19-01-2022, 11:57 AM
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OKSANA BAIUL
Fanciullezza mai vissuta
Nessuno conosce la ragione, se non hai che sensazioni, lontani ricordi, vaghe immagini che scorrono come fantasmi davanti ai tuoi occhi e, dentro di te, lo sconforto dell’essere troppo giovane, per ponderare e capire, nonché troppo vecchia per giocare.
Sì Oksana, tu eri nata per dipingere un gesto, una figura che si moltiplicava in innumerevoli scolpite sull’aria, da porre in istantanea successione agli sguardi.
Per essere artista, che lanciava ermeneutiche facendo palpitare i cuori nell’ammirazione e nei significati.
Lì c’era tutta la tua voglia di vivere e di sorridere, perché nell’altro delle tue giornate, s’erano appassiti i fiori, incendiati i boschi e, lontane, le bambole di pezza, s’eran disciolte nei morsi dei cani. Non c’eran tracce di te terrene, solo quel dipinto sull’aria inteneriva come un universale epigone e brillava sugli orizzonti riflessi dei sogni che donavi sugli occhi di tanti. Nessuno poteva conoscere il tuo dramma, il tratto inverso al significato del tuo sublime pattinare. Il tuo resto, stava sotto quel ghiaccio che ti vedeva pittrice e acrobata, nel freddo della sua intensità, che ti colpiva ogni giorno di più e ti gettava schiaffi taglienti. Si Oksana, la parola felicità, che si poteva falsamente intuire sui tuoi larghi sorrisi, era come un’aurora boreale, un effetto caleidoscopico del tuo voler sotterrare sentimenti contrastanti. Non c’era serenità, perché ti mancava tutto quello che t’immaginavi accostandoti al mondo con gli idiomi dell’arte, ma tu sembravi ugualmente la farfalla che vola sui fiori. Non ti era compagna la tranquillità, perché dentro di te cresceva un fuoco che ti ustionava, come quel ghiaccio su cui dovevi giacere nell’arco continuo del tempo ove non danzavi. Il tuo tratto è triste Oksana.
Non può curarti o gratificarti il danaro guadagnato, lui, il dio di molti, non ti può cancellare i fantasmi, quei ricordi sfumati ed impercettibili. Non ti libera dalle immagini goffe che, come tentacoli, cercan di prenderti il cuore. Sei giovane, ancora tanto giovane, ma sembri lontana e vissuta più di un secolo per l’immensa densità dei doni che hai dato e per la soffocante angoscia che ti porti dentro da sempre.
Sì, tu sei Okasana Sergeevna Baiul, la pattinatrice di un biennio che intenerì il mondo, confondendo le visioni nell’istintiva ammirazione che si prova di fronte alla grazia di sublimi figure poggiate sull’aria. Sì, tu sei quella che si piroettava trasformando il corpo in una corda che si librava in volo, ed un velo nero, emotivo e lacrimoso, ci giunge dalla consapevolezza che hai cercato di distruggerti per dimenticare, che non hai mai potuto vivere altre oasi, aldilà del pattinaggio. Oksana, il vento, disse un giorno qualcuno, non sa leggere. Confonde, vien spontaneo aggiungere.
La luce c’è sempre, se saprai cercarla guardandoti allo specchio mentre provi a sorridere. La vita è una matrjoska come quella che hai vissuto nell’unico tuo ricordo percettibile nei contorni: ci siamo per provare emozioni e se non siamo in grado di viverle, camminiamo, ma non viviamo. Tu le provi Oksana, ed è quello che ti deve spingere a raccogliere ogni spicchio di luce. Che il tuo triste canto, continui a vivere nella luminosità della tua grazia sul ghiaccio.
La vita di Oksana Sergeevna Baiul
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Oggi, fortunatamente ha saputo piegare le avversità e si può definire una donna tanto di successo, quanto impegnata sul sociale. Al pattinaggio professionistico, ha progressivamente accostato per un certo periodo il ruolo di allenatrice. Ha poi aperto una sua linea di abbigliamento e di gioielli, corroborando l’attività imprenditoriale attraverso diversi passaggi televisivi nei quali s’è dimostrata donna mai banale e essai simpatica. S’è sposata ha una figlia e non ha dimenticato il suo passato. È infatti impegnata a sostenere il Tikva Children's Home Charity, una associazione che opera per aiutare i bambini ebrei di Odessa, in Ucraina. Sua nonna materna, infatti, era ebrea.
La carriera agonistica della Baiul
Aveva quattro anni, quando il nonno materno, rattristato e commosso per le condizioni di vita della figlia e della nipote, rimaste sole e poverissime, regalò alla piccola Oksana, un paio di pattini usati. La bimba si affezionò morbosamente a quegli strumenti, unici fautori di gioco e di vita e sul ghiaccio cominciò ad illuminare. Vinse tutto quello che si poteva vincere in un territorio che, da granaio dell’Urss, si stava avviando alla crisi statale ed ideale del grande stato dei soviet. L’incontro con Stanislav Korotek, la spinse nell’olimpo delle ragazzine di sfera nazionale, ed al suo esordio fra le allieve, fu subito la più brava. Continuò a vincere fino ai Campionati assoluti della CSI compresi. Partito Korotek, Oksana, subì un nuovo travaglio di vita, ma non si notò nulla sul ghiaccio, dove, seguita dalla nuova allenatrice Galina Zmievskaya, arrivò a trionfare, alla prima partecipazione e a soli sedici anni, ancora da compiere tra l’altro, nei Mondiali che si svolsero a Praga, nel 1993. L’anno dopo, nel tempio nordico di Lillehammer, vinse l’Olimpiade, battendo la predestinata, Nancy Kerrigan. Era la nuova dea del pattinaggio artistico, prendendosi quel testi-mone che le aveva la-sciato la grandissima Katarina Witt.
Il suo repentino passaggio al professionismo, a soli 18 anni, consentì al pubblico, soprattutto statunitense, di vedere ancora i lampi di grazia e di acrobazie sul ghiaccio, di questa autentica farfalla del freddo. Ma le sue vicissitudini private, non le han consentito continuità, anche se è stata a lungo sulla breccia, fino a sperare di tornare ai vertici e alla partecipazione alle Olimpiadi di Torino 2006. Una carriera troppo corta per farla entrare nel novero del podio delle pattinatrici di ogni tempo, ma le sue punte, reggono il confronto con tutte le più grandi colleghe.
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OKSANA
I richiami sordi
le ombre che vedevi la notte
i pianti che furono tuoi
quando ti sedevi
sulla riva del fossato del cortile
con le manine sul volto
per non far vedere le lacrime
agli amici di giochi.
Il sole che non percepivi
i giochi ed i dolci
che ti eran preclusi
i singhiozzi di mamma
la sua sofferenza terribile
il volto triste di nonna
la bambola di pezza
perduta nello sconforto.
I sogni proibiti da subito
il vuoto della paura
dopo la gioia dei pattini
il ghiaccio tuo amico
nel successo e negli applausi
nelle grida che non sentivi.
Eri e sei senza aver vissuto
segno vero d’una esistenza
racchiusa in soli cinque lustri.
Maurizio Ricci detto Morris