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Sport: Sul Viale dei Graffiti
#23
Raffaele Marcoli, veloce come il vento, buono come il pane.

[Immagine: s-l1600-6.jpg]

Nato a Turbigo (MI) il 27 marzo 1940, deceduto in un incidente automobilistico a Feriolo, il 29 agosto 1966.  Velocista, alto m. 1,70 per kg. 68. Professionista dal 1963 al 1966, con 7 vittorie.

Per chi come me ha vissuto da undicenne appassionato di sport la tragedia di Raffaele Marcoli, costui sarà sempre un indimenticabile, una leggenda le cui volate, erano rese fulgide dalla TV eccezionale del tempo, un corridore che senza volerlo e senza mai ricercarsi, sapeva fungere da esempio di una parte evidente del ciclismo. Uno che continua a vivere nelle menti di quei più vecchi, che sono i veri ed ancora numerosi appassionati del pedale, checché ne dicano i media odierni, che devono sempre vendere quello che non c’è e, se c’è, è spesso pesante in troppi pori. Ed uno che continua a vivere, perché seppe far intenerire il genio narrativo sempiterno di un recente compianto come Gianni Mura, e l’attualità di un ultra ottantenne olimpionico, amico e compaesano di Raffaele, come Tony Bailetti, capace di organizzare il cinquantennale della morte di Marcoli, come un Fellini dei ricordi e della riconoscenza e che continua ancora oggi ad animare in Turbigo il sodalizio ciclistico che porta il nome dello sfortunato campione. Ed è così, che il sottoscritto, scrivendo, si scioglie nelle immagini di quei rush composti e potenti, in quegli sprint lineari che facevano di Marcoli, un alfiere davvero peculiare della velocità. Senza treni e, mi si permetta, con l’arte unica del suo io ciclistico. Si diceva che era negato per le salite, ma le biciclette di allora, aldilà del peso ben superiore, non avevano quella gamma di rapporti da mountain bike che sono il corredo di oggi. E lui, il Raffaele, arrivò a finire i quattro Giri d’Italia a cui partecipò, senza mai sfiorare il tempo massimo, o a scegliere quei tattici ritiri che sono una delle tante vergogne del ciclismo odierno. Insomma, Marcoli non era il campione che poteva vincere i GT, ma era una luce di un tempo dove l’osservatorio e, soprattutto, chi dirigeva il ciclismo, erano ben più positivi. Raffaele era uno vero, corretto e chi lo narrava, lo dipingeva cordiale, onesto e buono. Abbastanza per definirlo una figura d’oro che, se non fosse intervenuto il destino, poteva completare con luminosità superiore il proprio tratto nello sport.
[Immagine: Marcoli-960x649.jpg]
Figlio d’arte, il padre, Felice, era stato un discreto dilettante, Raffaele non bruciò le tappe nelle sue prime esperienze ciclistiche. Il suo talento velocistico iniziò a lasciare chiari segni da allievo, ma fu alla S.C. Binda, fra i dilettanti, che emerse con compiutezza. Tante vittorie e poi, nel 1962, il passaggio alla S.C. Cogliati Manzoni, il definitivo lancio anche numerico, con ben 18 centri in stagione. Nelle decine di successi fra i “puri”, vanno citati il Gran Premio Coperte di Somma e la Coppa d’Inverno. Nel 1963 l’Avvocatt Eberardo Pavesi lo volle alla Legnano e lo fece subito esordire al Giro d’Italia. Qui, fu chiamato a difendersi, ed a crescere senza nessun aiuto e lui rispose bene, finì 9° nella tappa di Bari e finì il Giro a Milano, 85°. Fu poi 2° nella Milano-Vignola, 12° nel Trofeo Matteotti e 15° nella Tre Valli Varesine. Nel 1964, sempre con la maglia color verde oliva, accumulò piazzamenti tali da far capire che era un ragazzo destinato. Una sorta di vittoria giunse subito nella seconda tappa del Giro di Sardegna che si concludeva a Cagliari, perché a vincere fu l’amico Antonio Bailetti con un’azione solitario e lui, l’ormai divenuta “Freccia di Turbigo” vinse la volata per il secondo posto, davanti a nomi altisonanti come quelli di Carlesi, Vannitsen, Van Looy e Sorgeloos.  Il suo Giro d’Italia fu poi formidabile. Iniziò col 3° posto nella tappa di Parma, proseguì col 2° posto in quella di Verona, battuto dal solo Bariviera, che era allora uno dei migliori velocisti mondiali; fu di nuovo 3° a Marina di Ravenna, ma superò tutto il gruppo giunto a 5” dal vincitore Zoppas e dal belga Hoevenaers; vinse la frazione che si concludeva a San Benedetto del Tronto annichilendo Dino Zandegù; fu poi 6° a Castelgandolfo e 7° ad Alessandria. A Milano chiuse il Giro al 94° posto e vinse la Classifica dei Traguardi Tricolori. La stagione restante lo vide 5° al Trofeo Matteotti, 5° nella St Vincent-Meda, 5° nella Milano-Vignola e 12° nel Campionato Italiano.
Nel 1965 passò alla rientrante Maino diretta da un altro grande vecchio del ciclismo di quel periodo, Alfredo Sivocci. Non fu una scelta felicissima, perché il suo valore meritava maggiore assistenza anche perché il ciclismo di stava modificando. Fortunatamente in Maino trovò il grande amico Danilo Grassi, ex iridato della “100 Chilometri a Squadre”, che aveva i numeri del corridore di razza e che aveva sul passo doti primarie. Un valido punto d’appoggio, che meritava egli stesso un altro tipo di sodalizio. La crescita di risultanze e spessore di Marcoli si poté comunque assestare a dei bei livelli. La “Freccia di Turbigo” fu trionfante in due tappe del Giro d’Italia, a Siracusa e Biandronno, fu 7° a Brescia. Chiuse il Giro 66°. Vinse poi il GP di Scorzè, le Tipo-Pista di Varedo, Casale Monferrato e Broni, fu 3° a Triuggio e Groppello d’Adda, 5° nel GP Ceprano, 6° alla Milano-Vignola, 7° nel GP di Alghero, 9° nel Trofeo Cougnet e 10° nel GP di Prato, nel GP Camucia ed in quello di Montelupo.
[Immagine: 1965-giro-Marcoli-vince-in-volata-la-tap...60x705.jpg]
La stagione seguente lo vide passare ad un sodalizio destinato a fare storia, la Sanson che Vincenzo Giacotto aveva portato al ciclismo per sostituire la Carpano. Iniziò l’anno col 2° posto, dietro il solitario Van de Kerckhove, nella tappa di Alghero del “Sardegna” e proseguì col 10° nella Sassari Cagliari. Indi il 6° posto nel Campionato di Zurigo. Al Giro d’Italia vinse la Chianciano-Roma con una volata incredibile, su un drappello di sette uomini (a dimostrazione che sapeva anche andare in fuga), fu 10° nella frazione di Napoli, 8° in quella di Giulianova e 2° nella tappa di Cesenatico. Chiuse il Giro d’Italia al 56° posto. Dopo la Corsa Rosa fu 8° nel GP Desio e fece sua con un’altra imperiale volata la Coppa Bernocchi, davanti a Zandegù, Dancelli e Durante.  Qualche giorno dopo fu 5° nel GP Feg Robbiano.
Poi quella curva a Feriolo e il frontale con un camion. Tre vite perdute: la sua, quella della fidanzata che stava per diventare moglie, ed il fratello di costei. Una tragedia per le loro famiglie e per il ciclismo.    

Maurizio Ricci (Morris)
 
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