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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 28 febbraio
#1
Djamolidine Abdoujaparov (Uzb)
[Immagine: Djamolidine_ABDOUJAPAROV.jpg]
Nato a Tashkent (Uzbekistan) il 28 febbraio 1964. Velocista. Professionista dal 1990 al 1997 con 66 vittorie.
Il ciclismo fu scelto per lui dall'allora URSS, che lo fece entrare nella nazionale a 18 anni. Non alto, ma compatto e dalla muscolatura possente nelle gambe, più che nelle braccia, si capì subito che ci si trovava di fronte ad un velocista di nota. Ed infatti, la sua lunga parentesi fra i dilettanti evidenziò un razziatore di traguardi da far paura. Tra l'altro, a differenza di tanti colleghi sprinter, era capace di tenere abbastanza in salita, dote, questa, che poi diverrà determinante fra i professionisti, per il raggiungimento di quelle classifiche a punti nei Grandi Giri, che rappresenteranno il distinguo più importante della sua carriera. Entrò nell'elite del ciclismo nel 1990 con l'Alfa Lum, la squadra di Primo Franchini, voluta da Ernesto Colnago per portare in Italia una formazione di talenti dell'Unione Sovietica. Nel 1991, l'esplosione di colui che divenne immediatamente per tutti il temibile "Abdu". La sua grinta e quella irruenza con la quale lottava negli sprint fino all'ultimo metro, gli diede l'immagine di corridore brusco e scorretto. In realtà le sue scorrettezze erano più che altro dovute ad intrinseci difetti di Abdu sulla bici, proprio per la sproporzione fra le masse muscolari delle gambe e delle braccia. Ciò lo portava naturalmente ad ondeggiare lateralmente oltre il dovuto, nel momento in cui si alzava sui pedali, ed in più il capo nel momento dello sforzo, s'abbassava parallelo all'asfalto e gli occhi non guardavano spesso in avanti. In altre parole, occupava da solo una larghezza di circa un metro e mezzo e l'orientamento era suscettibile di deviazioni marcate senza la volontà precisa di tagliare la strada agli avversari. Prova ne fu quella incredibile e grottesca caduta che lo vide protagonista nell'ultima tappa del Tour de France 1991, quando, da solo e senza nessun disturbo, pedalò in maniera screziata verso le transenne, urtando la borraccia pubblicitaria della Coca Cola, per poi finire sull'asfalto come una scheggia impazzita.
In questo quadro, memorabile fu la rivalità con Mario Cipollini, proprio per l'enorme differenza insistente fra i due stili di sprint: lineare e regale nell'italiano, ondeggiante e screziato nell'uzbeko. Una rivalità che incise sugli ordini di arrivo, facendo lavorare non poco i giudici, come nel caso della Gand Wevelgem del 1991 e del 1992, dove a passare primo sulla linea fu "Abdu", ma nel secondo caso fu squalificato per volata irregolare. In ogni caso, Djamolidine, segnò un lustro abbondante di cronache vittoriose o di protagonismo, particolarmente nelle grandi corse a tappe: vinse una frazione al Giro d'Italia, 7 alla Vuelta di Spagna e 9 al Tour de France (è stato il primo ciclista asiatico a vincere una tappa al Tour). Inoltre, caso rapissimo ed unico con queste consistenze, Djamolidine, ha vinto la speciale classifica a punti al Giro '94, alla Vuelta '92 e tre volte al Tour de France ('91, '93 e '94). A livello di singole corse, nel suo palmares, spicca la Gand Wevelgem 1991. Interruppe la carriera nel 1997, a causa di ripetute positività ai controlli antidoping, rimanendo a vivere per un bel lasso in Italia, dove, tra l'altro, aprì un allevamento di piccioni. Un personaggio. Uno che, nell'era dei treni, gli aiuti multipli, li ha avuti in misura minore a tanti avversari.
Il suo ruolino anno per anno.
1991: Gand Wevelgem; 1a e 4a Tappa del Tour de France; Classifica a punti del Tour de France; 7a Tappa del Giro di Catalogna; 2a e 4a Tappa della Vuelta a Murcia; Giro di Sicilia; 2a Tappa del Giro di Sicilia; Giro del Piemonte (ITA); GP Montreal. Piazzamenti importanti: 4° nella Milano Sanremo. 1992: 2a (a), 4a, 11a e 21a Tappa della Vuelta di Spagna; Classifica a punti della Vuelta di Spagna; 5a e 6a Tappa della Vuelta Communidad Valenciana; 1a Tappa Vuelta Ciclista a Murcia; 3a Tappa Kellogg's Tour of Britain. 1993: 3a, 18a e 20a Tappa del Tour de France; Classifica a punti del Tour de France; 9a, 12a e 20a Tappa della Vuelta di Spagna; 10a tappa Tour de Suisse; Criterium di Aulnat, Hendaye, Lisieux e Amiens. Piazzamenti importanti: 3° nella Gand-Wevelgem. 1994: 1a e 20a Tappa del Tour de France; Classifica a punti del Tour de France; 10a Tappa del Giro d'Italia; Classifica a punti Giro d'Italia; Classifica traguardi volanti Giro d'Italia; 3a e 8a Tappa della Parigi Nizza; 1a e 3a (a) Tappa della Tre Giorni di La Panne; 2a e 4a Tappa del Giro d'Olanda; 10a Tappa del Tour Dupont; GP Rik Van Steenbergen; Criterium di Bavikhove, Polynormand, Vayrac, Rosendaal, Draai van de Kaai e Elsloo. Piazzamenti importanti: 2° nella Tre Giorni di La Panne; 2° nel Giro d'Olanda; 2° nel Classic Haribo; 3° nel GP d'Escaut; 5° nella Gans Wevelgem. 1995: 20a Tappa Tour de France; 3a Tappa Tour Dupont; Criterium di Quilan. Piazzamenti importanti: 2° nella Classifica a punti del Tour de France; 5° nel GP d'Escaut. 1996: 14a Tappa Tour de France; Bordeaux-Cauderan; 2a Tappa Tirreno-Adriatico; 1a Tappa della Vuelta a Murcia; Criterium di Digione. 1997: 1a e 3a Tappa del Dauphine Liberé; 6a Tappa della Quattro Giorni di Dunkerque; Corsa della Cote Picarde.

Albert Bouvet (Fra)
[Immagine: 16419216661325Bouvet,Albert3.jpg]
Nato a Mellé (Francia), il 28 febbraio 1930, deceduto a Villeneuve-Saint-Georges il 20 maggio 2017. Professionista dal 1954 al 1964, con una trentina di vittorie fra strada e pista. Ottimo passista e corridore ardimentoso, ha saputo tagliarsi una fetta di notorietà nel ciclismo francese degli anni cinquanta, pur dovendo convivere con atleti di razza quali Bobet, Anquetil e Riviere. Dotato di buone progressioni diveniva anche veloce, soprattutto per arrivi giocati a ranghi ristretti a drappelli. Ciononostante, proprio con un arrivo di gruppo, vinse la corsa che gli diede notorietà, ovvero una classica come la Parigi-Tours, che fu sua nel 1956. Per 42 anni si poté vantare in patria di esser stato l'ultimo francese a vincere quella corsa. L'incantesimo fu poi rotto da Jacky Durand nel 1998. Tra le sue vittorie su strada il Tour de l'Orne ('54), la Manica-Oceano ('54), la Boucles du Bas-Limousin ('55), due tappe del Giro di Romandia ('59), nonché una lunga serie di criterium. Notevoli i suoi piazzamenti nelle gare contro il tempo, la sua principale qualità. Di nota i posti d'onore nel Gran Premio delle Nazioni '55 e '56 e nel Gran Premio della Svizzera nel '55. Su pista ha vinto ben cinque titoli francesi nell'inseguimento ed è giunto secondo die volte ai mondiali sempre battuto dal connazionale Riviere nel 1957 e 1959. Per le sue doti sul passo, Bouvet fu inserito nell'italiana Ignis nel 1961, seguendo le ultime orme agonistiche di Luison Bobet, ed ha poi chiuso la carriera facendo il gregario di Bahamontes nella Margnat Paloma. Dopo aver appeso la bicicletta al chiodo è divenuto giornalista del "Parisien Libére" indi dell'Equipe. Successivamente, il principale giornale sportivo francese, lo inserì nello staff organizzatore del Tour e delle altre grandi prove della testata, con l'incarico di direttore tecnico. Per anni, è stato il ricercatore degli angoli più sparuti di pavè, da inserire all'interno della Parigi Roubaix.

Davide Carli
[Immagine: 16409591611325Carli,Davide.jpg]
All'anagrafe Daniele, nato a San Leo (PU) il 28 febbraio 1966. Passista-scalatore, alto 1,60 per 58 kg. Professionista nel 1988 e '89, senza ottenere vittorie.
Un piccoletto che prometteva di più, molto di più e che, invece, si sciolse sul più bello. Davide Carli conobbe il ciclismo agonistico correndo, nell'autunno 1981, da cicloturista tesserato per un sodalizio sammarinese, una gara fra gli allievi. Andò benino e ci prese gusto. La primavera seguente entrò a far parte degli allievi del Pedale Riminese. Con questa società correrà fino al passaggio fra i professionisti. Nei due anni da allievo, colse 4 vittorie, ma fu da juniores che il suo modo di correre e di aggredire le salite, iniziò a piacere all'osservatorio. Vinse nove corse nella categoria. Da dilettante, dopo un urto iniziale, iniziò a far male vincendo, sia nel 1986 che nel 1987, la Coppa della Pace, una classica della categoria. Alla fine, le sue vittorie da dilettante, furono una decina. Nel 1988 il passaggio fra i professionisti della Selca Ciclolinea. Ma nonostante i tempi giusti del salto e le sue qualità, non riuscì mai a trovare un idoneo inserimento. Nel 1989, corse un buon Giro dell'Umbria chiuso al 16° posto e partecipò al Giro d'Italia, che finì 139°. A fine '89 però, non ancora ventiquattrenne, decise di cambiare vita e mestiere.

Claudio Chiappucci
[Immagine: 16234971511325Chiapucci,Claudio.jpg]
Nato a Uboldo (VA) il 28 febbraio 1963. Passista scalatore. Professionista dal 1985 al 1998, con 71 vittorie comprese le speciali classifiche. Un atleta dalla maturazione lenta fra i professionisti, ma veloce ai traguardi nelle categorie minori, dove giunse al Titolo Italiano dilettanti di seconda serie nel 1982 e dove fu capace di lasciare tracce significative di ottimi valori. Passò al professionismo nel 1985, nelle file di una formazione come la Carrera, che aveva diverse frecce al suo arco. Fu subito avviato da Davide Boifava, nocchiero della formazione, ai compiti di gregariato, funzione che Claudio seppe svolgere con devozione e brillantezza per anni. Ciononostante dimostrò che era in grado di emergere, perlomeno i più acuti anche fra gli stessi corridori, se ne accorsero. Nel 1989, col sodalizio indebolito e in fase di trasformazione, le possibilità per emergere si dischiusero anche per lui e fu autore di una seconda parte di stagione di ottima fattura, tanto e vero che, dopo quasi quattro anni fra i prof, colse le sue prime due vittorie. Due classiche nazionali, come la Coppa Placci e il Giro del Piemonte. Nel 1990, dopo un paio di successi in tappe del Giro di Sicilia e alla Parigi Nizza, si comportò assai bene al Giro d'Italia, vincendo la Classifica finale dei GPM, a cui unì un non disprezzabile 12° posto al Giro d'Italia. Partito per il Tour de France per verificarsi meglio anche su quelle strade, si trovò già alla prima tappa, che si concludeva a Futuroscope, nelle condizioni di lottare per le posizioni di vertice. Tutto nacque da Laurent Fignon. Già, proprio lui, che come capitano della Castorama, ma in condizioni fisiche precarie e quasi certo di doversi ritirare, pensò di lanciare un tiro mancino al suo grande rivale Greg Lemond, ovvero a colui che l'anno precedente, per 8", gli soffiò il Tour impedendogli pure la "doppietta dei leggendari Giro-Tour". Il gregario di Fignon, Thiery Marie, era in Giallo, dopo aver vinto il prologo e quando il giorno dopo avviarono la fuga quattro buoni corridori, come Bauer, Maassen, Pensec e appunto Chiappucci, gli ordini di Laurent, furono quelli di lasciar fare e di non difendere la Maglia Gialla. Il vantaggio dei fuggitivi assunse proporzioni enormi, ma la Castorama non si impegnò nemmeno per un metro nell'inseguimento, tanto è che a Futuroscope, dove vinse Maassen con Claudio 3°, i quattro arrivarono con quasi undici minuti di vantaggio sul gruppo dei migliori. Fignon sapeva che almeno uno di quel poker, poteva contrastare fino a Parigi Lemond. Così fu. E quel qualcuno fu proprio Chiappucci che si arrese allo statunitense, solo nel finale, dopo aver conquistato la Maglia Gialla nella crono di Villard de Lans, ed averla ceduta alla penultima tappa, a Lac de Vassiviere, in un'altra crono. In quel lasso, uscì tutta la sua inesperienza e compì errori tali, da poter dire, con ragione, che quel Tour lo buttò. Di sicuro però, quella Grande Boucle fece scattare meccanismi nuovi di autostima in Chiappucci, che divenne per quasi un lustro, una star mondiale. E fu quel Tour, ad iniziare la sua leggenda di "Diablo", il nomignolo che fu cementato particolarmente nelle due Grandi Boucle successive e che costruì, accanto all'appellativo, anche il personaggio Chiappucci.
Un tipo schietto, uno che poteva mandare facilmente a quel paese. Un gladiatore che lottava sempre, quasi a voler giustificare, in quel modo, la sua faccia da pugile col naso schiacciato da mille combattimenti. Uno che fece le imprese, a dispetto dell'andatura non bellissima. dell'essere pedalatore senza collo con un testone evidente e la carnagione scura che gli fecero ereditare pure il nomignolo di Calimero. Uno che con questo insieme ed i traguardi conquistati o contesi al gigante Indurain, divenne un campione dal brillante curriculum, ma, soprattutto, dalla popolarità di chi di vittorie ne sapeva ottenere cinquanta e più all'anno. E poi, quell'aspetto importante che pochi hanno colto: d'inverno non oziava, ma correva nel ciclocross, come un moto perpetuo che gli serviva al ritorno della stagione su strada. Insomma, il varesino di Uboldo, da Futuroscope, divenne davvero un gran corridore. Dopo il fondamentale '90, nel 1991, vinse la Milano Sanremo con una mitica fuga partita sul Turchino, una tappa e la Classifica finale del Giro dei Paesi Baschi, la maglia a punti al Giro d'Italia, che chiuse al 2° posto dietro Chioccioli; una tappa (a Val Louron) al Tour de France, dove chiuse al 3° posto dietro Indurain e Bugno, ma conquistò la Classifica finale dei GPM e quella della Combattività. Poi, nel dopo Grande Boucle, fra gli altri successi fece suo il G.P. Sanson a Marostica. Nel 1992 conquistò il Giro dell'Appennino, una tappa (all'Alpe di Pampeago) e la classifica finale al Giro del Trentino. Nel medesimo anno si aggiudicò di nuovo la Maglia Verde al Giro d'Italia classificandosi nuovamente 2°, stavolta dietro Indurain. Al Tour fece un'impresa incredibile, una delle più belle dell'intera storia, vincendo in solitudine, con una fuga superiore ai 200 chilometri, il tappone che si concludeva sul Sestriere, dopo aver scalato sempre in solitudine Cormet de Roseland, Saisies, Iseran, Moncenisio e, appunto, Sestriere, staccando Indurain di 1'45", ma mandandolo in crisi, per fortuna sua, proprio nel finale. Alla fine il "Diablo", chiuse il Tour ancora 2°, come il Giro, dietro lo spagnolo, ma anche in Francia rivinse la Classifica dei GPM a cui unì nuovamente quella della Combattività. In più, superò il rivale tricolore Bugno, che salì sul gradino più basso del podio. Nel 1993, vinse una tappa (a Corvara) al Giro d'Italia, dove chiuse 3° dietro Indurain e Ugrumov, facendo sua ancora la Maglia Verde dei GPM. Al Tour s'aggiudicò la frazione di Pau, chiudendo poi 6° a Parigi. All'indomani della Grande Boucle vinse la Clasica San Sebastian, valida per la Coppa del Mondo e, nell'anno, s'aggiudicò la Coppa Sabatini, la Japan Cup e la Cronoscalata della Futa (record in 26'55"). Nel '94 conquistò la tappa del Monte Alola al Giro di Galizia, le Tre Valli Varesine, una tappa e la Classifica finale al Giro di Catalogna e, soprattutto, chiuse 2° il Campionato Mondiale ad Agrigento, dietro Luc Leblanc. Ma nella sua squadra, era arrivato Pantani che gli aveva tolto gran parte della scena e lui stesso cominciò a sentire i segni del tramonto, infatti, nel '95, il suo rendimento calò, nonostante vittorie come: Giro del Piemonte, Criterium Nizza, Japan Cup. Poi, le fatiche di una carriera corsa tutta all'attacco, diventarono copiose. Ciononostante, il Diablo si trascinò in gruppo fino all'98, senza più trovare l'acuto in una corsa di pregio. L'ultimo acuto vittorioso nel Criterium di Tolosa, nel '98.

Maurizio Ricci detto Morris
 
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#2
L'allevamento dei piccioni di Abdou me l'ero perso.
Divertente invece l'aneddoto sul Tour '93 raccontato da Padre Cassani, quando con Djamolidine si impegnarono in un grottesco testa a testa ad alta quota (sulla Bonette) per restare nel tempo massimo.
 
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#3
(01-03-2023, 07:19 AM)Primo della Cignala Ha scritto: L'allevamento dei piccioni di Abdou me l'ero perso.
Divertente invece l'aneddoto sul Tour '93 raccontato da Padre Cassani, quando con Djamolidine si impegnarono in un grottesco testa a testa ad alta quota (sulla Bonette) per restare nel tempo massimo.

La Bonette fa stringere il cuore anche a chi la percorre in automobile....
 
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