Login Registrati Connettiti via Facebook



Non sei registrato o connesso al forum.
Effettua la registrazione gratuita o il login per poter sfruttare tutte le funzionalità del forum e rimuovere ogni forma di pubblicità invasiva.

Condividi:
Manute Bol, fenicottero dinka.
#1
Parlando di Muggsy Bogues, il più basso (fra gli arrivati), giocatore di basket di tutti i tempi, per compensazione viene spontaneo ricordare il più alto (per restare all’NBA, a pari centimetri col rumeno Gheorghe Muresan), ovvero il sudanese Manute Bol. Costui elevava il suo capo fino a sfiorare i soffitti dall’altro dei suoi 2 metri e 31 centimetri. Un’altezza impressionante, soprattutto in considerazione del suo fisico particolare, più simile ad un punto esclamativo, che ad una montagna di muscoli e di imponenza. Il contrario di un colosso come il brasiliano Emil Rached, alto 2,29 metri (nella mia adolescenza lo vidi più volte in Tv e tutti lo davano a quella altezza), anch’egli giocatore di pallacanestro, ma assai più modesto di Bol, il quale creava timori al solo sguardo per poi divenire, grazie ad una lentezza senza pari, una facile preda dei giocatori veri. 
Manute, invece, era ortodosso nell’arte del giocatore di basket, anche se in lui persistevano dei limiti abissali di produttività di gioco e di movimento. La sua storia poi, tutta particolare, ha saputo fare il resto e chissà quali originalità, avrebbe potuto nascondere ancora, se non fosse morto a soli 47 anni. 
Già, uno che veniva dal Sudan, con le contraddizioni di quel paese, piovuto negli USA per fare il fenomeno, era inimmaginabile non subisse gli influssi di particolare pressioni. Con quel fisico, poi, tanto più simile, come detto, ad un esclamativo che ad una persona normale, il suo destino è sempre sembrato un po’ segnato. Alto alto, secco secco, dinoccolato come nessuno, con quei suoi 2 metri e 31 centimetri, Manute Bol, riuscì a giocare nell’Nba, ma non per fare la comparsa, o l’uomo clown (tipologia sempre richiesta dagli assetati di spettacolo come gli americani), bensì per essere un perfetto tassello nell’economia del gioco della sua squadra all’interno del basket professionistico. 
[Immagine: Bol-2.jpg]
Non segnava quasi mai (2,6 punti di media a partita), ma da centro dei “Philadelphia 76ers” del mitico “Doctor J”, diventò uno dei più abili stoppatori della Lega. Potremmo dire uno storico difensore, perché ancora oggi è sul podio nella media di stoppate a partita e addirittura primo in quelle per minuto. Insomma, uno di quelli che costringeva l’allenatore avversario, ad inventarsi tattiche per superare il suo muro. Un “re dei tabelloni”, come diremmo qui in Italia. Manute, diventò così un milionario di dollari. Purtroppo la sua struttura fisica, così particolare, anticipò il declino fisico e, nel 1995, il non ancora vecchio, ma più che logoro Bol, venne in Italia, proprio in Romagna, a Forlì. Quando lo guardavo, mi faceva impressione, soprattutto mi faceva ringraziare il cielo, per non essere nato così alto (ad onor del vero lo penso anche per misure ben più modeste!) e dinoccolato. Giocò qualche partita, tra dolori, infortuni e qualche sprazzo, poi tornò in Sudan. 
Nella sua terra, si trovò subito coinvolto in quella guerra civile che ha radici, potremmo dire perenni e tribali. Origini, che mi portano agli studi universitari in antropologia culturale: la gente di Manute Bol è di etnia Dinka, da sempre cattolica ed altrettanto da sempre combattente i Nuer, musulmani del nord del Sudan, un’etnia crogiolo per gli studi tribali. Il grande ex della NBA, stavolta non riuscì a “stoppare” la guerra e nemmeno a difendersi dai dolori allucinanti al ginocchio che gli avevano mozzato la sua esperienza a Forlì. Fitte che spesso gli impedivano di alzarsi dal suo letto-appartamento. Quanto basta per incentivare il suo crescendo di sfortune e di errori, ma anche di evidenziare un animo sensibilissimo e tutt’altro che ipocrita.
In Sudan, Manute, fra operazioni finanziarie sbagliate, aiuti ai suoi famigliari, tantissimi e legati indissolubilmente come vuole la cultura Dinka, nonché sostegno tangibilissimo ai ribelli, si giocò praticamente tutti i soldi guadagnati nel professionismo del basket. Milioni di dollari sfumati per giungere a vivere in una catapecchia, a Khartoum. Ancora dolori e fame, poi, con gli ultimi spiccioli rimasti, il ritorno negli Stati Uniti, stavolta da quarantenne senza un soldo e senza un’idea precisa sul “che fare”.  In qualche modo riuscì a stabilirsi nella bella Hartford, in Connecticut, assieme a moglie figli, che non l’avevano seguito in Sudan. Passò alla boxe, approfittando di una delle tante “americanate” per fare spettacolo, partecipando al “Celebrity Boxing Show”, una delle più incredibili e vergognose idee, partorite dalle menti yankee degli ultimi anni. Si trattava di una manifestazione televisiva, dove la boxe era presa a pretesto per attirare audience, attraverso incontri sul ring fra ex volti noti allo sbando. Diversi personaggi finirono in quella farsa, tanto simile ai combattimenti fra cani, o fra galli. Il match più pubblicizzato è stato, senza dubbio, quello tra Tonya Harding, la campionessa di pattinaggio artistico su ghiaccio che, nel 1994, fu l’ispiratrice della “gambizzazione” della rivale Nancy Kerrigan, e Paula Jones, ex accusatrice di Bill Clinton. 
Manute ha combattuto, e vinto, contro un ex giocatore di football. Il suo cachet consisteva nel far mettere in onda, dalla TV, il numero verde di una Fondazione per i bambini del Sudan. Anche il suo premio di trentacinquemila dollari, è andato in Africa. 
Ma il sempre più originale Bol, finito l’intermezzo pugilistico, nel suo tentativo di mantenersi al mondo e continuare a dare al suo popolo, si schierò nello sport che mai si sarebbe creduto possibile: l’hockey su ghiaccio. Il proprietario degli Indianapolis Ice, formazione della Central Hockey League, gli offrì un contratto con lo scopo preciso di farne un baluardo insuperabile davanti alla porta. Ma nella prima partita, Manute, è rimasto in panchina, ed alla fine del primo dei 4 tempi, ha iniziato a raccogliere fondi tra il pubblico. Ben presto lasciò la squadra, è tornò a casa. 
Di lui non si ebbero più notizie per qualche anno, finché il 19 giugno del 2010, a causa di una grave insufficienza renale, morì. Oggi, suo figlio Bol Bol, diciannovenne alto 2,21, giocatore degli Oregon Ducks, è considerato uno dei migliori giovani del basket statunitense.

Maurizio Ricci detto Morris
 
Rispondi


[+] A 6 utenti piace il post di Morris
#2
Si narra che la sua carriera in pratica terminò la mattina in cui si presentò in palestra con la convinzione che il suo futuro sarebbe stato dietro la linea dei tre punti
 
Rispondi
  


Vai al forum:


Utente(i) che stanno guardando questa discussione: 1 Ospite(i)