17-03-2023, 08:25 AM
Jean Baptiste Fischer (Fra)
Nato il 30 marzo del 1967 a Brunstatt, fu professionista dal 1899 al 1905. Francese, anche se di padre d'origine americana. Soprannominato "Le Grimpeur", dopo la vittoria nella Parigi-Tours del 1901, la sua "chicca" di carriera, si segnalò nel Tour de France 1903, dove finì 5° e colse diversi piazzamenti di tappa. Corse da isolato, come tanti nel periodo, spinto da un desiderio immanente di sfida, con se stesso e con gli altri. Proprio quando i risultati e la popolarità raggiunta gli consentirono di trovare, finalmente, un accasamento in seno alla Peugeot-Wolber, chiuse l'attività, ed emigrò negli Stati Uniti. Qui, di lui si sono perse tracce. Non è un avo di Gary Fischer, il padre della mountain bike.
Luciano Luciani
Nato a Velletri (Roma) il 17 marzo 1944. Passista veloce, pistard (stayer) e ciclocrossista. Alto m. 1,68 per 62 kg. Professionista dal 1966 al 1972 con una decina di vittorie nel cross, nessuna su strada.
Luciani cominciò a correre nel 1962. Ad una buona predisposizione su strada, aggiunse molto presto grandi qualità nel ciclocross. Qui, iniziò da subito ad essere un vincente con tanto di proiezione nazionale, anche se i suoi successi erano per la gran parte colti al centro sud. Nel 1964 con la maglia della Volsci di Velletri, iniziò a vincere su strada, cogliendo fra le altre la vittoria nel Circuito del Tuoro. Poi, sempre col medesimo sodalizio ed a meno di quattro anni dal debutto assoluto su una bicicletta, si guadagnò la stima di tutto l’osservatorio ciclistico, siglando un 4° posto assoluto (categoria unica dilettanti e professionisti) ai Campionati Italiani di ciclocross, che gli valse l’azzurro per i Mondiali di Beasain, in Spagna. Qui, costretto al ritiro il fuoriclasse Renato Longo, fu proprio il giovanissimo Luciani a difendere l’onore della selezione azzurra, chiudendo 5° a 1’32” dal vincitore Erik De Vlaeminck. A fine ’66 passò professionista e nel ’67 difese saltuariamente i colori dell’Amaro 18 Isolabella Nella stagione su strada chiuse 5° il GP di Chieti ed in quella di cross, finì 8° ai Mondiali, mentre agli Italiani fu tolto di gara da una foratura. L’anno successivo s’accasò alla Kelvinator e provò pure la strada, ma fu ancora una volta il ciclocross a dargli notorietà: 3° fra i prof in Italia e 5°, primo degli italiani, ai Mondiali di Lussemburgo. Nel 1969 sfiorò l’exploit di battere il comunque già anziano Renato Longo ai Tricolori: fu battuto allo sprint per soli 20 centimetri. Al Mondiale di Magstadt, in Germania, chiuse 4° dietro Longo e perse il podio per due soli secondi. Il fatto di essere divenuto un’icona del cross e di mostrare disponibilità a correre su strada e su pista, consentì a Luciani di guadagnarsi un contratto con la GBC, con la quale resterà fino a tutto il 1971. A maggio ’69 partecipò al Giro d’Italia dove si ritirò alla 20° tappa che si concludeva a Cavalese. Su pista finì 3° ai Tricolori di Mezzofondo (Stayer) e si guadagnò la selezione per i Mondiali di Anversa, dove però non superò le batterie. Nel 1970 superò Longo vincendo il GP di Velletri e chiuse 11° il Mondiale di Zolder, mentre su strada si ritirò alla 10a tappa del Giro d’Italia, che si concludeva a Rivisondoli. Nel 1971 fu costretto al ritiro al Mondiale di Cross di Apeldoorn, ed al Giro d’Italia fu tolto di gara da una forte indisposizione già alla 2a tappa che si concludeva a Potenza. Il calo di rendimento lo spinse a chiudere con l’agonismo a fine ’71, poi ci ripensò, accasandosi per il ’72 alla Commercio Petroli. Ma non aggiunse nulla di concreto, ed a fine stagione appese la bicicletta al chiodo.
Walter Polini
Nato a Costa Volpino (BG) il 17 marzo 1955 e deceduto a Torino l’8 dicembre 2002. Passista, alto 1,83 m. per 71 kg. Professionista dal 1977 al 1981 con una vittoria.
Quando seppi della sua morte, rimasi molto scosso: se ne era andato un coetaneo, ed uno dei corridori che, nel silenzio della sua comunque positiva carriera, seguivo con più interesse, per i risvolti certo poco comuni della sua vita di ciclista. Walter, correva di giorno e studiava di notte, da medico: una rarità incredibile per il ciclismo. Che dovesse pagare la sua cultura, tra l'altro votata a sani principi, nel pedale di oggi, per chi scrive, era nella logica più ovvia. Infatti, dopo essersi laureato e finita la carriera agonistica, divenne dirigente e medico sportivo di formazioni dilettantistiche, fino a ricoprire il massimo incarico sanitario in una squadra di professionisti. Qui, scoprì e denunciò le pratiche di doping, col risultato di essere messo al muro dall'ambiente e licenziato per incapacità (!) dal sodalizio nel quale operava e dove, forse, era già molto se i dirigenti dello stesso, riuscivano a scrivere la propria firma. Un uomo, Polini, che amava lo sport ed il ciclismo in particolare, come fosse un figlio. Le sue denunce, le prime in assoluto così particolareggiate, della triste storia del doping in Italia, non erano altri che un atto d'amore verso la disciplina ciclistica e di quell'etica che ormai non fa più parte dell'ellisse umana. Rifiutato dall'ambiente nel quale era vissuto, passò ad operare nel calcio. Quando morì, l'8 dicembre 2002, era da circa tre anni il medico sociale dell'Atalanta, la squadra della sua città. Se ne andò stroncato da un attacco di cuore, che lo colse in una camera d'albergo, a Torino, la mattina, all'ora di pranzo, prima di una partita di campionato. La passione verso il ciclismo coinvolse Walter già da bambino e quando esordì, si mostrò subito molto bravo. Da dilettante, la sua crescita apparve travolgente. Dotato di un fisico possente e statuario, si mostrò passista di notevolissime doti, capace, tra l'altro, di tenere bene in salita e con un discreto spunto veloce. Cominciò a collezionare classiche e maglie azzurre. Partecipò ai Mondiali e ai Giochi del Mediterraneo '75, alla durissima Praga-Varsavia-Berlino, sia nel '75 che nel '76. Dopo una quarantina di vittorie, colte per lo più col piglio del gran corridore, passò professionista nel '77, all'interno di una squadra, la GBC, che raccoglieva diversi giovani talenti. Si comportò subito bene, animando le corse con le sue incredibili "trenate", giungendo secondo nella tappa del Giro del Belgio che si concludeva a Jambes e finendo il Giro d'Italia al 39° posto. L'anno successivo, anche per poter continuare gli studi senza particolari tensioni, si destinò completamente al lavoro di gregario, approdando alla SCIC di Gian Battista Baronchelli e dell'enfant prodige Giuseppe Saronni. Finì il Giro al 79°, ma si dimostrò un'ottima pedina. Nel 1979, in maglia Magnigflex Famcucine, vinse la sua unica corsa da professionista, ma lo fece con una dimostrazione di valori davvero notevoli. Teatro, la tappa di Martinafranca del Giro di Puglia. Polini scattò agli 800 metri finali e seppe resistere al ritorno di due assi come Roger De Vlaeminck e Pierino Gavazzi. Quanto basta, per dire che il corridore part-time, di stoffa ne aveva. Nel 1980, alla Sanson di Francesco Moser e nel 1981 alla Bianchi Piaggio di Baronchelli, si mostrò il solito fedele gregario. A fine anno, consapevole che gli studi da medico non lasciavano troppo spazio al ciclismo, decise di chiudere l'attività agonistica per laurearsi. Per capire che uomo umile e generoso fosse Walter Polini, giova ricordare la più volte dichiarata sua incontenibile gioia nel raccontare quando, appena arrivato fra i professionisti, al Giro di Saredegna '77, Eddy Merckx lo avvicinò, gli rivolse la parola e gli diede una pacca sulla spalla, facendogli i complimenti per come sapeva animare la corsa. Quell'episodio, valeva per lui come una vittoria importante e non lo dimenticò mai.
André Vlayen (Bel)
Nato il 17 marzo 1931 a Herselt, ed ivi deceduto il 20 febbraio 2017. Passista veloce. Professionista dal 1952 al 1962 con 34 vittorie. Questo fiammingo, molto conosciuto in Italia a cavallo degli anni '60, per aver militato in formazioni della penisola, è uno stereotipo di come si possa essere tangibili, anche senza un maestoso palmares. Uno che c'era e si sentiva, al punto di appartenere al novero dei possibili protagonisti di vertice, per ogni gara di un giorno. Veloce, ma non velocissimo, dotato di progressione e sufficiente scatto, ottimo nella scelta di tempo, sia per quanto riguarda l'attacco solitario e sia nella doverosa attenzione che prestava verso quei tentativi di fuga a mo' di gruppetto, che potevano raggiungere un positivo esito. Un corridore che ha messo a segno dei colpi in grado di lasciare un segno anche sugli albi d'oro di un certo prestigio. Su tutti, la doppietta nel '56 e '57, nel Campionato Nazionale su strada. Notevoli anche i trionfi al Tour de l'Ovest e nel GP Liberation nel '54, nel Giro del Belgio '56, nell'Attraverso il Belgio e nel GP Ockers nel 1958. Un gran bel corridore insomma, simpatico e sinceramente appassionato verso il suo sport divenuto mestiere, nonché capace, come pochi, di smettere quando la parabola iniziava a scendere un po' troppo, senza inutili e dispendiosi prosiegui. Anche a carriera finita, ha continuato ad andare in bicicletta e a divertirsi a gareggiare fra i Master. Sempre dispensando sorrisi, da gran signore, quale era per tutti. Fino a pochi giorni fa, quando sulla soglia di 85 anni, un arresto cardiaco se l'è portato via, proprio mentre pedalava.
Maurizio Ricci detto Morris
Nato il 30 marzo del 1967 a Brunstatt, fu professionista dal 1899 al 1905. Francese, anche se di padre d'origine americana. Soprannominato "Le Grimpeur", dopo la vittoria nella Parigi-Tours del 1901, la sua "chicca" di carriera, si segnalò nel Tour de France 1903, dove finì 5° e colse diversi piazzamenti di tappa. Corse da isolato, come tanti nel periodo, spinto da un desiderio immanente di sfida, con se stesso e con gli altri. Proprio quando i risultati e la popolarità raggiunta gli consentirono di trovare, finalmente, un accasamento in seno alla Peugeot-Wolber, chiuse l'attività, ed emigrò negli Stati Uniti. Qui, di lui si sono perse tracce. Non è un avo di Gary Fischer, il padre della mountain bike.
Luciano Luciani
Nato a Velletri (Roma) il 17 marzo 1944. Passista veloce, pistard (stayer) e ciclocrossista. Alto m. 1,68 per 62 kg. Professionista dal 1966 al 1972 con una decina di vittorie nel cross, nessuna su strada.
Luciani cominciò a correre nel 1962. Ad una buona predisposizione su strada, aggiunse molto presto grandi qualità nel ciclocross. Qui, iniziò da subito ad essere un vincente con tanto di proiezione nazionale, anche se i suoi successi erano per la gran parte colti al centro sud. Nel 1964 con la maglia della Volsci di Velletri, iniziò a vincere su strada, cogliendo fra le altre la vittoria nel Circuito del Tuoro. Poi, sempre col medesimo sodalizio ed a meno di quattro anni dal debutto assoluto su una bicicletta, si guadagnò la stima di tutto l’osservatorio ciclistico, siglando un 4° posto assoluto (categoria unica dilettanti e professionisti) ai Campionati Italiani di ciclocross, che gli valse l’azzurro per i Mondiali di Beasain, in Spagna. Qui, costretto al ritiro il fuoriclasse Renato Longo, fu proprio il giovanissimo Luciani a difendere l’onore della selezione azzurra, chiudendo 5° a 1’32” dal vincitore Erik De Vlaeminck. A fine ’66 passò professionista e nel ’67 difese saltuariamente i colori dell’Amaro 18 Isolabella Nella stagione su strada chiuse 5° il GP di Chieti ed in quella di cross, finì 8° ai Mondiali, mentre agli Italiani fu tolto di gara da una foratura. L’anno successivo s’accasò alla Kelvinator e provò pure la strada, ma fu ancora una volta il ciclocross a dargli notorietà: 3° fra i prof in Italia e 5°, primo degli italiani, ai Mondiali di Lussemburgo. Nel 1969 sfiorò l’exploit di battere il comunque già anziano Renato Longo ai Tricolori: fu battuto allo sprint per soli 20 centimetri. Al Mondiale di Magstadt, in Germania, chiuse 4° dietro Longo e perse il podio per due soli secondi. Il fatto di essere divenuto un’icona del cross e di mostrare disponibilità a correre su strada e su pista, consentì a Luciani di guadagnarsi un contratto con la GBC, con la quale resterà fino a tutto il 1971. A maggio ’69 partecipò al Giro d’Italia dove si ritirò alla 20° tappa che si concludeva a Cavalese. Su pista finì 3° ai Tricolori di Mezzofondo (Stayer) e si guadagnò la selezione per i Mondiali di Anversa, dove però non superò le batterie. Nel 1970 superò Longo vincendo il GP di Velletri e chiuse 11° il Mondiale di Zolder, mentre su strada si ritirò alla 10a tappa del Giro d’Italia, che si concludeva a Rivisondoli. Nel 1971 fu costretto al ritiro al Mondiale di Cross di Apeldoorn, ed al Giro d’Italia fu tolto di gara da una forte indisposizione già alla 2a tappa che si concludeva a Potenza. Il calo di rendimento lo spinse a chiudere con l’agonismo a fine ’71, poi ci ripensò, accasandosi per il ’72 alla Commercio Petroli. Ma non aggiunse nulla di concreto, ed a fine stagione appese la bicicletta al chiodo.
Walter Polini
Nato a Costa Volpino (BG) il 17 marzo 1955 e deceduto a Torino l’8 dicembre 2002. Passista, alto 1,83 m. per 71 kg. Professionista dal 1977 al 1981 con una vittoria.
Quando seppi della sua morte, rimasi molto scosso: se ne era andato un coetaneo, ed uno dei corridori che, nel silenzio della sua comunque positiva carriera, seguivo con più interesse, per i risvolti certo poco comuni della sua vita di ciclista. Walter, correva di giorno e studiava di notte, da medico: una rarità incredibile per il ciclismo. Che dovesse pagare la sua cultura, tra l'altro votata a sani principi, nel pedale di oggi, per chi scrive, era nella logica più ovvia. Infatti, dopo essersi laureato e finita la carriera agonistica, divenne dirigente e medico sportivo di formazioni dilettantistiche, fino a ricoprire il massimo incarico sanitario in una squadra di professionisti. Qui, scoprì e denunciò le pratiche di doping, col risultato di essere messo al muro dall'ambiente e licenziato per incapacità (!) dal sodalizio nel quale operava e dove, forse, era già molto se i dirigenti dello stesso, riuscivano a scrivere la propria firma. Un uomo, Polini, che amava lo sport ed il ciclismo in particolare, come fosse un figlio. Le sue denunce, le prime in assoluto così particolareggiate, della triste storia del doping in Italia, non erano altri che un atto d'amore verso la disciplina ciclistica e di quell'etica che ormai non fa più parte dell'ellisse umana. Rifiutato dall'ambiente nel quale era vissuto, passò ad operare nel calcio. Quando morì, l'8 dicembre 2002, era da circa tre anni il medico sociale dell'Atalanta, la squadra della sua città. Se ne andò stroncato da un attacco di cuore, che lo colse in una camera d'albergo, a Torino, la mattina, all'ora di pranzo, prima di una partita di campionato. La passione verso il ciclismo coinvolse Walter già da bambino e quando esordì, si mostrò subito molto bravo. Da dilettante, la sua crescita apparve travolgente. Dotato di un fisico possente e statuario, si mostrò passista di notevolissime doti, capace, tra l'altro, di tenere bene in salita e con un discreto spunto veloce. Cominciò a collezionare classiche e maglie azzurre. Partecipò ai Mondiali e ai Giochi del Mediterraneo '75, alla durissima Praga-Varsavia-Berlino, sia nel '75 che nel '76. Dopo una quarantina di vittorie, colte per lo più col piglio del gran corridore, passò professionista nel '77, all'interno di una squadra, la GBC, che raccoglieva diversi giovani talenti. Si comportò subito bene, animando le corse con le sue incredibili "trenate", giungendo secondo nella tappa del Giro del Belgio che si concludeva a Jambes e finendo il Giro d'Italia al 39° posto. L'anno successivo, anche per poter continuare gli studi senza particolari tensioni, si destinò completamente al lavoro di gregario, approdando alla SCIC di Gian Battista Baronchelli e dell'enfant prodige Giuseppe Saronni. Finì il Giro al 79°, ma si dimostrò un'ottima pedina. Nel 1979, in maglia Magnigflex Famcucine, vinse la sua unica corsa da professionista, ma lo fece con una dimostrazione di valori davvero notevoli. Teatro, la tappa di Martinafranca del Giro di Puglia. Polini scattò agli 800 metri finali e seppe resistere al ritorno di due assi come Roger De Vlaeminck e Pierino Gavazzi. Quanto basta, per dire che il corridore part-time, di stoffa ne aveva. Nel 1980, alla Sanson di Francesco Moser e nel 1981 alla Bianchi Piaggio di Baronchelli, si mostrò il solito fedele gregario. A fine anno, consapevole che gli studi da medico non lasciavano troppo spazio al ciclismo, decise di chiudere l'attività agonistica per laurearsi. Per capire che uomo umile e generoso fosse Walter Polini, giova ricordare la più volte dichiarata sua incontenibile gioia nel raccontare quando, appena arrivato fra i professionisti, al Giro di Saredegna '77, Eddy Merckx lo avvicinò, gli rivolse la parola e gli diede una pacca sulla spalla, facendogli i complimenti per come sapeva animare la corsa. Quell'episodio, valeva per lui come una vittoria importante e non lo dimenticò mai.
André Vlayen (Bel)
Nato il 17 marzo 1931 a Herselt, ed ivi deceduto il 20 febbraio 2017. Passista veloce. Professionista dal 1952 al 1962 con 34 vittorie. Questo fiammingo, molto conosciuto in Italia a cavallo degli anni '60, per aver militato in formazioni della penisola, è uno stereotipo di come si possa essere tangibili, anche senza un maestoso palmares. Uno che c'era e si sentiva, al punto di appartenere al novero dei possibili protagonisti di vertice, per ogni gara di un giorno. Veloce, ma non velocissimo, dotato di progressione e sufficiente scatto, ottimo nella scelta di tempo, sia per quanto riguarda l'attacco solitario e sia nella doverosa attenzione che prestava verso quei tentativi di fuga a mo' di gruppetto, che potevano raggiungere un positivo esito. Un corridore che ha messo a segno dei colpi in grado di lasciare un segno anche sugli albi d'oro di un certo prestigio. Su tutti, la doppietta nel '56 e '57, nel Campionato Nazionale su strada. Notevoli anche i trionfi al Tour de l'Ovest e nel GP Liberation nel '54, nel Giro del Belgio '56, nell'Attraverso il Belgio e nel GP Ockers nel 1958. Un gran bel corridore insomma, simpatico e sinceramente appassionato verso il suo sport divenuto mestiere, nonché capace, come pochi, di smettere quando la parabola iniziava a scendere un po' troppo, senza inutili e dispendiosi prosiegui. Anche a carriera finita, ha continuato ad andare in bicicletta e a divertirsi a gareggiare fra i Master. Sempre dispensando sorrisi, da gran signore, quale era per tutti. Fino a pochi giorni fa, quando sulla soglia di 85 anni, un arresto cardiaco se l'è portato via, proprio mentre pedalava.
Maurizio Ricci detto Morris