscontro. La fiducia che così si crea è fondamentale anche per superare insieme i momenti difficili».

Qual è la cosa più difficile, praticamente, quando si organizza un Giro? Ad esempio, lo stato delle strade?
«No, le strade che accolgono la corsa rosa vengono tutte asfaltate e sistemate, è una sorta di precondizione, e diciamo che in questo senso siamo una benedizione per gli abitanti dei posti toccati dal Giro. No, la cosa peggiore è oramai la burocrazia. Prima bastava una settimana per sbrigare tutta una serie di pratiche necessarie a organizzare un Giro, ora servono mesi di lavoro d'ufficio, dobbiamo richiedere autorizzazioni su autorizzazioni, presentare piantine di ogni centimetro quadrato delle aree in cui ci sposteremo... è diventato veramente un lavoro pesante, che tra l'altro ci toglie spazio per seguire meglio altre cose».

E invece la soddisfazione più grande che ricava dal suo lavoro?

«Anche se può sembrare ovvio o paradossale, la cosa che mi dà soddisfazione è portare un gruppo di 200 corridori dalla partenza all'arrivo nella maniera più sicura possibile. Purtroppo ci sono sempre incidenti in corsa, o ritiri dovuti a vari motivi, a me piacerebbe partire e arrivare con 200 corridori, mi accontento di cercare di rendere quei 3500 km di corsa il meno difficoltosi possibile».

Com'è lavorare con Zomegnan?

«Sinceramente abbiamo sempre lavorato abbastanza bene insieme; poi, è normale che a volte sorgano dei contrasti, o che ci siano modi diversi di vedere le cose, ma mi pare più che consueto, su un posto di lavoro. Quel che conta è che entrambi abbiamo lavorato e lavoriamo per il bene comune».

Ci dica almeno un motivo di scontro tra voi!

«Per esempio è capitato che a me sembrasse poco sensato inserire una salita in un dato punto... a volte ho convinto Angelo delle mie ragioni, altre volte lui mi ha convinto delle sue. Pur nella divergenza d'opinioni, sempre nella maniera più serena possibile».

Quanta strada ha fatto il Giro con voi, e quale sarebbe la cosa più urgente da migliorare?

«Senza nulla togliere a chi ci ha preceduto, ne abbiamo fatta parecchia, di strada col Giro. Si è innescato un circuito virtuoso che ha portato grande visibilità internazionale e un'ottima partecipazione di corridori importanti anche stranieri. Un circuito virtuoso anche nel senso della ricerca del cambiamento, del nuovo, per rendere sempre più rilevante l'evento Giro d'Italia. Quel che c'è da fare è ancora e sempre tanto; intanto non dobbiamo appiattirci sui risultati raggiunti, ma dobbiamo proseguire sulla via dell'internazionalizzazione, e far diventare il Giro un avvenimento anche collegato ad altri eventi, e che soprattutto possa attrarre anche aziende importanti a livello internazionale. Al momento tra i nostri sponsor ce n'è solo una, dobbiamo riuscire a coinvolgerne altre. Insomma sì, c'è tanto lavoro ancora da fare».

Ultima domanda: ha saputo che il Tour of California, che in calendario è in diretta concorrenza col Giro, ha richiesto di diventare una corsa del World Tour, l'anno prossimo?

«Io è dal '76 che faccio questo lavoro. Una volta c'era la regola che i titoli si acquisivano per meriti sul campo, ora invece pare ci siano solo parametri commerciali ai quali attenersi. Sono convinto che il Tour of California otterrà quello che chiede, e al contempo mi chiedo perché siamo gli unici a subire una cosa del genere (per dire, in concorrenza col Tour de France non c'è praticamente niente). Ecco, ripeto: mi piacerebbe che tornassero quei valori che sostenevano che i titoli vanno conquistati sul campo».
(Cicloweb.it)
 
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