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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 27 aprile
#1
Karl Litschi (Sui)
[Immagine: 16422286381325Litschi,Karl.jpg]
Nato a Felben il 27 aprile 1912, deceduto ad Andelfingen il 18 marzo 1999. Passista, Ciclocrossista e pistard. Professionista dal 1936 al 1947 con 21 vittorie.
Tre volte campione nazionale dei dilettanti e due dei professionisti (1939 e 1941), l'elvetico Karl Litschi fece parte di quella schiera di ottimi elementi che il piccolo Stato rosso-crociato seppe mettere in campo negli anni '40. La sua maggiore affermazione l'ottenne al Giro della Svizzera del 1937, ma di rilievo sono anche il Giro del Nord-Ovest (1938) e il Campionato di Zurigo del 1939. Nelle prove sostenute all'estero, terminò ottavo al Giro d'Italia del 1938 e al Tour de France 1939 si aggiudicò la tappa di Pau, a cronometro.
Tutte le sue vittorie. 1936: Ciclocross International di Zuri-go. 1937: Giro di Svizzera; 5a Tappa del Giro di Svizzera; Classifica GPM al Giro di Svizzera; Campionato Nazionale di ciclocross; Criterium di Losanna. 1938: Giro del Nord-Ovest; Giro di Berna; Criterium di Zurigo I; Criterium di Zurigo II, Criterium di Morat. 1939: Campionato Nazionale su strada; Campionato di Zurigo; 8a Tappa (b) del Tour de France; 5a Tappa del Giro di Svizzera; GP di Cannes, Criterium di Balsthal. 1940: Campionato Nazionale in salita; Campionato Nazionale dell'inseguimento. 1941: Campionato Nazionale su strada; Campionato Nazionale in salita; GP Locle.

Ezio Pizzoglio
[Immagine: 1523040293184951962Pozzoglio,Ezio.jpg]
Nato il 26 aprile 1937 a Ternengo (Biella) ed ivi deceduto il 22 maggio 2006. Passista scalatore, alto m. 1,80 per kg. 65. Professionista dal 1958 al 1961, senza ottenere vittorie.
Un corridore di valore migliore rispetto al narrato dell’osservatorio e da quel che emerge dal curriculum che, come sempre, non contempla eventuali particolari accadimenti.
Ezio Pizzoglio, ottimo dilettante, poteva essere anche un buon corridore professionista, ma la sua carriera, di fatto, venne deviata dalle conseguenze di una grave caduta nella tappa di Roubaix al Tour de France 1961.
Cresciuto nell’Unione Sportiva Vallestrona mostrò presto cospicue attitudini verso le corse dal percorso aspro, con salite e quello sterrato che, ai tempi, era una variabile potremmo dire costante.  Si mostrò inoltre ben attrezzato verso le distanze più lunghe e, questo, faceva presagire una evoluzione positiva anche in direzione della meta del professionismo. Da dilettante, nel biennio 1956-’57 fu a tutti gli effetti uno dei migliori corridori italiani per copiosità di successi, comportamenti in gara e punte tecniche, in particolare in salita, di ottima prospettiva. Tra i suoi successi di quel lasso, vanno segnalati per importanza, cast e per il modo di ottenerli, la Coppa Giulio Burci, il Giro dei Tre Laghi, il Gran Premio Rino Piccoli, la Coppa Mocchetti a Legnano, la Coppa Giacomo Silvio Guelpa e il durissimo Circuito delle Camminate a Forlì. Entrato nel gruppo azzurro del Commissario Tecnico Giovanni Proietti, fu schierato il 17 agosto 1957 ai Campionati Mondiali di Waregem. Qui, il suo comportamento, mentre Arnaldo Pambianco si trovava da solo al comando, non fu giudicato dallo staff e da taluni compagni, in sincronia coi dettami di Proietti. In sostanza, lo si accusò di inseguimento all’azzurro al comando, risultando alla fine importante nel vincente affondo del belga Louis Proost, che raggiunse Pambianco a poche centinaia di metri dal termine e lo batté in volata. Pizzoglio ha sempre negato l’inseguimento, dicendo che si trattava di rottura di cambi. Aldilà della risonanza anche giornalistica di quel pomeriggio, la carriera di Pizzoglio non fu modificata o deviata. Infatti, nel 1958, passò professionista in seno alla Coppi-Ghigi e dopo una stagione di assestamento e non certo densa di piazzamenti (il migliore fu il 19° del Giro di Lombardia), fu atteso alla maturazione senza pressioni dalla Carpano di Vincenzo Giacotto che lo inserì nel 1959 nei ranghi bianconeri. Nell’anno i migliori piazzamenti furono l’8° posto nella Genova-Nizza, il 12° alla Milano-Torino, il 16° nella Coppa Agostoni e il 17° nella Milano-Vignola. Di ben altro spessore, fu la stagione 1960 di Ezio. Prima del Giro d’Italia fu schierato dalla Carpano al Giro di Romandia, dove giunse 2° nella tappa di Colombier, 6° in quella 
di Nyon a cronometro (vinta da Anquetil sui Venturelli) e finì 4° nella classifica finale.  Nella sua prima “Corsa Rosa”, arrivò 4° nella frazione di Livorno e chiuse il Giro a Milano 16°. Fi poi schierato al Tour de Suisse, dove finì 2° nella tappa di Davos e chiuse il Tour 11°. Tornato in Italia fu 3° nella Coppa Bernocchi, 8° nel GP Industria di Quarrata e, soprattutto, chiuse l’anno con un gran bel 5° posto al Giro di Lombardia. Giacotto, per dargli ancora più spazio lo dirottò nel 1961 alla Baratti. E l’inizio di Pizzoglio evidenziò la sua crescita. Finì 2° nella “Due Giorni di Bordighera”, 8° nel Giro di Monaco e chiuse le classiche del nord col miglior piazzamento: 11° nella dura Liegi-Bastogne-Liegi. Al Giro d’Italia fu 4° nella tappa di Milazzo, 8° in quella di Vicenza, 3° nella tappa di Trento e 9° nella durissima frazione dello Stelvio. A Milano concluse il Giro al 19° posto. Il buon andamento del Giro e la sua crescita spinsero il CT Covolo a schierarlo nella Nazionale per il Tour de France. Ma qui, alla seconda tappa, quella che si concludeva a Roubaix, Ezio si trovò coinvolto in una delle sette cadute, di quella giornata che coinvolsero una trentina di corridori. Sei dei quali furono ricoverati in ospedale. Purtroppo, uno dei più gravi fu proprio Pizzoglio che riportò una leggera frattura e una brutta contusione cranica dalla quale faticò a riprendersi. Giorni con scarsa sensibilità e parziale paralisi alle dita della mano sinistra e, soprattutto, un lungo lasso senza la capacità di parlare. Tornò in Italia dopo un ricovero di 18 giorni. Con grandissima volontà, tornò a correre già nel finale di stagione, ma non era più lui. Ne ebbe la prova nel 1962, sempre in Carpano, dove all’8° posto del GP Nizza, poté aggiungere solamente piazzamenti belle massime retrovie. Pochissimo per uno come lui, che era votato a stare davanti, A fine stagione, a soli 25 anni, lasciò l’agonismo.

Harry Steevens (Hol)
[Immagine: steevens44.jpg]
Nato a Elsloo (Olanda) il 27 aprile 1945. Passista. Professionista dal 1966 al 1972 con 38 vittorie.
Con Harry, all'anagrafe Henri e per tutti Harrie, la famiglia Steevens, che già aveva dato al ciclismo i solo discreti Henk e Leo, finalmente trovò il proprio campioncino.
Ottimo dilettante, tra l'altro pure molto precoce. A diciannove anni partecipò alla prova su strada delle Olimpiadi di Tokyo. Negli anni successivi, si confermò un "puro" di vertice, affermandosi su prove di carattere internazionale, fino a sfiorare l'iride nella "Cento chilometri a squadre" nel 1966.
Passato al professionismo tre settimane dopo la rassegna iridata, il 18 settembre, fece in tempo a vincere il Criterium di Ossendrecht, prima di trascorrere l'inverno a correre le Sei Giorni.
Il colpo di pedale proveniente dalla pista, gli fu utile nella primavera del '67, dove s'affermò in 7 kermesse, prima di giungere terzo nell'Amstel Gold Race.
Il resto dell'anno non gli portò successi, ma tanti piazzamenti. Nella stagione successiva i suoi migliori acuti, grazie alle vittorie, fra le undici complessive, nella Paris-Camembert, nel Tour del Nord a tappe (dove vinse pure una frazione), nel GP Willem II, nel Giro delle Regioni di Frontiera, in una tappa del Giro dell'Andalusia e, soprattutto, a duecento metri da casa sua, nell'Amstel Gold Race. Partecipò con la nazionale olandese ai Mondiali di Heerlen, dove finì 18°. Dodici furono i suoi successi nel 1969, ma in gare di terza fascia, mentre in quelle più importanti raccolse qualche piazzamento. In altre parole si dimostrò ottima spalla, ma non quel corridore che si pensava fra i dilettanti. Si migliorò nel '70, vincendo meno corse, sei, ma di migliore qualità: sulle altre il GP d'Orchies e una tappa al Giro della Svizzera. Nel '71, la sua flessione fu più marcata, anche per l'insorgere di problemi fisici: solo un successo a Rijen. Una sciatica lo fece gareggiare pochissimo nel '72, ed a fine stagione, a soli 27 anni, abbandonò l'attività. Un buon corridore, probabilmente, come tanti nella storia del ciclismo, sciupatosi troppo fra i dilettanti.

Duilio Taddeucci
[Immagine: 1225017877Scannen0030.jpg]
Nato a Terranova Bracciolini (AR) il 27 aprile 1936. Passista. Professionista dal 1958 al 1960 con una vittoria.
Una figura che passa inosservata nella storia ciclistica, ma in possesso di tutti quei valori che determinavano il ciclista in un forzato della strada in origine, ed in un semi-servo ridotto alla sofferenza per antonomasia, poi. Dopo esser stato un buon dilettante, ed alla giusta età, questo corridore aretino, dal fisico compatto e per taluni aspetti gladiatorio, passò professionista sul finire del 1957, giusto in tempo per chiudere 8° il Trofeo Baracchi in coppia con Aurelio Cestari. E nel 1958, in seno all'ambiziosa San Pellegrino, raccolse una bella serie di piazzamenti: 3° nella Coppa Bernocchi, 5° nel Gran Premio Biagioni, 8° nella Coppa Agostoni, 24° nella Tre Valli Varesine e 27° nel Giro di Lombardia. Nel 1959, passò alla Emi, accanto al già mitico scalatore Charly, Gaul, detto l'Angelo della Montagna. Fu un anno importante anche per Taddeucci, che ruppe il ghiaccio, vincendo la tappa, Siracusa-Ragusa, del Giro di Sicilia. Poi si dedicò completamente al lavoro di gregario. E nella stagione successiva, dopo essere tornato in seno alla San Pellegrino, si trovò a recitareal suo primo e unico Giro d'Italia, il ruolo-essenza del gregario, sostenendo, spingendo e assistendo il capitano alla deriva: in questo caso il più grande incompiuto della storia ciclistica italiana, Romeo Venturelli. La tappa in questione era la quinta, che da Pescara terminava a Rieti e Venturelli, che due giorni prima era in Maglia Rosa, era totalmente spossato dal mal di stomaco: a causa delle sue bravate alimentari. L'assistenza di Taddeucci fu commovente, ma fu inutile, perché Romeo abbandonò, e quel prodigarsi portò Duilio a compromettere il suo stesso Giro, nonché il resto di stagione. Poi, a fine stagione, una ulteriore beffa: il grigiore del suo 1960 lo rese disoccupato. Staccò la licenza per altri due anni, ma di fatto la sua carriera finì spingendo ed assistendo, lo scialacquatore formidabile Romeo Venturelli.

Maurizio Ricci detto Morris
 
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