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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 26 marzo
#1
Giuseppe Azzini
[Immagine: 15886970951325Azzini,Giuseppe.jpg]
Nato a Gazzuolo il 26 marzo 1891, deceduto a Ospedaletti l'11 novembre 1925. Completo. Professionista dal 1912 al 1924 con sette vittorie.
Il più giovane della purtroppo tragica dinastia degli Azzini (come i fratelli Ernesto e Luigi perì giovane per tisi), si mise in luce già tra i dilettanti, al punto di conquistare oltre al prestigioso Giro dell'Umbria anche lo specifico Campionato Italiano, nel 1911. A causa della Prima Guerra Mondiale, nella quale combatté sul fronte italiano e del suo carattere generoso, nell'elite del ciclismo ottenne soltanto qualche sporadica vittoria e, soprattutto, molti piazzamenti, ma fu ugualmente capace di dimostrare una levatura tra le migliori dei suoi tempi. Fu protagonista, un mese dopo la stupenda vittoria nella Milano Torino, di un grande Giro d'Italia nel 1913, l'ultimo con la classifica determinata dai punti e non dai tempi.
Un'edizione che avrebbe sicuramente vinto, se non fosse incappato in un errore che riassumeva come meglio non si potrebbe, il corso eroico del ciclismo di quell'epoca. Dopo cinque tappe corse da grande campione - 2° a Roma, 1° a Salerno e a Bari, 2° a Campobasso e ad Ascoli Piceno - ed il conseguente primo posto in classifica generale conquistato, si concesse una giornata di relativo riposo nella frazione che si concludeva a Rovigo, fermandosi esausto, in un cascinale a rifornirsi e a dormire un po'. Ma quel po', si dipanò per alcune ore, troppe perché i 413 chilometri di quella tappa, gli consentissero recuperi dalle ultimissime posizioni. E così nella serata rodigina si trovò a cedere il primo posto ad Oriani che poi vinse ed il secondo a Pavesi, ed a Milano, due giorni dopo, Azzini finì il Giro dietro ai due. Anche nell'edizione della corsa "non ancora rosa" del 1914, quella tremenda con soli otto atleti classificati, Giuseppe fu protagonista: vinse le tappe di Avellino e Bari, dove conquistò il primato nella generale, ma un paio di giorni dopo fu costretto al ritiro. Dopo il conflitto il ruolo di Giuseppe cambiò, liberando la sua indole generosa e divenne una spalla di grande valore. Dal fisico imponente, il suo essere gran faticatore e valido passista - come dimostrano i 2 successi nel Giro della Provincia di Milano 1920 (con Belloni) e 1921 (con Girardengo) - trovò la simpatia e la riconoscenza dei grandi campioni (Girardengo stravedeva per lui), ed il suo curriculum si diradò anche di piazzamenti. Afflitto inesorabilmente dalla tisi (dovuta probabilmente alla troppa polvere respirata durante la carriera), si spense prematuramente, come i suoi fratelli, all'età di 34 anni.

Dante Gianello (Fra)
[Immagine: 16431890261325Gianello,Dante4.jpg]
Nato a Chiesa (Italia) il 26 marzo 1912, deceduto a Privas (Franca) il 14 novembre 1992. Professionista dal 1935 al 1945 con 30 vittorie.
Emigrò in Francia con la famiglia nel 1925. Qui, abitò prima a Beaulieu sur Mer (Alpi Marittime) fino al '28, poi a Fontan fino al novembre del '29, per poi stabilirsi a Nizza. Come gran parte degli immigrati dell'epoca, seguendo le orme del padre, iniziò a praticare il mestiere di muratore, ed il 22 gennaio del '31, ottenne la cittadinanza francese. La bicicletta fu per lui, come per tanti emigranti, il principale mezzo di trasporto prima, ed una occasione sportiva per integrarsi nel nuovo paese poi. Contrariamente a tanti altri, nella volontà sportiva, non fu osteggiato dalla famiglia ed in particolare dal padre e già da aspirante, con le maglie della ES Cannes, poté mettersi in bella evidenza. Passò al professionismo nel '35, piazzandosi spesso e cogliendo subito un paio di belle corse: il GP Peugeot di Mulhouse e, soprattutto, la Nizza-Tolone-Nizza. Già nell'anno del debutto, partecipò al Tour de France, emergendo per piazzamenti e per comportamento: a Parigi chiuse 21°. Ottimo scalatore, seppe cogliere in carriera una trentina di successi, fra i quali spicca la Cannes Dignes - 13a tappa del Tour de France del '38 (in quello successivo passò in testa, ad una mitica montagna come il Galibier), il Circuit del Ventoux sempre nel '38, il Tour du Vaucluse '39, la Vichy-Limoges '41, la Limoges-Vichy-Limoges '42, il GP delle Alpi '43. Nel dopoguerra, ritornò pimpante, vincendo nel luglio del '45 la gara a tappe del Criterium du Midi. Un mese dopo però, durante la disputa del G.P. Debarcquement, venne investito da una jeep di soldati americani e perse una gamba. L'invalidità lo spinse a cambiare completamente le coordinate di vita e scelse la strada meno pronosticabile. Essendo una persona splendida ed assai considerata nell'ambiente, seppe divenire giornalista sportivo e, nel '49, fu pure incaricato di dirigere la Selezione Francese del Sud-Est, al Tour.

Enrico Paolini
[Immagine: 15293226441325Paolini,Enrico.jpg]
Nato a Pesaro il 26 marzo 1945. Passista veloce alto m. 1,74 per kg. 65/66. Professionista dal 1969 al 1979, con 37 vittorie.
Con questo corridore marchigiano, capace di salire su punti evidenti della storia del ciclismo italiano, si incontra un esempio di indirizzo contrario ai tanti che hanno bruciato le loro migliori facoltà fra i dilettanti.
Certo, perché Enrico, fra i "puri", era uno che non sembrava per nulla il campione che poi è divenuto, anzi, pareva un predestinato ad appendere in anticipo la bicicletta al chiodo, senza l'opportunità di provare l'esperienza nell'élite del ciclismo.
All'indomani delle Olimpiadi di Città del Messico, quando il mondo dei professionisti spalancò le porte ad una settantina di dilettanti, il posto per Paolini non pareva esserci proprio. Fu il suo capitano fra i "puri", il reggiano Wainer Franzoni, a raccomandarlo in maniera decisiva alla Scic, che stava allestendo una squadra attorno a Vittorio Adorni. Morale: Franzoni, gran bel dilettante, dopo due anni incolori, chiuse la carriera e l'anatroccolo Paolini divenne un cigno destinato a segnare un decennio.
Cosa abbia trattenuto il pesarese fra i dilettanti, rimane un mistero, anche se è abbastanza logico pensare a quella lenta maturazione che fa parte del gioco di variabili dell'ellisse di un atleta. Una realtà che molti tecnici o pseudotecnici del ciclismo, i più manichei e scarsi in assoluto fra gli sport alla luce della carriera interdisciplinare di chi scrive, difficilmente accettano e concepiscono. Enrico Paolini stava per essere vittima di tutto questo e, per fortuna... arrivò Franzoni.
Nacque così la bella storia agonistica di questo coriaceo e serio professionista che passò l'intero segmento fra i prof, all'interno di un'unica squadra (anche questa una rarità), la Scic, appunto. Fu tre volte campione d'Italia ('73, '74 e '77), vinse sette tappe al Giro d'Italia, cinque al Giro di Svizzera, due al Midi Libre, una al Tour de l'Aude, una al Giro di Sardegna, quindi le classiche nazionali G.P. Camaiore ('69), Giro dell'Umbria ('72), Giro del Veneto ('72), la Tre Valli Varesine (Campionato Italiano '73), G.P. Belmonte Piceno '73, Milano-Vignola (Campionato Italiano '74), Coppa Bernocchi ('75), Giro dell'Emilia ('75), Giro della Provincia di Reggio Calabria ('75), Milano-Torino ('76) e il G.P. d'Intelvi ('77).
Fu sfortunato al Tour perché nelle edizioni '70 e '71 fu tolto di gara da due gravi cadute. Nel '71 prima di ritirarsi era riuscito a cogliere un secondo posto a Mulhouse.
Andò meglio nel Tour del '76, quando, finalmente libero dagli attacchi della malasorte, arrivò a sfiorare più volte il successo, cogliendo tre secondi posti e tre terzi posti. A questi piazzamenti di prestigio ne vanno aggiunti tantissimi altri in gare importanti, o in vere e proprie classiche. Su tutti, la piazza d'onore nel Giro di Lombardia '75, quando fu beffato da Francesco Moser. Quanto basta per dire che Enrico Paolini fu veramente un evidente del ciclismo degli anni Settanta (chiuse la carriera nel 1979).
Del pesarese stupivano tre aspetti: il frequente sorriso, la cordialità e la serietà. Tre presupposti fondamentali per farsi voler bene e poter correre nelle condizioni ideali, al fine di ottenere il massimo del proprio potenziale. Non gli costarono sacrificio i soventi ruoli di luogotenente, o vero e proprio gregario per i tanti big che vestirono le maglie bianco-nere della Scic: era il suo modo di interpretare lo sport, in sincronia col suo carattere. Forse gli è mancato l'acuto in una classica monumento, ma resta intatta la sua linea di ottimo corridore su tante variabili di una disciplina che continua ad amare anche oggi, vivendola nel ruolo di direttore sportivo.

Allan Peiper (Aus)
[Immagine: 16250789451325Peiper,Allan.jpg]
Nato ad Alexandra (Stato di Victoria- Australia) il 26 marzo 1960. Passista, alto 1,82 per 77 kg. Professionista dal 1983 al 1992 con 30 vittorie.
Un corridore che ebbe buone giornate e che avrebbe potuto tracciare un solco più profondo nel romanzo del ciclismo, se fosse stato più egoista e meno generoso. Un uomo squadra e non stupisce di certo vederlo oggi nelle vesti di direttore sportivo, perché il mestiere lo ha imparato bene spingendo i pedali, quando faceva la spalla o il gregario, ed aveva il compito di spiegare la tattica di gara, perché ai suoi tempi, le radioline non c’erano. Insomma un amore verso il pedale che poté concretizzarsi, perché fu presto disponibile a trasferirsi in Europa, proprio per non rimanere marginale come poteva essere il ciclismo della sua terra così lontana geograficamente dal fulcro del pedale.
Arrivò ventenne in Belgio e qui strinse amicizia con Eddy Planckaert di due anni più anziano, col quale militò fra i dilettanti per una stagione, ed insieme fecero razzia di traguardi. Peiper visse addirittura per un periodo a casa dei Planckaert, Poi le loro strade per qualche tempo si divisero, Eddy passò prof mentre Allan rimase ancora un paio d’anni fra i dilettanti. Si ritrovarono nel medesimo team nel 1986, all’interno dell’epocale squadrone della Panasonic. Peiper che era passato professionista nell’83, arrivò alla squadrone diretto da Peter Post, dalla francese Peugeot  e chiuderà la carriera agonistica alla Tulip Computers.
Le sue principali vittorie da professionista furono una tappa all'Étoile de Bessèges, una tappa e la classifica generale del Tour de l'Oise, una tappa al Critérium du Dauphiné Libéré, una tappa e la classifica generale del Giro di Svezia nel 1984. Indi una tappa alla Parigi-Nizza e una tappa al Tour de l'Oise nel 1985. Vinse poi il Grand Prix Raymond Impanis e una tappa al Giro del Belgio e tre tappe all'Herald Sun Tour nel 1986, il Circuit des Frontières, una tappa al Tour of Britain e il Grand Prix d'Isbergues nel 1987; una tappa al Giro d'Irlanda e due tappe all'Herald Sun Tour nel 1988. Indi  il suo successo forse più importante: la tappa di Klagenfurt al Giro d'Italia 1990. Partecipò a cinque edizioni del Tour de France, cinque del Giro d'Italia, una della Vuelta a España ed a quattro Mondiali su strada. Chiusa l’attività agonistica, passò sull’ammiraglia. Oggi è in forza alla UAE Team Emirates di Tadej Pogacar.  

Maurizio Ricci detto Morris
 
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