15-04-2012, 01:14 AM
Inchiesta: femmine come i maschi
Cosa rispondono i politici del nostro sport alle richieste delle cicliste italiane di maggiori diritti e tutele? Abbiamo chiesto al presidente della Federazione Ciclistica Italiana Renato Di Rocco cosa ne pensa dell’iniziativa dell’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani e quali possibilità ha, secondo lui, lo sport rosa di essere riconosciuto come attività professionale. Punzecchiato sull’argomento riconosce punti di forza e punti deboli di un sistema che ha «numeri ancora troppo distanti dal settore maschile», ma non si tira indietro: «Le cicliste italiane sono un esempio per lo sport tutto. Appoggeremo la loro battaglia».
Pat McQuaid, all’ultimo mondiale di Copenhagen, dopo la vittoria di Giorgia Bronzini ha detto che il ciclismo femminile non è pronto per ottenere tutele sindacali come, per esempio, un minimo salariale per tutte le atlete.
Lei cosa ne pensa?
«Nonostante questa considerazione, va detto che l’Unione Ciclistica Internazionale è attenta al settore femminile e alla sua qualità. Non bisogna dimenticare che si è impegnata perchè le discipline olimpiche femminili ottenessero pari dignità a quelle maschili. Il ciclismo è stato uno dei primi sport al mondo ad avere pari numero di medaglie per le gare dei due sessi. Inoltre le ragazze fino a qualche anno fa correvano all’estero più dei colleghi maschi, sono tra le poche atlete a gareggiare praticamente in quasi tutti i continenti. Non è vero, quindi, che il movimento non interessa a livello internazionale, ma a oggi purtroppo non offre numeri pari a quello maschile: né per atleti, né per investimenti, né per interesse. Lo dico a malincuore e mi auguro davvero che un po’ alla volta il settore cresca per il bene del nostro amato sport e per le ragazze che tanto si impegnano sulle loro bici».
Ha parlato con le ragazze per capire quali sono le loro esigenze?
«Da diversi anni seguo con grande attenzione i loro problemi. Grazie alle pronte segnalazioni delle atlete stesse e del CT Dino Salvoldi abbiamo sotto controllo la situazione. Sappiamo bene che ci sono manager poco seri, che non rispettano gli impegni presi e stiamo assistendo in questo senso le ragazze, per quanto possiamo. Giorgia e le sue compagne rivendicano giustamente più attenzione anche dai media, ma purtroppo al nostro movimento viene di per sé dedicato meno spazio che ad altre discipline e atlete di calibro pari o inferiore alla nostra campionessa del mondo (mettendo in piazza anche la propria vita personale) attirano la stampa più di lei. Più che sostenere il movimento non possiamo fare per cambiare la logica della comunicazione. Basti pensare, per fare qualche esempio extraciclistico, che a proposito del motociclismo si parla solo di Rossi o nel nuoto si parla quasi esclusivamente della Pellegrini anche se ci sarebbero molti altri atleti che meriterebbero pari interesse mediatico».
L’ACCPI ha fatto un primo passo importante, ma questo problema va affrontato dalla federazione.
«Per le leggi attuali noi eseguiamo per i team femminili le stesse procedure previste per quelli maschili. Ogni volta che ci viene segnalata un’emergenza, interveniamo. Per le donne abbiamo fatto molto, ricevendo anche parecchie critiche. A livello mondiale il nostro movimento è quello più consistente e che ha raccolto con gli ultimi due commissari tecnici i risultati più alti e costanti per il nostro paese. Ho sempre guardato con attenzione alle loro esigenze tanto che abbiamo alzato i premi nazionali per le vittorie e i piazzamenti con la maglia azzurra e abbiamo inserito nei Gruppi Sportivi delle Forze Armate più donne che uomini, permettendo alle atlete più talentuose di avere uno stipendio sicuro. Come federazione crediamo molto al prodotto donna e ci investiamo dai tempi della Pezzo. Vi ricordate quanto spingemmo sulla mtb? Per i numeri attuali del movimento abbiamo coi fatti riconosciuto gli sforzi delle nostre atlete. La struttura tecnica della FCI è sempre più attenta a controllare squadre e staff dei team in rosa. In questo senso un “bravo” va a Mario Minervino, uomo sensibile a questo argomento, impegnato anche in campo internazionale per il ciclismo femminile. Aver riportato la Coppa del Mondo in Italia non è da tutti... ».
Quindi la Federazione appoggerà l’ACCPI rosa?
«Sono davvero contento dell’aiuto che l’Assocorridori potrà fornire alle ragazze e sono sinceramente convinto che, con la crescita del movimento, un po’ alla volta importanti conquiste al femminile arriveranno. Le porte della federazione sono sempre aperte a nuovi stimoli. Come Federazione abbiamo condiviso questo primo passo mosso dal sindacato dei corridori e dalle cicliste Elite. Qualsiasi richiesta e proposta realizzabile ci sottoporrà l’ACCPI l’appoggeremo come ho sempre fatto da quando sono Presidente della FCI».
I problemi dello sport al femminile non crede dovrebbero interessare, ancor più delle singole federazioni, il CONI.
«Certo, se il grido dall’allarme arrivasse da tutte le sportive italiane, sì. Unite potrebbero fare la differenza. Lo sport si sta dirigendo sempre più al femminile. Cicliste, tenniste, nuotatrici, ginnaste, pallavoliste ecc. ecc. hanno raccolto negli ultimi anni molto di più dei colleghi uomini. Lo sport in rosa è una grande realtà, ma molte discipline soffrono per mancanza di investimenti ed attenzione. Non solo le nostre ragazze si lamentano perché i riflettori si accendono su di loro solo quando ci sono le Olimpiadi e, se va bene, i Mondiali. Mi ricordo il lamento della pattinatrice Fontana, ma anche delle ragazze che praticano pallanuoto e tiro con l’arco».
Ci sarà prima o poi un riconoscimento professionale dello sport al femminile? Il neoministro dello sport Piero Gnudi, grande appassionato di ciclismo, potrebbe dimostrarsi sensibile all’argomento...
«A livello internazionale le cicliste sono riconosciute come professioniste, nel nostro panorama nazionale va rivista la legge 91 che delinea questa materia e stabilisce tra l’altro che il ciclismo è uno dei 7 sport riconosciuti come discipline professionistiche. È già in programma l’apertura di un tavolo tecnico per migliorare questa normativa, ormai superata. Come Federazione abbiamo già portato avanti alcune proposte, ma per realizzare un cambiamento concreto molto si fa coi risultati, con strutture serie, sostenitori di un certo livello e credibilità. Un adattamento della legge attuale in questo senso sarebbe importante, l’ultima proposta che ricordo a riguardo della legislazione dello sport rosa fu quella promossa dall’ex campionessa di sci di fondo e oggi membro del CIO (Comitato Olimpico Internazionale) Manuela Di Centa, che prevedeva il congedo obbligatorio per maternità e la corresponsione di un’indennità. Per un decreto legge ad hoc l’unica strada è un’azione generale di tutti gli sport e una crescita generale del movimento. Per tornare a casa nostra, personalmente avverto con piacere sempre meno preclusioni per le donne. Grazie soprattutto ai risultati di alto livello ottenuti dalle nostre azzurre, il tabù della donna ciclista non fa più parte dell’immaginario collettivo. A piccoli passi sono sicuro che qualche conquista le ragazze la otterranno presto: io sono fiducioso a riguardo e naturalmente sono dalla loro parte».
di Giulia De Maio
da tuttoBICI di Marzo 2012 - www.tuttobiciweb.it
Cosa rispondono i politici del nostro sport alle richieste delle cicliste italiane di maggiori diritti e tutele? Abbiamo chiesto al presidente della Federazione Ciclistica Italiana Renato Di Rocco cosa ne pensa dell’iniziativa dell’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani e quali possibilità ha, secondo lui, lo sport rosa di essere riconosciuto come attività professionale. Punzecchiato sull’argomento riconosce punti di forza e punti deboli di un sistema che ha «numeri ancora troppo distanti dal settore maschile», ma non si tira indietro: «Le cicliste italiane sono un esempio per lo sport tutto. Appoggeremo la loro battaglia».
Pat McQuaid, all’ultimo mondiale di Copenhagen, dopo la vittoria di Giorgia Bronzini ha detto che il ciclismo femminile non è pronto per ottenere tutele sindacali come, per esempio, un minimo salariale per tutte le atlete.
Lei cosa ne pensa?
«Nonostante questa considerazione, va detto che l’Unione Ciclistica Internazionale è attenta al settore femminile e alla sua qualità. Non bisogna dimenticare che si è impegnata perchè le discipline olimpiche femminili ottenessero pari dignità a quelle maschili. Il ciclismo è stato uno dei primi sport al mondo ad avere pari numero di medaglie per le gare dei due sessi. Inoltre le ragazze fino a qualche anno fa correvano all’estero più dei colleghi maschi, sono tra le poche atlete a gareggiare praticamente in quasi tutti i continenti. Non è vero, quindi, che il movimento non interessa a livello internazionale, ma a oggi purtroppo non offre numeri pari a quello maschile: né per atleti, né per investimenti, né per interesse. Lo dico a malincuore e mi auguro davvero che un po’ alla volta il settore cresca per il bene del nostro amato sport e per le ragazze che tanto si impegnano sulle loro bici».
Ha parlato con le ragazze per capire quali sono le loro esigenze?
«Da diversi anni seguo con grande attenzione i loro problemi. Grazie alle pronte segnalazioni delle atlete stesse e del CT Dino Salvoldi abbiamo sotto controllo la situazione. Sappiamo bene che ci sono manager poco seri, che non rispettano gli impegni presi e stiamo assistendo in questo senso le ragazze, per quanto possiamo. Giorgia e le sue compagne rivendicano giustamente più attenzione anche dai media, ma purtroppo al nostro movimento viene di per sé dedicato meno spazio che ad altre discipline e atlete di calibro pari o inferiore alla nostra campionessa del mondo (mettendo in piazza anche la propria vita personale) attirano la stampa più di lei. Più che sostenere il movimento non possiamo fare per cambiare la logica della comunicazione. Basti pensare, per fare qualche esempio extraciclistico, che a proposito del motociclismo si parla solo di Rossi o nel nuoto si parla quasi esclusivamente della Pellegrini anche se ci sarebbero molti altri atleti che meriterebbero pari interesse mediatico».
L’ACCPI ha fatto un primo passo importante, ma questo problema va affrontato dalla federazione.
«Per le leggi attuali noi eseguiamo per i team femminili le stesse procedure previste per quelli maschili. Ogni volta che ci viene segnalata un’emergenza, interveniamo. Per le donne abbiamo fatto molto, ricevendo anche parecchie critiche. A livello mondiale il nostro movimento è quello più consistente e che ha raccolto con gli ultimi due commissari tecnici i risultati più alti e costanti per il nostro paese. Ho sempre guardato con attenzione alle loro esigenze tanto che abbiamo alzato i premi nazionali per le vittorie e i piazzamenti con la maglia azzurra e abbiamo inserito nei Gruppi Sportivi delle Forze Armate più donne che uomini, permettendo alle atlete più talentuose di avere uno stipendio sicuro. Come federazione crediamo molto al prodotto donna e ci investiamo dai tempi della Pezzo. Vi ricordate quanto spingemmo sulla mtb? Per i numeri attuali del movimento abbiamo coi fatti riconosciuto gli sforzi delle nostre atlete. La struttura tecnica della FCI è sempre più attenta a controllare squadre e staff dei team in rosa. In questo senso un “bravo” va a Mario Minervino, uomo sensibile a questo argomento, impegnato anche in campo internazionale per il ciclismo femminile. Aver riportato la Coppa del Mondo in Italia non è da tutti... ».
Quindi la Federazione appoggerà l’ACCPI rosa?
«Sono davvero contento dell’aiuto che l’Assocorridori potrà fornire alle ragazze e sono sinceramente convinto che, con la crescita del movimento, un po’ alla volta importanti conquiste al femminile arriveranno. Le porte della federazione sono sempre aperte a nuovi stimoli. Come Federazione abbiamo condiviso questo primo passo mosso dal sindacato dei corridori e dalle cicliste Elite. Qualsiasi richiesta e proposta realizzabile ci sottoporrà l’ACCPI l’appoggeremo come ho sempre fatto da quando sono Presidente della FCI».
I problemi dello sport al femminile non crede dovrebbero interessare, ancor più delle singole federazioni, il CONI.
«Certo, se il grido dall’allarme arrivasse da tutte le sportive italiane, sì. Unite potrebbero fare la differenza. Lo sport si sta dirigendo sempre più al femminile. Cicliste, tenniste, nuotatrici, ginnaste, pallavoliste ecc. ecc. hanno raccolto negli ultimi anni molto di più dei colleghi uomini. Lo sport in rosa è una grande realtà, ma molte discipline soffrono per mancanza di investimenti ed attenzione. Non solo le nostre ragazze si lamentano perché i riflettori si accendono su di loro solo quando ci sono le Olimpiadi e, se va bene, i Mondiali. Mi ricordo il lamento della pattinatrice Fontana, ma anche delle ragazze che praticano pallanuoto e tiro con l’arco».
Ci sarà prima o poi un riconoscimento professionale dello sport al femminile? Il neoministro dello sport Piero Gnudi, grande appassionato di ciclismo, potrebbe dimostrarsi sensibile all’argomento...
«A livello internazionale le cicliste sono riconosciute come professioniste, nel nostro panorama nazionale va rivista la legge 91 che delinea questa materia e stabilisce tra l’altro che il ciclismo è uno dei 7 sport riconosciuti come discipline professionistiche. È già in programma l’apertura di un tavolo tecnico per migliorare questa normativa, ormai superata. Come Federazione abbiamo già portato avanti alcune proposte, ma per realizzare un cambiamento concreto molto si fa coi risultati, con strutture serie, sostenitori di un certo livello e credibilità. Un adattamento della legge attuale in questo senso sarebbe importante, l’ultima proposta che ricordo a riguardo della legislazione dello sport rosa fu quella promossa dall’ex campionessa di sci di fondo e oggi membro del CIO (Comitato Olimpico Internazionale) Manuela Di Centa, che prevedeva il congedo obbligatorio per maternità e la corresponsione di un’indennità. Per un decreto legge ad hoc l’unica strada è un’azione generale di tutti gli sport e una crescita generale del movimento. Per tornare a casa nostra, personalmente avverto con piacere sempre meno preclusioni per le donne. Grazie soprattutto ai risultati di alto livello ottenuti dalle nostre azzurre, il tabù della donna ciclista non fa più parte dell’immaginario collettivo. A piccoli passi sono sicuro che qualche conquista le ragazze la otterranno presto: io sono fiducioso a riguardo e naturalmente sono dalla loro parte».
di Giulia De Maio
da tuttoBICI di Marzo 2012 - www.tuttobiciweb.it