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Lo storytelling sta uccidendo il giornalismo sportivo
#9
Per quanto mi riguarda, ritengo il pezzo su Arroyo la mia opera migliore.

Poiché in quell'articolo non racconto una storia fine a sé stessa, ma sfrutto la storia di Arroyo per muovere una critica feroce al ciclismo contemporaneo.

Ovviamente il primo problema dello storytelling à la Bidon e derivati è che non riesce nemmeno nel tentativo di raccontare la storia di un evento sportivo. È uno storytelling senza un fulcro, basato sul mero sensazionalismo. Il fatto che Joe Formaggio, che oggi arriva 25esimo al Tour Down Under, a sedici anni fosse un tossico, mi pare interessante. Dunque calco la mano.

Ma al di fuori di quella nicchia di gente che si sega su ste cose, più rumorosi che numerosi, a nessuno frega nulla di Joe Formaggio e del suo passato da tossico.

I fatti personali di un atleta possono avere spazio in un racconto se sono funzionali allo stesso. Non puoi raccontare José Maria Jimenez senza considerare certi aspetti della sua vita. Ma migliaia di altri atleti li dovresti raccontare senza nemmeno accennare al fatto che a sei anni mangiavano gabbiani vivi. Invece gli storytellers fanno di questi dettagli inutili la base delle loro storie. Questo perché analizzare prestazioni sportive richiede fatica. Per scrivere di Arroyo ho fatto un rewatch dell'intero Giro 2010, poiché di certo non bastava la mia pur buona memoria. E ciò vuol dire che per lavorare a quell'articolo mi sono serviti diversi giorni. Ovviamente è molto più facile riportare due dichiarazioni da vecchie interviste e qualche aneddoto di quando era bambino.

Partendo da fondamenta scadenti, dunque, si viene poi a creare il putrescente castello dello storyteller.

Lo storyteller non racconta la realtà e non ha interesse a farlo, poiché non è capace di analizzarla. Lo storyteller distorce la realtà in modo da raccontare un racconto senza contesto, in cui lui è protagonista tanto quanto l'atleta oggetto della narrazione. Perché allo storyteller non interessa nulla che non sia l'apparenza. Si masturba con le sue stesse parole mentre ti racconta che a Blanka Kata Vas piace giocare a ping pong.

Il racconto dello storyteller è fatto di aneddoti fini a sé stessi, di sensazionalismo spiccio e, quando serve, di un'evidente divisione tra buoni (Messi nel calcio, Federer nel tennis, Pogacar nel ciclismo ecc...) e cattivi (CR7 nel calcio, Djokovic nel tennis, Remco nel ciclismo ecc...).

Ovviamente lo storytelling è la morte di tutto quello che, per me, dovrebbe rappresentare il giornalismo sportivo. Lo storytelling non comprende l'analisi in tutte le sue forme, lo storytelling non contestualizza, lo storytelling non prevede critica alcuna, lo storytelling non serve a nessuno se non all'autore.

Lo storyteller, chiaramente, non può né contestualizzare né analizzare un evento sportivo o la carriera di un atleta. Non ne ha i mezzi. Lo storyteller pensa che basti riempirsi la bocca di parole come "cultura sportiva" e leggere due stronzate su google per essere competente.

Ovviamente essendo questo storytelling l'unico tipo di giornalismo che affianca la mera cronaca, andremo a fondo con tutte le scarpe.

Venendo a Buffa, alla fine della fiera, ci si ricorda maggiormente di quello che dice o di come lo dice? Buffa è Buffa perché ti racconta Rasheed Wallace o per come ti racconta Rasheed Wallace (l'unica cosa che ricordo di Buffa che racconta Wallace sono gli aneddoti sulla madre Sweat ).
 
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RE: Lo storytelling sta uccidendo il giornalismo sportivo - da Luciano Pagliarini - 18-12-2022, 06:14 PM

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