Il Nuovo Ciclismo

Versione completa: Nairo Quintana "El Nairochad"
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Sì ma ormai Duvan Zapata è pronto al sorpasso Sisi
COLOMBIA. Ad uno scarafaggio il nome di Nairo Quintana
Una rana saltatrice porta il nome di Caterine Ibarguen

Da oggi dovremo specificare "Nairo Quintana, ciclista" per non confonderlo con "Nairo Quintana, scarafaggio".
Battute a parte, uno scarafaggio appena scoperto in Colombia è stato battezzato come il vincitore del Giro d'Italia mentre una razza di rana saltatrice finora sconosciuta porterà il nome dell'atleta Caterine Ibarguen, campionessa di salto triplo. Ad annunciare la notizia è stata la Universidad Nacional.
Lo scarafaggio, il cui nome scientifico è "Oxyelitrum nairol" è lungo meno di due centimetri e mezzo ed è quasi completamente nero, ha una piccola cresta sul cranio ed ha attirato l'attenzione degli studiosi perché non si comporta con i suoi simili.

Non c'è da stupirsi per la scelta degli scienziati, visto che i ciclisti colombiani sono tradizionalmente indicati come Escarabajos...

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LOOOOOOOL Ahah
Quintana, in Italia solo per la Tirreno-Adriatico
Il colombiano conferma il calendario verso il Tour

Nairo Quintana ha deciso: in Italia correrà solo la Tirreno-Adriatico e potrebbe anche non disputare nessuna grande classica sulla strada che porta al Tour de France, che sarà il suo grande obiettivo stagionale.
Il colombiano comincerà la sua stagione con il Tour de San Luis a gennaio, poi disputerà la Vuelta a Andalucía dal 18 al 22 febbraio, quindi la Tirreno-Adriatico dall'11 al 17 marzo e ancora la Vuelta al País Vasco dal 6 all'11 aprile, poi si deciderà l'eventuale partecipazione a qualche classica delle Ardenne. A seguire uno stacco e il Giro di Svizzera a giugno prima di affrontare il Tour.
«È un calendario molto equilibrato, disegnato pensando al Tour de France. Questa è la prima parte, per la seconda decideremo dopo la Francia - ha detto Nairo al quotidiano El Tiempo, che ha eletto il corridore "sportivo dell'anno in Colombia -. La Vuelta? Non so se ci sarò, ne abbiamo parlatoma tutto dipenderà dalla Grande Boucle».

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Devo ancora riuscire a capire perchè fanno fare le stesse identiche corse a Quintana e Valverde... Cioè, hai due campioni e due corse in contemporanea, cosa serve mandarli tutti e due allo stesso posto per poi presentarsi dall'altra parte con i primi che passano per strada?!
Movistar, Quintana alla scoperta del pavè
Il colombiano correrà in Belgio a marzo

Nairo Quintana scoprirà il pavé in vista del Tour de France: il colombiano della Movistar parteciperà infatti alla Dwars door Vlaanderen il 25 marzo e al Gp E3 Harelbeke il 29 marzo con l'obiettivo di prendere confidenza con le pietre che dovrà affrontare in occasione della quarta tappa della Grande Boucle.
Quintana sta per aprire ufficialmente la stagione con il Tour de San Luis, poi disputerà a febbraio la Vuelta a Andalucía, a marzo la Tirreno-Adriatico, ad aprile la Vuelta al País Vasco e le classiche delle Ardenne.

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Nairo Quintana: «Fatica, dedizione e sacrificio per il Tour»
«Se nella mia infanzia avessi avuto tutto, non sarei qui». È questa la chiave della forza di Nairo Quintana, vincitore del Giro d’Italia 2014, pelle tostata dal sole e gambe veloci, tra i pretendenti più attesi del Tour de France 2015. Ha fame, voglia di arrivare e non teme la sofferenza. L’arma segreta di Negrito, così lo chiamano in famiglia, quella che sfodererà sulle montagne per tenere testa ai già affermati Alberto Contador, Chris Froome e Vincenzo Nibali sarà proprio questa: la capacità di soffrire.

So che non ti piace passare per il poverello che arriva da Combita, quindi come vuoi essere presentato?
«Sei ben informata, preferisco essere giudicato per quello che sono e quello che sto facendo. Sicuramente ho vissuto un’infanzia diversa rispetto a gran parte dei corridori con cui condivido il gruppo (ha sofferto in tenera età, rischiando la morte, del Tentado del Difunto: chi vi sopravvive, gli antichi inca dicevano, è destinato a fare grandi cose, ndr) ma la mia famiglia commerciava frutta e verdura, non ci è mai mancato da mangiare. Avevamo un orto, lavoravamo la terra e avevamo anche un piccolo negozio in cui vendevamo riso e pollo. Per alcuni è scandaloso vedere un bambino lavorare nei campi, ma da noi è normale che i figli, finita la scuola, aiutino in casa. Non avevamo soldi per darci al lusso, ma il necessario c’è sempre stato e un tetto sulla testa non è mai mancato. Ok, una volta mangiavo da un piatto comune con tutta l’altra gente nei campi, mentre ora sono invitato a pranzo dal presidente Juan Manuel Santos, ma non sono cambiato e non dimentico».

Sei molto legato alla tua famiglia.
«Già. Devo tutto ai miei genitori Eloisa e Luis e non posso fare a meno dei miei fratelli Dayer e Willington Alfredo e delle mie sorelle Nelly Esperanza e Lady Jazmin. Siamo cresciuti in una casa azzurra su due piani a Combita. Ricordo le gite per la cordigliera delle Ande con un camioncino in cui stavamo tutti: fratelli, sorelle, cugini, zii e vicini di casa, con galline e verdure e i bagni al fiume. Ho avuto un’infanzia felice anche se per certi aspetti dura. Come quando per andare a scuola non c’erano i soldi per il pullman per tutti. Mio padre ci teneva che tutti e cinque i figli studiassero, a costo di rinunciare a qualche comodità, come il pullmino che ci portava a scuola. Toccò a me, perché ero il maggiore dei figli maschi. Ogni giorno dovevo percorrere 17 km sterrati per raggiungere l’istituto Alejandro Humbolt de Arcabugo a Barragan e altrettanti al ritorno. Anche se sapevo già guidare, a soli 14 anni non potevo usare l’auto, così la soluzione fu la bici, che comprai con i soldi guadagnati producendo e vendendo il miele con papà e nel periodo trascorso come tassista abusivo, di notte con mio fratello. Costò 30 dollari, era di ferro, pesantissima, ufficialmente di seconda mano, ma chissà per quante mani in realtà era passata».

Allenamento forzato.
«Per me era come una cronometro: il bus su cui sedevano i miei fratelli impiegava 15’, io in bici 45’, sempre se non foravo o avevo altri intoppi, come quella volta che un camion mi trascinò fuori strada e mi dovettero portare all’ospedale d’urgenza. Ad ogni modo, ogni giorno dovevo scalare l’Alto del Chote, una salita all’8% con le ciabattine e lo zaino pieno di libri sulle spalle. Nonostante la fatica, quella sfida iniziò a piacermi e mia sorella Lady, che mi vedeva così entusiasta, qualche volta venne con me perché ad andare sul bus si annoiava. Un giorno ci potemmo permettere una bicicletta anche per lei: per fare più in fretta però, in salita la legavo con una corda a me. La prima volta che incontrai un gruppo di ciclisti veri, riuscii a tener loro testa, così in cima alla salita pensai: li batterò tutti. Chiesi a mio padre di poter correre, la mia prima bici da corsa comprata con i risparmi di mio padre e di mia sorella maggiore, costò 270.000 pesos. Anche questa era un ferro vecchio, un modello che aveva almeno 40 anni, ma che pesava la metà della mountainbike che avevo usato fino ad allora. La prima gara è stata una sfida con El Pistolas, figlio del padrone del supermercato del paese, 32 km fino all’Alto de Sota e ritorno, vinsi e mi guadagnai così i soldi per il mio primo casco, che da lì a poco mi sarebbe servito per correre».

Così sei arrivato al primo ingaggio.
«Fernando Florez, direttore di Indeportes, istituzione politica che appoggiava gli sportivi, mi sottopose al mio primo test con Vincente Belda, ds del team Boyaca es para Vivirla, nuova formazione Continental sbarcata in Europa. Risultato 420 watt contro i 370 dei miei pari età, meglio di un corridore professionista. Da lì mi diedero bici in carbonio Orbea e piano di allenamento. Ricordo come fosse ieri il primo test da professionista con i medici della Movistar: dissero che quei valori da superdotato erano certamente frutto di un errore della strumentazione. Il cicloergometro segnava 7 watt per kg, mentre un ciclista normale sta fra i 5 e i 6. Mi fecero ripetere il test tre volte, dopodiché esclamarono: “questo bisogna farlo firmare subito”».

Cosa è cambiato in questi tre anni che sei nel ciclismo europeo?
«Molto, ho accumulato tanta esperienza. Prima sapevo solo andare in bici, ora mi so gestire, so guidare i miei compagni anche senza radio, so cosa vuol dire la parola strategia. Da Valverde ho imparato, tanto dalle cose buone che ha realizzato quanto dagli errori che ha commesso. Ho appreso come essere leader, dove bisogna attaccare, quando cambiare la bici o meno e a non spendere energie inutilmente prima di una giornata impegnativa. Da bambino sognavo di diventare ciclista, ho fatto le cose passo a passo, ho raggiunto gli obiettivi che mi ero prefissato un po’ per volta. A 19 anni avevo detto ai miei compagni che avrei vinto il Tour o una tappa nei Grandi Giri, ridevano ma un po’ alla volta sto realizzando i miei sogni. Il cambiamento dalla Colombia alla Spagna è stato grande, ma pian piano mi ci sono abituato. Sono cresciuto sapendo che in qualunque angolo della città c’era un negozio per comprare frutta, verdura, batterie per la radio e qualsiasi altra cosa servisse. A Pamplona ho imparato a prendere la macchina o chiamare un taxi per andare fino al centro commerciale».

Ti piace il soprannome Condor?
«Sì, perché è un uccello molto bello che appare nello stemma della Colombia. Vola nei cieli di Boyaca, su tutte le montagne. Non so se la gente la vede così, ma io gli do questo significato».

E la salita?
«L’allegria, l’emozione, il terreno dove mi sento meglio e a volte vinco (sorride, ndr). In gara non puoi godertela, ma in allenamento puoi ammirare paesaggi magnifici. Amo allenarmi a Boyaca, nella mia regione, sulle mie strade. In tanti vanno in ritiro sul Teide ma io sono nato e cresciuto alla stessa quota e non cambierei la mia terra con nessun’altra. Ho avuto la fortuna di conoscere tanti paesi, ma sono follemente innamorato del mio. Uno che vorrei visitare è l’Egitto, mi sembra interessante perché totalmente diverso alle zone a cui sono abituato».

Dell’Italia cosa ti è piaciuto?
«Durante il Giro ho ammirato le vostre montagne, la natura, paesaggi spettacolari, l’affetto della gente che mi ha sostenuto e trasmesso energia. Gli italiani sono stati molto carini con me, la loro passione per il ciclismo, come vivono il Giro è ciò che lo rende spettacolare».

Cosa ti è rimasto della vittoria del Giro?
«Conquistare la maglia rosa è stata la gioia più grande della mia carriera. Vincerla è stata una grande emozione per me, la mia famiglia, la mia gente. Ho coronato il sogno di vincere una grande corsa a tappe e mi ha reso enormemente felice vedere tante persone sinceramente contente per me. Un sogno che dopo il secondo posto al Tour 2013 sentivo più vicino, ma non era scontato. Non è stato facile».

Se non avessi fatto il ciclista...?
«Avrei proseguito gli studi, probabilmente in qualcosa legato allo sport o al giornalismo che mi è sempre interessato».

Come trascorri il tempo libero?
«Nel tempo libero mi piace stare con gli amici e con la mia famiglia. Sono spesso via da casa, così quando torno dalle gare voglio stare tranquillo con Paola, la mia compagna, e la nostra piccola Mariana, di cui sono molto innamorato. Mi diverto a girare in macchina e a fare cose semplici. Quando sono in Colombia mi piace stare nei campi e occuparmi degli animali, ne abbiamo di ogni: cani, gatti, tacchini, galline, conigli, vacche e maiali. Altri sport che mi appassionano? Seguo il pattinaggio, che è molto popolare in Colombia perché al momento abbiamo atleti molto validi, e un po’ il calcio».

Cosa ti piace mangiare?
«La carne alla brace e i piatti tipici di dove sono cresciuto, davvero saporiti e salutari. Adoro il sancocho, la zuppa che mi fa mia madre a base di brodo di gallina allevate da noi, al naturale. Per quanto riguarda il bere, non resisto al vino rosso. Ai fornelli me la cavo, sono bravo a fare i risotti».

Che rapporto hai con i compagni italiani Capecchi, Malori e Visconti?
«Buonissimo, tutti e tre sono corridori che in gara mi hanno sempre aiutato e io quando ho potuto ho contraccambiato».

Sei credente?
«Sì, ma non sono uno di quelli che va in chiesa ogni domenica. Mi faccio il segno della croce a ogni partenza e prego Dio perché mi protegga e mi guidi».

Prima volta al Tour nel 2013: secondo. Prima volta al Giro nel 2014: primo. Ti senti un fenomeno?
«No, non vengo da un altro mondo e sono un essere umano anche io. Anche a me viene il mal di gambe, solo che forse riesco a gestirlo meglio di altri. Sono uno scalatore e in più occasioni mi è andata bene, ma esistono corridori più maturi di me e superarli non sarà mai facile. Dovrò continuare a lavorare ogni giorno. Il ciclismo pretende serietà, non ammette leggerezze».

Ti piace o ti pesa la popolarità?
«Non posso dirti che mi disgusta ma nemmeno che mi fa impazzire di gioia. Essere famoso è una responsabilità e spesso è faticoso, ma cerco di gestire al meglio il rapporto con i fans e i media. L’importante è tenere i piedi a terra, attorniarsi delle persone fidate, seguire i loro consigli e a volte vivere alla giornata».

Quattro anni fa non eri nessuno, ora sei un campione. Come hai fatto?
«La natura è stata generosa e mi ha aiutato. Poi sono diventato professionista nella squadra giusta e ho trovato un professore che ha insegnato a molti corridori diventati campioni, Eusebio Unzue. E quando si hanno gambe buone, tutto diventa più semplice».

Dove passi la maggior parte dell’anno?
«Vivo a Monaco, ma appena posso torno a casa. In base alle corse e al periodo della stagione passo un paio di mesi di qua e uno di là. Anche se in Sud America sono molto popolare, riesco ad allenarmi abbastanza tranquillamente. La gente capisce che mentre ti stai allenando non puoi fermarti a firmare autografi e fare foto. Prima di una serie di gare torno generalmente a casa per allenarmi in altura, in Colombia io vivo a 1.800 metri sul livello del mare, i miei genitori a 3.100 metri. Tornare a Combita è l’ideale sia per stare con i miei affetti che per il mio lavoro».

Il ciclismo colombiano è sempre più un punto di riferimento a livello mondiale.
«Già due anni fa, con il secondo posto di Uran al Giro e il mio al Tour, avevamo fatto vedere di esserci. Nel 2014 ci siamo superati dimostrando anche ai più scettici il vero valore delle nuove generazioni del ciclismo colombiano. Dietro di noi ci sono molti giovani promettenti, che si faranno onore nelle corse europee. Quest’anno siamo in 16 nel World Tour, ognuno di noi ha seguito il proprio cammino, e ha lottato per arrivare fin qui. Da piccolo non seguivo il ciclismo, ma Lucho Herrera e Fabio Parra erano molto conosciuti e sono stati una fonte di ispirazione per me. Di idolo però ne ho uno solo: mio padre, che ha affrontato 14 operazioni da quando aveva 7 anni e il camion su cui era si ribaltò cadendogli addosso e lesionandogli il midollo spinale, ha lottato con coraggio e dopo anni in cui è stato impossibilitato a muoversi ora cammina con un bastone. Mi ha insegnato a lottare per quello in cui credo, a soffrire per raggiungere un traguardo, e infine che le cose si ottengono con fatica e lavoro».

Hai deciso di non tornare in Italia per difendere il titolo vinto un anno fa, come mai?
«Rinunciare al Tour lo scorso anno è stata una decisione difficile non solo per me ma anche per tutto il team. Ma è stata la decisione migliore perché il Giro mi ha insegnato a correre da malato, a correre in condizioni difficili, a correre guidando una squadra e indossando il simbolo del primato, ma ora devo tornare alla Grande Boucle per dimostrare di essere in grado di salire sul gradino più alto. Se devo esprimere un desiderio, ora come ora è vincere la maglia gialla».

Come ti ci stai avvicinando?
«In inverno ho lavorato bene in palestra e piscina, poi ho usato più spesso la bici da cronometro. Nel mio calendario ho inserito due classiche come Harelbeke e Gand-Wevelgem, che affronterò con lo stesso gruppo che mi scorterà alla Grande Boucle per prendere confidenza con il pavè, che rispetto ma non temo. Non mi spaventa perché tutti lo dovranno affrontare, non solo io. Ad ogni modo visionerò il percorso attentamente. Con otto finali in salita e soli 14 chilometri di crono individuale, sembra proprio adatto a me. Io farò la Tirreno-Adriatico dall’11 al 17 marzo e ancora la Vuelta al País Vasco dal 6 all’11 aprile, decideremo l’eventuale partecipazione a qualche classica delle Ardenne. A seguire uno stacco e il Giro di Svizzera a giugno prima di affrontare il Tour. È un calendario molto equilibrato, disegnato pensando al Tour de France».

Alla Tirreno-Adriatico vi ritroverete per la prima volta in gara assieme: tu, Contador, Froome e Nibali, sarà un test importante.
«Io lavoro solo in funzione del Tour, ma se mi troverò nelle condizioni di attaccare e vincere non mi tirerò indietro. Sarà un momento importante, da gennaio all’ultima corsa dell’anno mi impegno al massimo, ma senza perdere di vista il mio obiettivo principale. Mi sono già messo alla prova con loro, a volte ho vinto, a volte ho perso. I risultati mi danno fiducia: sarò della partita, non so se vincerò, di certo non sarà facile. Avremo il miglior team possibile, ho fiducia nei miei compagni, per questo sono tranquillo. Tra tutti il rivale più temibile credo sia Contador, ma anche Nibali e Froome saranno da tenere d’occhio. La mia arma per batterli? La mia squadra, non solo per il Tour. I mio terreno è la salita, ma anche il loro. Nelle tre settimane farà la differenza la capacità di soffrire».

Facciamo una scommessa: chi vince i tre Grandi Giri del 2015?
«Dovrebbe dirtelo un altro, perché io ci sono in mezzo ma sto al gioco e ti dico che come mio successore al Giro d’Italia vedo favorito Alberto Contador, il Tour de France lo voglio io e la Vuelta a España possiamo lasciarla al mio compagno Alejandro Valverde».

Giulia De Maio, da tuttoBICI di febbraio
http://www.tuttobiciweb.it/index.php?pag...&cod=76735
Deciso definitivamente il calendario di Nairo Quintana per la prima parte di stagione. Aveva già annunciato di voler correre la Tirreno-Adriatico, testarsi sul pavè della Dwars door Vlaanderen e del E3 Harelbeke e provare a rivincire il Giro dei Paesi Baschi. Dopo questi appuntamenti si concentrerà sulle classiche delle Ardenne, con particolare interesse alla Freccia Vallone, dato che il muro di Huy sarà inserito anche nel percorso del Tour, e concluderà questa prima prima parte di stagione con la partecipazione al Giro di Romandia (28 aprile-3 marzo).

http://www.biciciclismo.com/es/quintana-...-2015?loc=
[Immagine: 30_20150317_%C2%A9BrakeThrough-Media_AX7...59x440.jpg]
I trofei RCS sono i più fighi. Beato Nairo che può mettere sul caminetto il tridente e il trofeo senza fine!
[Immagine: garzelli_tirreno_adriatico_2010.jpg]

Anche lui può
Solo che uno(Quintana) è un figo, l'altro(Garzelli) Sick
(20-03-2015, 12:52 AM)Paruzzo Ha scritto: [ -> ][Immagine: garzelli_tirreno_adriatico_2010.jpg]

Anche lui può

Ho come l'impressione che anche quello a sinistra possa Asd E vorrei tanto che anche quello a destra avesse potuto
A Cadel non mancano di certo le chincaglierie a casa Cool
Quintana, a 50 días del Tour: “Me siento más fuerte que hace dos años”

Al finalizar el lanzamiento de la campaña de "Paz A la Joven" de Unicef Colombia con Nairo Quintana, el corredor del Movistar Team realizó declaraciones deportivas frente a su preparación al próximo Tour de Francia.

Nairo Quintana continúa con su preparación para el asalto al Tour de Francia en su país. El líder del Movistar Team hizo una parada en sus entrenamientos para a asistir a un acto de Unicef Colombia y lanzar la campaña “Paz A la Joven”. El colombiano analiza la carrera francesa que afrontará a partir del próximo 4 de julio.

A algo más de mes y medio para el inicio del Tour 2015, Quintana se muestra optimista, en las declaraciones posteriores a su acto como embajador de Unicef. “La preparación del Tour de Francia va por buen camino, con gran parte del trabajo completado. Hemos hecho el ciclo de carreras que pensábamos, que fue muy exitoso, ganando la Tirreno-Adriático y en las otras carreras estando muy cerca de los rivales, y reconociendo etapas del Tour de Francia. Y en este ciclo de descanso y preparación se trata de dar el retoque final para llegar bien al Tour”, afirma.

El colombiano continuará su preparación en casa, mientras que sus compañeros, con Alejandro Valverde al frente, se encierran en Sierra Nevada. “La preparación en Boyacá se puede hacer en otro sitio donde haya altura, pero para mí lo ideal es donde nací, donde me crié, donde tengo mi familia. Así mato dos pájaros de un solo tiro: preparo el Tour de Francia al lado de mi familia, y eso hace un poco más ameno y relajado la preparación para echar a un lado la presión que es importante mantenerla lejos”, explica. Sus planes van por esa línea antes de regresar a Europa. “Seguimos la preparación en Boyacá y en quince días aproximadamente viajaré a reconocer unas etapas que me faltan del Tour. Después haré una carrera en Francia, la Ruta del Sur (18-21 junio), y con eso finalizará le preparación para llegar con un buen punto al Tour”, asevera.

Su objetivo no es otro que luchar por ganar, después de su segundo puesto en 2013, solo por detrás de Froome en su primera participación, y de conquistar la maglia rosa en el Giro de Italia el año pasado. “Yo me siento mejor que hace dos años, la madurez se refleja, está claro que es más difícil ganar, hay más rivales, y seguimos trabajando para ser más fuertes”, asegura. “He hecho algunos estudios sobre los rivales más fuertes. En cabeza están, Alberto (Contador) y Froome, luego Nibali, con el que hay que tener cuidado en el pavés, y otros de segunda línea no porque anden menos sino porque se han nombrado menos, los franceses, Pino y Bardet, Majka... que estarán muy cerca de luchar también por vencer en el Tour”, añade.

En cuanto al recorrido, se congratula que la contrarreloj sea reducida y no teme al pavés. “Hay etapas bastante claves. La primera semana es una semana para no perder el Tour ante todo; una segunda semana que viene cargada con etapas importantes en los Pirineos; y luego las etapas de los Alpes que son muy exigentes, incluida la del penúltimo día en Alpe d'Huez, que seguramente hasta ahí no se va a decidir nada”, resume. “Se sigue trabajando la contrarreloj. Este año es una gran ventaja que no haya mucha contrarreloj en el Tour, eso nos pone un poco en igualdad de condiciones, por lo que creo que no es una preocupación. Las etapas de pavés nunca las había hecho, he hecho buenos entrenamientos, he reconocido sobre la etapa del Tour… Y con el equipo que llevo creo que no es para preocuparnos demasiado, ahora bien, no nos tenemos que relajar y estar atentos, pero espero no tener dificultades”, asevera.

La confianza en sus compañeros en el Movistar Team es máxima, especialmente por tener a un corredor como Valverde a su lado en el Tour. “Pienso que llevaremos un grupo diferente al del Giro de Italia, solo uno repetiría. Valverde va a ser un segundo líder que me va a acompañar y ayudarme en todas las etapas. Para mí es fabuloso tener a un gran campeón ayudándome en carrera, tiene mucho mérito, y seguramente yo le ayudaré en la Vuelta en la que él será el líder”, aclara.

Por último, se refiere a la actuación de los colombianos en el Giro de Italia. “Hemos estado siguiendo el Giro de Italia, a un gran Esteban Chaves, con el maillot blanco, por poco del rosa. Y Rigo (Urán) no está fuera, viene una contrarreloj que le favorece bastante, por lo que pienso que va a estar en la pelea”, concluye.

Biciciclismo.es
Vince a mani basse secondo me...
Reportage di France tv su Quintana in Colombia.


(20-03-2015, 01:04 AM)Dayer Pagliarini Ha scritto: [ -> ]Solo che uno(Quintana) è un figo, l'altro(Garzelli) Sick

Va bene che è un fenomeno,ma se Quintana è un FIGO...è finito il mondo Boh
Certo che tra Nibali, Contador e Quintana quest'anno al Tour non si sa in chi tifare... Purtroppo sarà un tifo per il secondo posto, visto che Froome volerà.
QUINTANA. «La doppietta? Sì, ma prima voglio il Tour»

È arrivato secondo al Tour e quarto alla Vuelta, disputando per la prima volta due grandi giri consecutivi. E Nairo Quintana da questa esperienza ha trato insegnamenti molto interessanti: «Credo che sia possibile puntare ad una doppietta di due giri consecutivi. Ho solo 25 anni e tanto temnpo davanti a me per provarci, anche con maggiore esperienza».
E aggiunge: «In questa Vuelta sono arrivato quarto dopo aver cominciato male la corsa a causa di alcuni problemi e ho perso il podio a causa di un malessere che mi ha colpito nel giorno di riposo e mi ha impedito di essere performante l'indomani. Nonostante tutto, sono arrivato quarto e questo mi fa davvero ben sperare».
Il colombiano ha già lo sguardo rivolto verso il futuro: «Il Tour sarà il grande obiettivo della prossima stagione. Per ora voglio concentrarmi su quello: vincere la Grande Boucle».

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Movistar, Quintana premiato dai Reali di Spagna
Nairo Quintana ha aggiunto un altro riconoscimento prestigioso alla lunga lista di premi ricevuti sin dal 2012, anno in cui è entrato a far parte del Team Movistar. Alla cerimonia dei National Sports Award 2014 tenutasi presso il Palazzo Reale di El Pardo, a Madrid, al colombiano è stato consegnato il Trofeo della Comunità Ibero-Americana (Trofeo Comunidad Iberoamericana) dalle Loro Maestà di Spagna, il Re Felipe VI e la Regina Letizia (nella foto Casa de S.M. El Rey).

[Immagine: quintana_felipe.jpg]

Il premio viene attribuito agli atleti Ibero-Americani che si sono distinti negli anni per i risultati ottenuti in eventi di carattere internazionale, con una speciale preferenza per gli sportivi o gli allenatori che fanno parte di squadre o strutture spagnole.

"E' stato un grandissimo onore poter salire sul palco insieme a dei grandissimi atleti e stringere la mano al Re, con cui non avevo mai avuto il piacere di parlare prima di oggi," ha spiegato Nairo Quintana dall'Aeroporto Adolfo Suarez Madrid-Barajac prima di fare ritorno a casa. "Sono felice di come sia andata la mia stagione e di aver ricevuto questo premio. Dopo qualche giorno di riposo comincerò ad allenarmi in vista del 2016, dove mi attenderanno grandi sfide."

Silvia Tomasoni per ciclismoweb.net
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