04-01-2011, 05:54 AM
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Maurizio Biondo
|
19-02-2011, 05:28 PM
Il Giorno. Biondo confessa e chiede di tornare
È nel mezzo della salita, Maurizio Biondo. Sul tornante più duro. Spinge forte, pedala per tornare in gruppo. Si volta, guarda in faccia l’avversario più pericoloso. Il doping. «Ho fatto un errore, un gravissimo errore che non farò più». Per la prima volta ammette il ricorso all’Epo. Una volta sola, un peccato capitale pagato con due anni di squalifica. «Ho seguito il consiglio sbagliato di una persona sbagliata». Il rimorso si legge negli occhi. «È stata una lezione di vita, ho imparato, e sono pronto a tornare. Pulito», ribadisce mentre estrae il curriculum dal cassetto: oltre cento vittorie in tutte le categorie, fino al professionismo. «Mai fatto uso di sostanze illecite, andavo forte senza aiutini, poi sono caduto in tentazione». Nel momento più importante della carriera. È il 2009. Biondo corre nella Ceramiche Flaminia, un buon ingaggio, conquistato a suon di successi e piazzamenti.
È uno dei pochi corridori italiani specializzati nella cronometro. Un roccioso passista. Si piazza terzo nel campionato italiano contro il tempo, vince una tappa del Giro di Danimarca contro i colossi del ciclismo mondiale. Di lui si parla, e bene. È pronto per il salto di qualità. Arriva addirittura la chiamata in Nazionale, dal compianto ct Franco Ballerini. Un sogno. Maurizio Biondo, da Concorezzo, si prepara a rappresentare l’Italia ai Mondiali di Mendrisio. Le voci di mercato lo danno in partenza verso squadre nobili. «Stavo per raccogliere i frutti dopo anni di sacrifici». Ed è qui che commette l’errore maledetto. «Mi ero illuso che una sostanza mi avrebbe dato qualcosa in più, e invece ho rovinato tutto. Una sciocchezza: sarei comunque stato capace di ottenere ottimi risultati e di ben figurare in maglia azzurra».
Ad agosto il controllo antidoping a sorpresa, nell’appartamento di via Don Orione dove vive con la moglie. Bussano alla porta: verifiche incrociate su sangue e urine. Il risultato a metà settembre, una settimana prima del Mondiale: tracce di eritropoietina ricombinante. Addio ai campionati del mondo e soprattutto due anni di squalifica. Poi l’abisso, la crisi. Biondo chiede le controanalisi, abbozza una difesa, si proclama innocente. Due giorni neri, poi riprende la bici, corre da solo. Le salite e le discese meglio di una seduta dallo psicologo: «Ho superato quel momento terribile correndo in bicicletta, aiutato dall’affetto della moglie, della famiglia e degli amici». La squadra, come da regolamento, lo sospende. Per vivere, per ricominciare, va in palestra. Diventa personal trainer, insegna spinning a Vimercate. È il suo presente, non il suo futuro. Si allena tutti i giorni, per 5 ore sui saliscendi della Brianza. Sta tornando. Pulito. «Come lo sono sempre stato».
Cerca un team per rientrare in gruppo: «Ho dei contatti, voglio ricominciare da dove ho lasciato». A maggio compirà 30 anni. Sulla carta ha ancora molto da dire. «Saprò meritare la fiducia di chi vorrà credere in me». Assicura che il clima è cambiato, il ciclismo è cambiato: «La situazione fino a qualche anno fa era difficile: certe pratiche erano diffuse. Ma ora non è più così: i controlli si sono intensificati, in gruppo c’è una mentalità diversa. Il nostro ambiente sta cambiando davvero». Maurizio pedala verso il traguardo di settembre, verso la fine della squalifica. Rimettere il numero sulla schiena sarà la sua vittoria più grande.
da Il Giorno a firma di Marco Dozio
È nel mezzo della salita, Maurizio Biondo. Sul tornante più duro. Spinge forte, pedala per tornare in gruppo. Si volta, guarda in faccia l’avversario più pericoloso. Il doping. «Ho fatto un errore, un gravissimo errore che non farò più». Per la prima volta ammette il ricorso all’Epo. Una volta sola, un peccato capitale pagato con due anni di squalifica. «Ho seguito il consiglio sbagliato di una persona sbagliata». Il rimorso si legge negli occhi. «È stata una lezione di vita, ho imparato, e sono pronto a tornare. Pulito», ribadisce mentre estrae il curriculum dal cassetto: oltre cento vittorie in tutte le categorie, fino al professionismo. «Mai fatto uso di sostanze illecite, andavo forte senza aiutini, poi sono caduto in tentazione». Nel momento più importante della carriera. È il 2009. Biondo corre nella Ceramiche Flaminia, un buon ingaggio, conquistato a suon di successi e piazzamenti.
È uno dei pochi corridori italiani specializzati nella cronometro. Un roccioso passista. Si piazza terzo nel campionato italiano contro il tempo, vince una tappa del Giro di Danimarca contro i colossi del ciclismo mondiale. Di lui si parla, e bene. È pronto per il salto di qualità. Arriva addirittura la chiamata in Nazionale, dal compianto ct Franco Ballerini. Un sogno. Maurizio Biondo, da Concorezzo, si prepara a rappresentare l’Italia ai Mondiali di Mendrisio. Le voci di mercato lo danno in partenza verso squadre nobili. «Stavo per raccogliere i frutti dopo anni di sacrifici». Ed è qui che commette l’errore maledetto. «Mi ero illuso che una sostanza mi avrebbe dato qualcosa in più, e invece ho rovinato tutto. Una sciocchezza: sarei comunque stato capace di ottenere ottimi risultati e di ben figurare in maglia azzurra».
Ad agosto il controllo antidoping a sorpresa, nell’appartamento di via Don Orione dove vive con la moglie. Bussano alla porta: verifiche incrociate su sangue e urine. Il risultato a metà settembre, una settimana prima del Mondiale: tracce di eritropoietina ricombinante. Addio ai campionati del mondo e soprattutto due anni di squalifica. Poi l’abisso, la crisi. Biondo chiede le controanalisi, abbozza una difesa, si proclama innocente. Due giorni neri, poi riprende la bici, corre da solo. Le salite e le discese meglio di una seduta dallo psicologo: «Ho superato quel momento terribile correndo in bicicletta, aiutato dall’affetto della moglie, della famiglia e degli amici». La squadra, come da regolamento, lo sospende. Per vivere, per ricominciare, va in palestra. Diventa personal trainer, insegna spinning a Vimercate. È il suo presente, non il suo futuro. Si allena tutti i giorni, per 5 ore sui saliscendi della Brianza. Sta tornando. Pulito. «Come lo sono sempre stato».
Cerca un team per rientrare in gruppo: «Ho dei contatti, voglio ricominciare da dove ho lasciato». A maggio compirà 30 anni. Sulla carta ha ancora molto da dire. «Saprò meritare la fiducia di chi vorrà credere in me». Assicura che il clima è cambiato, il ciclismo è cambiato: «La situazione fino a qualche anno fa era difficile: certe pratiche erano diffuse. Ma ora non è più così: i controlli si sono intensificati, in gruppo c’è una mentalità diversa. Il nostro ambiente sta cambiando davvero». Maurizio pedala verso il traguardo di settembre, verso la fine della squalifica. Rimettere il numero sulla schiena sarà la sua vittoria più grande.
da Il Giorno a firma di Marco Dozio
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