16-12-2014, 02:37 PM
Legeay: «Vi spiego perchè il MPCC è credibile»
«Noi scegliamo volontariamente di andare oltre l'Uci»
Il Movimento Per un Ciclismo Credibile continua a far discutere. Dopo la riflessione firmata dal nostro direttore, all’indomani del pronunciamento della Commissione delle Licenze, sull’effettiva utilità del Movimento (CLICCA QUI), tuttobiciweb è stata contattata dal presidente Roger Legeay e dal referente per l’Italia Gianni Savio, che è anche membro del consiglio direttivo MPCC.
E con il presidente Legeay abbiamo realizzato questa intervista che vi proponiamo come approfondimento sul tema.
«Ho letto le riflessioni del direttore e mi permetto di sottolineare come non sia giusto dire che il Movimento non è credibile. Lo dicono la nostra storia, la nostra filosofia, le nostre scelte».
Bene presidente, andiamo con ordine.
«Consentitemi una premessa: io sono in pensione, offro volontariamente il mio impegno al Movimento e non ho alcun interesse personale in quel che vado a spiegarvi. E allora cominciamo dalla storia: il Movimento è nato a Londra nel 2007, quando 6 o 7 squadre hanno deciso di impegnarsi per fare qualcosa di più nel campo della lotta al doping. Nel 2005, con l’avvento del ProTour, era stato adottato un nuovo codice etico che veniva puntiualmente disatteso, come dimostrato dall’esplosione nel 2006 dell’Operacion Puerto. Le squadre riunite a Londra hanno cominciato a pensare di far qualcosa per migliorare la situazioe, partendo da una importante riflessione...».
Ci dica.
«La storia dello sport è costellata da clamorosi scandali doping - la Germania Est, Blaco, Festina, Puerto, Armstrong - ma nessuno di questi è stato portato alla luce dai controlli antidoping. C’è sempre un fatto esterno - che sia il crollo di un regime, una denuncia o un’inchiesta - all’origine del caso. E la seconda considerazione è che dietro a questi casi ci sono sempre un manager o allenatore che dir si voglia, e un medico. Partendo da questi due dati certi, abbiamo cercato di proporre qualcosa di nuovo, ma soprattutto qualcosa di più».
Proprio questo è il punto.
«Esatto. I membri del MPCC, che hanno tutti aderito su base volontaria, hanno la possibilità di prendere decisioni che né Uci né Wada per questioni giuridiche possono assumere. Un manager che aderisce al Movimento può licenziare un corridore positivo, può decidere di fermare la squadra per una settimana se ci sono due positività in 12 mesi oppure per un mese se le possibilità fossero 3 in 24 mesi. E un medico che aderisce al MPCC può fermare un corridore che presenta valori a rischio. L’Uci non può imporre queste decisioni, è qui che il Movimento va oltre. Allo stesso modo gli organizzatori che aderiscono al MPCC possono decidere di invitare alle proprie corse squadre che credono in un ciclismo più pulito. E a completare il cerchio ci sono gli sponsor che devono condividere le scelte dei propri manager, altrimenti sarebbe impossibile fermare una squadra o licenziare in tronco un corridore, magari un campione conclamato. Per finire, le Federazioni che aderiscono possono decidere, per esempio, di convocare in nazionale solo corridori puliti. Tutte quelle che ho elencato sono opportunità che ci dà il far par parte del Movimento, sono qualcosa in più che l’Uci non potrebbe mai imporre».
Come vi ponete nei confronti dell’Uci?
«Noi siamo complementari all’Uci. La Federazione internazionale ha comprensibili limiti giuridici, come dimostra il caso Katusha di due anni fa: l’Uci non può punire una squadra perché per farlo è costretta a dimostrarne la colpevolezza e chiunque può capire quanto sia difficile farlo. Così si spiega la concessione della licenza alla Astana... Con l’Uci noi abbiamo buoni rapporti, loro fanno un buon lavoro e applicano le regole, noi abbiamo regole più severe e le facciamo rispettare, forti del fatto che il 78% del mondo professionistico nel 2014 ha aderito al Movimento. Noi cerchiamo di andare oltre...».
Anche nel campo delle analisi vere e proprie?
«Proprio così. Sul territorio francese facciamo i test di cortisolemia, abbiamo potuto farli anche al Giro e alla Vuelta e proprio in Spagna Horner è stato fermato dal suo medico sociale perché aveva un tasso anormalmente basso che avrebbe potuto essere pericoloso per la sua salute. Anche questo, l’Uci non lo può fare. Noi sì perché abbiamo la volontà di farlo. Noi siamo capaci di fermare una squadra, come accaduto in passato per Ag2r e Rusvelo e oggi per la Astana. Vorrei aggiungere ancora una cosa, se possibile...».
Prego.
«Noi abbiamo scelto una data precisa che fa da spartiacque: il 1° gennaio 2013. Tutto quello che è successo prima lo lasciamo alla storia, alla giustizia, non ci riguarda. Da quella data, però, cerchiamo di proporre un ciclismo sempre più credibile. Facendo molto di più di quel che può fare la Wada, facendo molto di più di quel che si fa in qualsiasi altro sport al mondo».
Qual è il vostro programma per il futuro?
«Continuare su quella strada, ne sono convinto io e ne sono convinti tutti i 65 team che fanno parte della nostra associazione. 65 team significa 65 manager, 65 medici, 65 sponsor. Oggi siamo al 78% del mondo professionistico, il nostro auspicio è quello di arrivare al 100%, pronti ad accettare critiche e ad adeguare le nostre regole se ci vengono presentate proposte interessanti. E soprattutto vogliamo andare avanti con modestia: non diremo mai che seguendo le regole del MPCC non ci saranno più dopati. Come in ogni ambito della società civile, ci sarà sempre chi proverà a truffare: io dico sempre che anche nella più buona bottiglia di vino c’è un pizzico di fondo... L’impegno è cercare del Movimepnto Per un Ciclismo Credibile è quello di dare una risposta ai casi di doping. E lo facciamo molto seriamente».
Paolo Broggi per tuttobiciweb.it
«Noi scegliamo volontariamente di andare oltre l'Uci»
Il Movimento Per un Ciclismo Credibile continua a far discutere. Dopo la riflessione firmata dal nostro direttore, all’indomani del pronunciamento della Commissione delle Licenze, sull’effettiva utilità del Movimento (CLICCA QUI), tuttobiciweb è stata contattata dal presidente Roger Legeay e dal referente per l’Italia Gianni Savio, che è anche membro del consiglio direttivo MPCC.
E con il presidente Legeay abbiamo realizzato questa intervista che vi proponiamo come approfondimento sul tema.
«Ho letto le riflessioni del direttore e mi permetto di sottolineare come non sia giusto dire che il Movimento non è credibile. Lo dicono la nostra storia, la nostra filosofia, le nostre scelte».
Bene presidente, andiamo con ordine.
«Consentitemi una premessa: io sono in pensione, offro volontariamente il mio impegno al Movimento e non ho alcun interesse personale in quel che vado a spiegarvi. E allora cominciamo dalla storia: il Movimento è nato a Londra nel 2007, quando 6 o 7 squadre hanno deciso di impegnarsi per fare qualcosa di più nel campo della lotta al doping. Nel 2005, con l’avvento del ProTour, era stato adottato un nuovo codice etico che veniva puntiualmente disatteso, come dimostrato dall’esplosione nel 2006 dell’Operacion Puerto. Le squadre riunite a Londra hanno cominciato a pensare di far qualcosa per migliorare la situazioe, partendo da una importante riflessione...».
Ci dica.
«La storia dello sport è costellata da clamorosi scandali doping - la Germania Est, Blaco, Festina, Puerto, Armstrong - ma nessuno di questi è stato portato alla luce dai controlli antidoping. C’è sempre un fatto esterno - che sia il crollo di un regime, una denuncia o un’inchiesta - all’origine del caso. E la seconda considerazione è che dietro a questi casi ci sono sempre un manager o allenatore che dir si voglia, e un medico. Partendo da questi due dati certi, abbiamo cercato di proporre qualcosa di nuovo, ma soprattutto qualcosa di più».
Proprio questo è il punto.
«Esatto. I membri del MPCC, che hanno tutti aderito su base volontaria, hanno la possibilità di prendere decisioni che né Uci né Wada per questioni giuridiche possono assumere. Un manager che aderisce al Movimento può licenziare un corridore positivo, può decidere di fermare la squadra per una settimana se ci sono due positività in 12 mesi oppure per un mese se le possibilità fossero 3 in 24 mesi. E un medico che aderisce al MPCC può fermare un corridore che presenta valori a rischio. L’Uci non può imporre queste decisioni, è qui che il Movimento va oltre. Allo stesso modo gli organizzatori che aderiscono al MPCC possono decidere di invitare alle proprie corse squadre che credono in un ciclismo più pulito. E a completare il cerchio ci sono gli sponsor che devono condividere le scelte dei propri manager, altrimenti sarebbe impossibile fermare una squadra o licenziare in tronco un corridore, magari un campione conclamato. Per finire, le Federazioni che aderiscono possono decidere, per esempio, di convocare in nazionale solo corridori puliti. Tutte quelle che ho elencato sono opportunità che ci dà il far par parte del Movimento, sono qualcosa in più che l’Uci non potrebbe mai imporre».
Come vi ponete nei confronti dell’Uci?
«Noi siamo complementari all’Uci. La Federazione internazionale ha comprensibili limiti giuridici, come dimostra il caso Katusha di due anni fa: l’Uci non può punire una squadra perché per farlo è costretta a dimostrarne la colpevolezza e chiunque può capire quanto sia difficile farlo. Così si spiega la concessione della licenza alla Astana... Con l’Uci noi abbiamo buoni rapporti, loro fanno un buon lavoro e applicano le regole, noi abbiamo regole più severe e le facciamo rispettare, forti del fatto che il 78% del mondo professionistico nel 2014 ha aderito al Movimento. Noi cerchiamo di andare oltre...».
Anche nel campo delle analisi vere e proprie?
«Proprio così. Sul territorio francese facciamo i test di cortisolemia, abbiamo potuto farli anche al Giro e alla Vuelta e proprio in Spagna Horner è stato fermato dal suo medico sociale perché aveva un tasso anormalmente basso che avrebbe potuto essere pericoloso per la sua salute. Anche questo, l’Uci non lo può fare. Noi sì perché abbiamo la volontà di farlo. Noi siamo capaci di fermare una squadra, come accaduto in passato per Ag2r e Rusvelo e oggi per la Astana. Vorrei aggiungere ancora una cosa, se possibile...».
Prego.
«Noi abbiamo scelto una data precisa che fa da spartiacque: il 1° gennaio 2013. Tutto quello che è successo prima lo lasciamo alla storia, alla giustizia, non ci riguarda. Da quella data, però, cerchiamo di proporre un ciclismo sempre più credibile. Facendo molto di più di quel che può fare la Wada, facendo molto di più di quel che si fa in qualsiasi altro sport al mondo».
Qual è il vostro programma per il futuro?
«Continuare su quella strada, ne sono convinto io e ne sono convinti tutti i 65 team che fanno parte della nostra associazione. 65 team significa 65 manager, 65 medici, 65 sponsor. Oggi siamo al 78% del mondo professionistico, il nostro auspicio è quello di arrivare al 100%, pronti ad accettare critiche e ad adeguare le nostre regole se ci vengono presentate proposte interessanti. E soprattutto vogliamo andare avanti con modestia: non diremo mai che seguendo le regole del MPCC non ci saranno più dopati. Come in ogni ambito della società civile, ci sarà sempre chi proverà a truffare: io dico sempre che anche nella più buona bottiglia di vino c’è un pizzico di fondo... L’impegno è cercare del Movimepnto Per un Ciclismo Credibile è quello di dare una risposta ai casi di doping. E lo facciamo molto seriamente».
Paolo Broggi per tuttobiciweb.it