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Dal mio quaderno di ricordi.....
#1
Ricordi…..
 
Come tanti, anch'io, nel ciclismo, preferisco la montagna e gli scalatori, ma fin da bambino tenerissimo, ho istintivamente voluto immedesimarmi nei segreti e nelle particolarità di ogni gesto possibile sulla bicicletta, senza esaltare le differenze simpatetiche, ed alla fine, grazie a questa impostazione, ho salvato la passione per questo sport, dalle sue traversie, non piccole, e dai suoi pessimi dirigenti, i peggiori dell’intero sport mondiale. Lo stesso m’è capitato per l’atletica leggera ed altre discipline, perché sono tante quelle che si compongono di diverse variabili. 
Ivan Quaranta mi colpì subito. Erano i primi di giugno del 1992, quando al velodromo di Forlì, Sergio Bianchetto, un simpatico amicone, riuscì a proporre una riunione internazionale preolimpica, con quasi tutti i migliori pistard mondiali, ed un parter di tecnici, dal passato così glorioso, da farmi divertire e piangere d’emozione, nel formulare quelle somme di titoli che si spingevano fino a numeri da brividi. L’amico Mauro Orlati, allenatore di grande valore, nonostante l’impegno verso il fantasioso e formidabile talento di Adler Capelli, appena vide i miei occhi roteare impazziti dalla soddisfazione di trovarmi su quel “mare”, prese subito la palla al balzo per urlarmi: “Hei Maurizio, non spendere tutta la voglia e il tuo sapere, perché in Polisportiva ti vogliono anche domani!”.
Già, avevo lasciato palestre, campi e atleti, per prendermi una giornata che ancora oggi definisco storica.
Conobbi Daniel Morelon, che mi riempì di “mercì”, ebbi la prova che il colossale mattacchione Michael Hubner, avrebbe potuto lussare, con la forza della sua mano destra, anche la spalla di Tyson. L’esaltazione dei momenti, mi donò improvvise ed inaspettate capacità di rendere il mio inglese maccheronico, come gli spinaci di Popeye, fino al punto di avvicinare Gary Neiwand, l’australiano amico-avversario del gigante tedesco e scherzare con lui, infarcendo il tutto con spaccati di riferimento sullo sport aussie.
Diventai un’attrazione (forse la mia più grande impresa di intrattenitore pazzoide…) al punto che Neiwand, prima di salire in pista per i 200 lanciati, mi promise il record di quel vetusto anello e dopo aver percorso la distanza con tanto di primato, mi salutò strizzando l’occhio, alzando contestualmente il pollice destro.
Fenomeni che si stavano sfidando con gli sguardi attenti di altrettanti fenomeni solo moderatamente appannati dai capelli grigi e da una tuta. Raggiunsi il professor Massimo Marino, più anziano di me di un paio d’anni, che ben conoscevo, a cui ricordai quando 23 anni prima, sul medesimo impianto, seppe vincere il suo primo titolo tricolore nella velocità, fra gli esordienti. Al tempo, Marino, era il direttore tecnico dei velocisti juniores, uno che era riuscito a costruire quella scuola dello sprint che poi, il Ceruti (“Non voglio gli uomini michelin!”) disintegrò. Già, in pochi anni, podi e titoli iridati erano piovuti su quell’italica velocità che già allora sentiva come un freno enorme, la mancanza di quell’impianto coperto in possesso di tutti, in Europa. Eppure, nonostante questo neo, dopo il titolo di Gianluca Capitano, il tecnico romano, era riuscito a strappare ad altri sport, fino a farlo emergere con tanto di iride, quel mostruoso talento atletico che rispondeva al nome di Roberto Chiappa (l’ultimo 99esimo percentile, di cui sono a conoscenza, passato al ciclismo). A Massimo, chiesi subito cosa bolliva nel suo “pentolone magico” e lui mi rispose che non era facile sostituire uno come Roberto (nel frattempo divenuto dilettante e subito 4°, a soli 19 anni, alle Olimpiadi di Barcellona…), ma c’erano diversi ragazzi interessanti che avrei potuto osservare di lì a poco.
“Verrò a chiederti un parere su di loro dopo” – aggiunse strizzando un occhio.
In quel vortice di emozioni dato dalla miriade di stelle in gara, quella sua frase mi incuriosì e la presi come un impegno. Neanche il tempo di scambiare qualche battuta con Capelli (prima o poi dovrò pur scrivere su di lui qualcosa…!) e di spostarmi nella postazione ideale per vedere al meglio i ragazzi di Marino, che un giornalista RAI (non più visto e sentito) mi venne a rompere i cosiddetti, per chiedermi di aiutarlo per il servizio sulla riunione. Fui di uno sgarbato da schiaffi: “Vai in onda a mezzanotte e trenta, in differita, e vieni qui a rompermi le palle tre ore prima, per 45 secondi di servizio? Dai, vai a cuccia, che il testo te lo scrivo in due minuti, dopo la finale del mezzofondo!” Quel tipo, era così mollusco o impaurito, che digerì i miei ragli, come fossero foglie d’insalata.
La finale della velocità juniores si corse a tre e in un’unica prova. Ricordo che appena un assistente di giuria mi passò le generalità del terno allo start, vedendo il cognome Quaranta, pensai fra me e me: “Vediamo se Quaranta fa novanta!”. Il ragazzino lombardo però, più che novanta, fece cento. Nella curva antecedente il rettilineo, era terzo e nonostante la velocità elevata, uscì a schizzo da quella posizione, rimontando Gambareri, fino a tagliare il traguardo con una mezza bicicletta sul secondo, ed una sul terzo. Ebbi la netta sensazione che fosse di un’altra categoria. Sensazione che si confermò guardando il suo fisichetto non certo corazzato e il tempo impresso sul tabellone luminoso dei cronometristi, dove imperava un significativo 11”4 sugli ultimi 200 metri. Quando vidi Marino venirmi incontro, lo anticipai: “Vecchia volpe romana, mica mi avevi detto che avevi un altro fenomeno nel cilindro!”
“Beh …non volevo rovinarti la sorpresa…” – rispose sorridendo.
Nel vortice d’ammirazione che sempre mi coinvolge nel vedere qualcosa di non comune, continuai: “Ai Mondiali di Atene, nonostante quel francese omonimo del grande Rousseau, di cui si dice un gran bene, questo Quaranta, può succedere a Chiappa. Sarà durissima, ma se riesce ad imbrigliare la potenza e la velocità prolungata del transalpino che dicono sia un gran chilometrista, impostando una volata corta, il ragazzino di Crema, con quella esplosività da fulmine, non lo batte nessuno. E tu lo saprai pilotare al meglio affinché ciò avvenga!”
“Dici bene, ed è quello che faremo se dovessimo scontrarci col fenomeno francese. Vuoi venire con noi?”
“Magari potessi!” – gli dissi mentre tornavo al mio lavoro ….di divertimento.
Già, fossi stato ad Atene, mi sarei messo a piangere di gioia, perché l’Ivan di Crema, col suo fisico non culturista, dopo aver vinto i Tricolori della specialità dominando, giunse ai Mondiali greci col piglio responsabile, di dover difendere la scuola di Massimo, dall’astro transalpino. I due non si scontrarono in finale, bensì in semifinale. Quaranta, fu perfetto nel disegno tattico, impostando la prima volata sulla brevità dello spunto, ponendosi in testa nella classica andatura da ricerca di surplace, ma abbastanza alto, in modo di chiudere un eventuale anticipo di Rousseau. Ivan ben sapeva che lo scatto, per lui così esplosivo e brevilineo rispetto allo statuario francese, gli avrebbe dato qualche carta pregiata. Si portò sull’uno a zero così, come quei pistard dei tempi lontani che basavano tutto il loro meglio sull’estro e la fantasia, piuttosto che sui muscoli.
Nell’altra prova, Rousseau, cambiò atteggiamento, cercando di svolgere la propria lunga volata per fiaccare il guizzo del cremasco, ma sbagliò i conti, perché per riuscire nell’intento, avrebbe dovuto proporre uno sprint come fosse stata una gara sul chilometro.
Ivan, pur stringendo i denti, gli si pose a ruota e fu ugualmente capace di giocare il suo schizzo negli ultimi cinquanta metri. Lo rimontò raschiando il fondo delle sue fibre velocistiche, ma vi riuscì, prendendo per mano quella maglia iridata che poi, in finale, al cospetto del russo Bokhanisevk, raggiunse compiutamente.
Ciò che ha poi fatto vedere Rousseau (dalle medaglie d’oro e d’argento alle Olimpiadi, ai sei titoli mondiali, fra chilometro e velocità, nonché un’infinità di gran premi…), che, si badi, pur avendo il medesimo millesimo di nascita di Ivan (1974), è, nei fatti, più anziano di quasi un anno (primi di febbraio contro metà dicembre), danno a chi si pone di fronte a Quaranta, un primo ed inconfondibile metro del suo talento velocistico.
 
Dopo la grande stagione ’92, ebbi diverse volte occasione di parlare col cremasco. Quando veniva ai collegiali di Forlì assieme a Roberto Chiappa, trovavo sempre il tempo di prendermi un permesso per raggiungerli e poi, magari, pur di finire i colloqui, mi prestavo con l’Espace della mia Sanson, a portarli in stazione. Due talenti simili, al pari di Capelli e del ravennate Andrea Collinelli, erano manna per la mia passione verso la pista, ed averli vicino alla sede della Politecnico dello Sport, come amavo chiamare la mia polisportiva, rappresentava per me una variabile nuova di conoscenza di quell’insieme di reattività, caratteri e particolari tecnici che si fondono in un atleta. Ed i pistard, alle doti che si richiedono ad un ciclista, aggiungono spesso quell’imprevedibilità pazzerella ed il virtuosismo magari masochista o esageratamente da mattacchioni, che sono come il pane per uno come me che, al tempo, viveva in mezzo agli atleti, ed era sovente chiamato ad aggiungere al ruolo, quello di fratello maggiore, amico o  psicologo.
In quegli anni, praticamente fino all’esordio fra i professionisti, quando incontravo Ivan, gli dicevo sempre di non abbandonare mai completamente la pista, anche se nella velocità era chiuso per la trasformazione tecnica e fisica dei velocisti. Sui velodromi avrebbe trovato lo spazio su altre specialità dove il suo talento indubbio, sarebbe stato in grado di emergere con forza.
“Se passerai alla strada – gli dicevo - fallo ricordandoti di Peter Post, che arrivò a vincere la Roubaix alla media record (ancor oggi ineguagliata) senza mai abbandonare le sei giorni dove era un re e pure le altre specialità. Tu sei più veloce di Peter, non dimenticarlo, ma hai le fibre bianche più fragili e devi saper convivere con loro, senza distruggerle concependoti totale stradista. Devi saper sfruttare le tue doti, il guizzo, la scaltrezza, le tue punte di velocità che sono una rarità. Da professionista troverai i treni alla Cipollini, ma tu hai l’abilità per anticiparlo nell’acuto e, magari, col solo aiuto di un compagno, inventare quelli che erano gli sprint di una volta”.
 
Il ragazzo nei primi anni mi donò soddisfazioni a iosa, perché i suoi sprint erano una lezione di quello che da bambino avevo cementato in me come l’arte del velocista, con un solo compagno al massimo ad aiutarlo. Quaranta stava proponendo, senza saperlo, una rivoluzione sulla via di quella che Marco Pantani stava tracciando sui monti: il pirata ci faceva tornare ai tempi di Gaul e Bahamontes, superando in tanti contesti l’ultimo mohicano Fuente, ed Ivan ci donava le sensazioni che ci avevan donate Maertens e Van Linden a metà degli anni settanta. Certo due mondi diversi e due spessori diversi, ma la menzione di segno ci sta tutta.
 
Nel 1999, nella tappa di Cesenatico al Giro, vidi per l’ultima volta Quaranta. A poco meno di duecento metri dal traguardo, anticipò Re Leone Cipollini, con uno scatto al fulmicotone, come aveva fatto con Rousseau in pista. Fu un capolavoro d’intuito e di qualità velocistiche che mi dimostrò, con le sensazioni ineguagliabili del vivo, il medesimo spunto che l’aveva reso vincente ai danni di Blijlevens e Supermario, in quel di Modica, nella tappa inaugurale di quel Giro. Solo McEwen, fra i corridori delle ultime generazioni e nell’attualità, ha mostrato simili cromosomi. Ivan era un vero “ghepardo”, proprio come il nomignolo che iniziò ad accompagnarlo nell’osservatorio più largo.
 
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Dal mio quaderno di ricordi..... - da Morris - 20-05-2020, 09:07 PM
RE: Dal mio quaderno di ricordi..... - da OldGibi - 21-05-2020, 05:38 PM
RE: Dal mio quaderno di ricordi..... - da Morris - 23-05-2020, 05:49 PM
RE: Dal mio quaderno di ricordi..... - da Morris - 24-05-2020, 07:41 AM

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