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Artisti al margine
#15
Puntata numero 3. Francesco Mochi (1580 - 1654): un trascurato pioniere del Barocco


Per chi vive a Piacenza Francesco Mochi è un mito dell’arte locale, per i forestieri è pressoché uno sconosciuto. Tuttavia Mochi, tra Piacenza, Orvieto e Roma, è riuscito silenziosamente ad inaugurare, senza proclami, la stagione barocca in scultura. Al pari (quasi) di Caravaggio e Rubens in pittura.


Francesco Mochi nasce a Montevarchi, vicino ad Arezzo, il 29 luglio 1580, quando ormai la Toscana non è più il centro artistico del mondo, ed Arezzo men che meno. Compie i primi studi nella capitale del Granducato nella bottega del pittore Santi di Tito (Firenze, 1536 – 1603): autore delle ultime stanche vampate manieristiche presso la corte Medicea.


Allo scoccare del nuovo secolo si sposta a Roma ed inizia a studiare scultura sotto la guida di Camillo Mariani (Vicenza, 1567 – Roma, 1611), amico dei potenti Farnese.


Grazie alla raccomandazione di Mario Farnese, il 23enne Mochi ottiene un’importante commissione per il Duomo di Orvieto: un’ Annunciazione in marmo da realizzare per l’altare maggiore.
L’opera, completata nel 1609, è un’apparizione epifanica nella scultura occidentale: Mochi è un genio e lo rivela fin da giovanissimo.
Egli si inserisce a pieno titolo nel filone naturalistico caravaggesco e riesce a farlo, caso unico, in scultura. Mochi rende infatti con estrema naturalezza lo stupore della Madonna che si alza di scatto dalla massiccia sedia, sbilanciandola, e dell’angelo che atterra, obliquo, con il camicione che gli cade sconvenientemente dalla spalla.
L’apprezzamento da parte dei fabbricieri del Duomo per il Mochi è riscontrabile nella commissione al montevarchino di altre due statue, appartenenti ad un ciclo raffigurante i dodici apostoli: il San Filippo (1610) e il San Taddeo (realizzato solo molti anni dopo).


Nel primo decennio del XVII secolo il giovane scultore continua a fare sponda tra Roma e Orvieto: nella città dei papi lavora alla cappella Paolina in Santa Maria Maggiore e nel 1610 inizia a scolpire la Santa Marta di Sant’Andrea della Valle, completata molti anni dopo, ma ricca di suggestioni caravaggesche nel suo emergere dal buio della nicchia e nella naturalità del gesto e dell’espressione del volto.


Nel 1612 la svolta: Mario Farnese gli procura un’onerosa commissione per un luogo estremamente periferico che richiede un trasferimento dello scultore: Piacenza. Suo compito realizzare due monumenti equestri. Il primo al signore di Parma e Piacenza all’epoca governante: Ranuccio I Farnese (Parma, 1569 – 1622), il secondo al di lui padre Alessandro (Roma, 1545 – Arras, 1593), le cui doti militari erano ormai entrate nel mito.


La realizzazione della prima statua è lunga e sofferta. Punto di ispirazione il Marco Aurelio romano, in cui cavallo e cavaliere hanno la stessa dignità, e sono entrambi degni di un “ritratto”. A differenza del Gattamelata di Donatello o del Colleoni di Verrocchio, nei quali l’animale non è niente di più di un basamento.
Anatomie superbe, occhi vivi, nervi ed arterie pulsanti a fior di pelle caratterizzano il cavallone di Ranuccio, che da esattamente 400 anni (dicembre 1620) svetta sulla piazza principale della città.
Nel basamento marmoreo bellissimi rilievi in stiacciato (rilievo bassissimo) donatelliano omaggiano la pittura classicheggiante, idealizzata e rassicurante, del Raffaello di un secolo prima. Ma la visione retrospettiva sembra spingersi ancora più indietro: a Donatello appunto (Firenze, 1386 – 1466), l’inventore dello stiacciato, nei cui virtuosismi il Mochi sembra voler competere.


Nel 1621 Mochi ottiene licenza per poter tornare a Roma. Rubens, tra Genova, Mantova e Roma ha da poco “inventato” il barocco trionfalistico e pomposo, Caravaggio è invece morto da 11 anni e il giovanissimo Bernini sta iniziando a stupire la corte papale coi suoi virtuosismi scultorei. Francesco si accorge un po’ in ritardo delle novità e di questo nuovo gusto che è deciso a trasportare in terra padana: nel 1622 torna a Piacenza ed entro il 1625 termina la seconda statua equestre.
L’impeto con cui il guerriero Alessandro cavalca è etereo. Trasfigura nel mito. Un semidio. Rubens si fa scultura. E non solo nella tirannica figura del cavaliere, ma anche nei putti del basamento: i fanciulli grassi rubensiani, che nel fiammingo sono puro espediente lezioso, diventano dramma in Mochi, sono infatti come dei piccoli schiavi costretti a reggere pesanti stemmi, troppo pesanti da sollevare per la loro età. I rilievi del basamento non riecheggiano più Raffaello o Donatello, ma la paesaggistica del periodo: vogliono sfidare la pittura di Rubens e Domenichino.


Il completamento del basamento si protrae fino al 1628. In quell’anno Mochi torna nella Roma monopolizzata da uno scultore iracondo, ambizioso, violento e crudele: Gian Lorenzo Bernini (Napoli, 1598 – Roma, 1680). Impossibile emergere contro di lui. Solo Francesco Borromini (Bissone, 1599 – Roma, 1667) aveva la fibra per tenergli testa, ma avrebbe poi pagato lo stress con il tracollo mentale e il violento suicidio.


Mochi di ritorno a Roma completa la Santa Marta e riceva da papa Urbano VIII la commissione della Veronica, per una delle nicchie sottostanti alla cupola di San Pietro.
Mochi, deluso dall’essere messo al margine, è molto lento nei lavori, completa la Veronica solo nel 1640: opera senza magniloquenza, è solo una donna massiccia che si è appena gettata ad asciugare il volto del Signore, il quale è rimasto impresso nel drappo.
Scolpisce poi il San Taddeo (1644) per Orvieto e uno scarnificato gruppo scultoreo col Battesimo di Cristo (1634-44), poi rifiutato, per la Cappella Falconieri in San Giovanni dei Fiorentini.


Nel 1644 si ritira dalle scene, 64enne, deluso; una pensione forzata. La sua fama era morta in concomitanza con l’abbandono di Piacenza nel 1628, città nella quale sicuramente avrebbe potuto continuare a dire la sua, seppur ai margini dall’agguerrita competitività dei grandi centri artistici.


Muore dimenticato a Roma il 6 febbraio 1654.


[Immagine: bd376f0a-5a30-4a92-a1a2-ced5a0a998aa.jpg]
F. Mochi, Angelo annunciante, 1603-05, Orvieto, Duomo

[Immagine: mochi2.jpg]
F. Mochi, Vergine annunciata, 1605-09, Orvieto, Duomo

[Immagine: mochi_francesco_503_st_martha.jpg]
F. Mochi, Santa Marta, 1610-12 (completata poi tra 1628 e 1630), Roma, Sant'Andrea della Valle

[Immagine: 1200px-Madonna_di_Loreto-Caravaggio_%28c.1604-6%29.jpg]
Caravaggio, Madonna dei Pellegrini, 1604-06, Roma, Sant'Agostino (non citata esplicitamente nel testo, serve come confronto con la Santa Marta).

[Immagine: 1323173604.jpg]
F. Mochi, Monumento equestre a Ranuccio Farnese, 1612-1620, Piacenza, Piazza dei Cavalli 

[Immagine: Gattamelata.jpg]
Donatello, Monumento a Gattamelata, 1445-1453, Padova, Piazza del Santo

[Immagine: Monumento%20equestre%20ad%20alessandro%2...pagani.JPG]
F. Mochi, Monumento equestre ad Alessandro Farnese, 1622-1625, Piacenza, Piazza dei Cavalli

[Immagine: 670f3c68c0e56f9eea642fd5000032b6.jpg]
F. Mochi, Putto reggistemma, dal basamento del Monumento equestre ad Alessandro Farnese, 1625-1628, Piacenza, Piazza dei Cavalli

[Immagine: Rubens%2C_madonna_della_vallicella.jpg]
Pieter Paul Rubens, Madonna della Vallicella, 1606-08, Roma, Santa Maria in Vallicella (opera non citata esplictamente nel testo. Utile per confrontare i putti. Leziosi in Rubens, contorti e drammatici in Mochi)

[Immagine: TFFSoJgZOfFkasOCZHnpkGNuc8_kYNlGcjb1wZHQ...9q5lQX0L5z]
F. Mochi, Costruzione di un ponte sul fiume Schelde, dal basamento del Monumento equestre ad Alessandro Farnese, 1625-1628, Piacenza, Piazza dei Cavalli

[Immagine: palazzo-doria-pamphilj-domenichino-paesa...do-big.jpg]
Domenichino (Domenico Zampieri), Paesaggio con guado, 1607 circa, Roma, Galleria Doria Pamphilj

[Immagine: 9791af1f528c3b2125bac078ddb7a678.jpg]
F. Mochi, Santa Veronica, 1629-40, Città del Vaticano, Basilica di San Pietro

[Immagine: _GRB3181.jpg]
F. Mochi, Battesimo di Cristo, 1634-44, Roma, San Giovanni dei Fiorentini
 
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Artisti al margine - da Giugurta - 22-11-2020, 03:07 PM
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