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Rossella Ratto
#9
L'intervista: «Corro con il cuore, come Contador»
Parla Rossella Ratto, talento del ciclismo femminile italiano

Ascoltandola parlare e scrutandola nei gesti che compie prima di una gara verrebbe da chiedersi perché il ciclismo femminile non abbia ancora raggiunto il livello professionistico. Nascosta dietro ad un sorrisino che pare stentato e timido («ma in ciò che mi piace so scatenarmi») c'è Rossella Ratto, nata il 20 ottobre 1993, gran professionista, un vero e proprio corridore già pronto per i palcoscenici più prestigiosi. Ed infatti Rossella ha corso un Mondiale da protagonista, contribuendo a far ottenere il bronzo ad Elisa Longo Borghini e portando a casa un fantastico 6° posto. Nata a Moncalieri, di cui conserva un minimo di cadenza piemontese, vive a Colzate (Bergamo) e, mattoncino dopo mattoncino, si sta costruendo un futuro che è già presente. Talentuosissima, ha vinto quasi tutto quello che c'era da vincere tra le Juniores («eppure il Mondiale lo assaggio ogni anno...») per approdare tra le Élite a soli 18 anni e stupire chi ancora non la conoscesse. È fresca di firma con la forte squadra norvegese Hitec Products-Mistral Home, dove ritroverà la stessa Longo Borghini per cui ha lavorato al Mondiale di Valkenburg. Corre e si allena per migliorare, non perdendo però di vista l'obiettivo primario del suo ciclismo: divertirsi e far divertire.

Rossella, è d'obbligo spendere più di due parole sul tuo Mondiale.
«Quella di Valkenburg per me è stata una gran bella esperienza, una gara in cui ho provato grandi emozioni. Avevo il compito di entrare in ogni fuga che fosse partita e di fare da riferimento in testa alla corsa per Elisa (Longo Borghini, n.d.r.) quando sarebbe scattata. Ovvio che quando ti ritrovi lì davanti e rispondi ad ogni attacco che ti viene portato anche da grandissime atlete trovi sempre maggiori energie».

C'è da dire che ti eri allenata molto bene.
«Già ai primi di agosto il ct Dino Salvoldi mi aveva comunicato la sua intenzione di ringiovanire la squadra azzurra. Ovviamente mi sono preparata andando in ritiro in altura a Livigno per una dozzina di giorni e tenendo sempre il ritmo di gara. A inizio settembre ho rifinito la preparazione al Giro di Toscana, dando il massimo in ogni tappa e correndo sempre all'attacco».

Nella preparazione sei molto meticolosa.
«Non lascio mai niente al caso. Eseguo ogni lavoro cercando di avvicinarmi alla perfezione. Questo vale tanto per me, il mio corpo, quanto per la mia bicicletta. Prima di mettermi a lavorare devo essere sicura di farlo nel modo corretto. Per esempio, regolo la sella due o tre volte a stagione, a seconda del periodo. Cambio spesso, forse un po' troppo, ma seguo le mie sensazioni. Alla Freccia Vallone, sul Muro di Huy, mi si è spostata una tacchetta. Tornata a casa mi sono allenata per 45 km ed assodato lo spostamento ne ho parlato con mio padre. È lui che mi aiuta nelle questioni meccaniche. Era stupito che me ne fossi accorta perché la tacchetta si era spostata di un millimetro, non di più. Sono così, se ho anche il minimo dubbio che qualcosa non vada o che si sia spostato controllo. Sempre meglio farlo prima che escano dolori o infiammazioni».

Hai disputato un'ottima stagione, la tua prima tra le Élite.
«È stata molto positiva e sinceramente nemmeno io me la sarei aspettata così. Avevo già corso bene in Salvador ma lì oltre a Noemi Cantele, Clemilda Fernandes e noi ragazze della Nazionale italiana non c'erano fortissime atlete. Comunque un sesto posto in Salvador mi pareva già un gran risultato. A Cittiglio mi sono dovuta ritirare, non stavo bene, forse un virus che mi ha colpita sull'aereo di ritorno dal Salvador. Alla Freccia Vallone invece è andata decisamente meglio».

Racconta.
«Dino mi suggerì di attaccare prima del Muro e provare ad andare in fuga. Però non c'erano occasioni e così ho preso il Muro di Huy a ruota della Vos e sono restata davanti. Quando sull'ultimo strappo è partita la Vos io mi trovavo lì con lei. Ero quasi più emozionata per essere rimasta alla sua ruota che concentrata sulla gara. Per un attimo devo aver pensato: 'Che bello, sono a ruota della Vos quando scatta...'. Poi ho ritrovato la giusta concentrazione ed ho risalito il Muro di Huy abbastanza bene. Un buon 15° posto alla fine».

Importante anche il Giro Donne, la tua prima vera corsa a tappe.
«Era la mia prima gara a tappe davvero impegnativa, con frazioni dal chilometraggio elevato, senza contare che s'incontravano tutte le migliori al Mondo. Riuscire a concluderlo arrivando a Bergamo e portando via un 5° posto di tappa è stata una gran bella soddisfazione».

Quale obiettivo ti eri prefissata per il Giro?
«La maglia bianca, con Elisa (Longo Borghini, n.d.r.) e la Amialiusik favorite, era difficile da ottenere. Ho approcciato il Giro come una possibilità per fare qualcosa di buono. Se non fossi rimasta in classifica avrei provato a vincere una tappa, questo era il piano iniziale. Purtroppo però nella generale ho sempre avuto un distacco che non mi ha permesso di andare in fuga. Invece nei momenti in cui il gap sarebbe stato ideale per provare l'azione da lontano non avevo le gambe... È andata così».

Qual è stata la tappa più difficile per te?
«Senza dubbio quella di Castagnole delle Lanze. Avevo risposto a mille attacchi nei primi 40 chilometri, poi quando è andata via la fuga buona mi sono trovata davanti una ragazza che ha sbagliato la curva e mi ha fatto il buco. Ero già provata ed ai 50 km/h non sono riuscita a chiudere perché ero troppo stanca. Alla fine non ho combinato niente».

Mondiale a parte, quale pensi che sia la tua miglior prestazione dell'anno?
«Se escludiamo Valkenburg le gare che mi sono piaciute di più sono l'ultima tappa del Giro d'Italia, con il quinto posto a Bergamo, e l'ultima del Tour en Limousin, forse la mia corsa più bella nel 2012».

Com'è andata quella tappa?
«In pratica ho attaccato dal primo all'ultimo chilometro. Un allungo subito insieme alla Valsecchi. Ci hanno riprese, poi hanno attaccato in diecimila, io cercavo di entrare nella fuga giusta. Ad un certo punto ero davanti con altre tre ragazze ma siamo state raggiunte. È partita al contrattacco una della Lotto ed io mi sono messa a ruota di una norvegese che a sua volta è scattata. Come se non bastasse ci hanno fatto sbagliare strada».

E lì la corsa sarà finita.
«Macché! Ci hanno fatte tornare sul percorso e mi sono ritrovata in gruppo. C'erano altri attacchi, nel finale è andata via la Vos ed io ho allungato con altre due. Siamo rimaste a 10", poi il gruppo ci ha riprese tutte. Ho dovuto rispondere nuovamente agli attacchi della Amialiusik ed infine la Vos se n'è andata con Storey e Ryan. Non sono riuscita ad andar loro dietro ma ho vinto la volata del gruppo. Ho corso più di metà gara con i crampi, sempre alla morte, eppure ho rimediato un 4° posto».

Non hai menzionato la Freccia Vallone, dove sei stata la prima delle italiane.
«Alla Freccia sono stata a ruota. Un'ottima gara ma se penso a quanto mi sono divertita ed al vento in faccia che ho preso senza dubbio la mia corsa migliore è stata l'ultima tappa del Limousin. Poi la Freccia per me è stata un po' più dura perché con la scuola di mezzo mi ero potuta allenare poco».

Diplomata al Liceo Linguistico, ma scuola e ciclismo parlano la stessa lingua in Italia?
«No, non vanno molto d'accordo, ma dipende dai vari professori. Nel mio caso c'erano quelli a cui non importava che corressi e mi giudicavano soltanto per la mia resa. Altri invece cercavano di mettermi il bastone tra le ruote, dandomi insufficienze per via delle assenze... Io però mi sono sempre fatta trovare preparata, sapevo benissimo quali erano i prof che non sopportavano che facessi ciclismo e fossi assente. Così studiavo tantissimo per le loro materie, mi portavo avanti, e sono sempre riuscita a sopravvivere».

In altri Paesi, come la Gran Bretagna, i talenti si cercano proprio nelle scuole e magari alla fine vincono una medaglia olimpica.
«Purtroppo in Italia da questo punto di vista siamo messi male. Ripeto, mai generalizzare. Per esempio la prof. di francese mi ha fatto i complimenti dopo il Mondiale ed è sempre stata una mia grande sostenitrice. Invece con altri ho litigato più che con il mondo intero».

Nel 2013 correrai con la norvegese Hitec Products.
«Di questa squadra mi ha colpito la professionalità e l'organizzazione, a questi livelli in Italia troviamo al massimo un paio di squadre. Poi Elisa (Longo Borghini, n.d.r.) mi ha parlato benissimo dell'Hitec. Sia agli Europei che ai Mondiali mi ha raccontato di come sia riuscita a crescere molto in questo 2012. Ha corso gare che le hanno permesso di migliorare sia dal punto di vista tecnico che tattico. Penso che sia un'ottima scelta per me».

Sei sempre stata una prima punta nelle tue squadre, sai bene che nel 2013 ti toccherà un bel po' di gregariato.
«Certo, ma non è un problema. In Nazionale ho più volte dimostrato di sapermi mettere a disposizione delle altre ragazze. Anche agli Europei, ai Mondiali o nella stessa gara in Salvador di inizio stagione, quello che c'era da fare per le altre l'ho sempre fatto. Da una parte ho cercato io stessa di compiere questo passo, verso l'Hitec. È anche una questione di testa: non si può sempre correre cercando il risultato, è stressante sia atleticamente che mentalmente. Senza contare che aiutando si impara molto di più».

A proposito di crescere, in cosa ti ritieni migliorata dopo un anno tra le Élite?
«Per migliorare c'è sempre tempo. Quest'anno credo di essere cresciuta dal punto di vista della resistenza, più che altro, senza sottovalutare la tenuta e gli attacchi. Ad inizio stagione se scattava qualsiasi ragazza io sventolavo, come si dice in gergo. A fine stagione, invece, se scattavano quasi tutte le atlete più forti riuscivo a rientrare. Ovvio, quasi tutte tranne la Vos... Direi che sono migliorata un po' in tutto perché quando corri con gente molto più forte di te ogni chilometro di gara è un chilometro in più d'allenamento. Non credo di essere migliorata soltanto sotto un aspetto, ecco».

Nonostante sia ancora giovanissima che tipo di corridore ti definiresti?
«Mi piace andare in fuga, s'è capito. Vado bene in salita, quest'anno mi sono accorta di far più fatica sugli strappi che sulle salite lunghe. Su quest'ultime infatti salgo del mio passo e magari recupero le atlete che erano restate con le più forti. Invece sugli strappi soffro l'intensità e la forza con cui si affrontano, ma sto lavorando anche su questo aspetto».

Già, i tuoi allenamenti.
«Penso di avere un piano di allenamento abbastanza equilibrato. Non è che impazzisco se devo fare 130 km quel dato giorno, non sono assolutamente quel tipo di persona. Magari preferisco fare meno ma ad un livello intenso e poi basta. Se non ho voglia faccio i lavori che devo e torno a casa. Non sono chiusa mentalmente. Capita che esca e debba fare certi lavori ma se mi accorgo che sono stanca, allora non ha senso continuare. In quel caso è meglio cambiare il piano di lavori con mia mamma, che da questo punto di vista mi aiuta tantissimo».

Da sempre direttore sportivo nelle tue squadre, qual è il suo ruolo?
«Sono sempre stata bene con lei, anche al di là del ciclismo. Andiamo molto d'accordo, quindi non mi è mai pesato avere lei come ds. Anzi, negli anni abbiamo condiviso delle belle esperienze e dei bei momenti. Anche l'anno prossimo mi aiuterà negli allenamenti, gliel'ho chiesto io. Ci troviamo molto bene insieme, però non avrà nulla a che vedere con l'Hitec».

Rimanendo in tema di rapporti umani, come ti trovi con la tua futura compagna Elisa Longo Borghini?
«Con Elisa vado molto d'accordo. Abbiamo parlato molto tra Europei e Mondiali e siamo sulla stessa lunghezza d'onda. Paolo Sangalli dice che siamo fatte allo stesso modo. Correndo insieme l'anno prossimo ci sarà da divertirsi».

Tu sembri una ragazza molto tranquilla.
«Esatto, sono tranquilla ma non vuol dire che sia morta. Nelle cose che mi piacciono mi scateno».

Che cosa ti fa scatenare?
«Per esempio se penso alla musica, non mi piace per nulla quella da discoteca. Allo stesso modo non mi piace uscire di sera per bere e ubriacarmi, non ne vedo il motivo. Però se vado al cinema oppure a giocare a bowling o a fare qualsiasi altra cosa del genere, lì sì che mi scateno. Per dire...».

Prego.
«Ero in Olanda e mentre aspettavo che si corressero i Mondiali non sapevo cosa fare, mi annoiavo. Mi è arrivata un'email dall'ufficio del turismo irlandese, pubblicizzava un festival di musica jazz. Insomma, non appena tornata a casa ho prenotato il volo ed a fine ottobre andrò al festival di musica jazz in Irlanda. In effetti il mio problema sono i siti di viaggi, per quelli rischio davvero di finire in bancarotta...».

Ti piace girare il Mondo, insomma.
«Molto, ma non ho una meta di vacanza ideale. Dove mi trovo, giro, visito e cerco di entrare il più possibile nella cultura del luogo. Non sono una che si stende per quindici giorni su una spiaggia a prendere il sole, per rendere l'idea. Esploratrice ed avventuriera, ecco come mi definirei».

Tornando al ciclismo, è nota la tua ammirazione per Alberto Contador.
«Di lui mi piace il coraggio ed il fatto che vada sempre all'attacco senza paura di saltare, non gliene frega niente. Corre ogni gara con il cuore, per divertirsi. Poi ottiene anche il risultato, d'accordo, ma sostanzialmente si diverte e fa divertire. Un po' come me, prendendo davvero con le pinze questo paragone».

A Valkenburg eravate in hotel insieme.
«E ne ho approfittato per farmi fare l'autografo sul dorsale della cronometro. L'ho fermato, essendo una sua fan sfegatata, e il giorno dopo lui mi ha addirittura chiesto com'era andata la mia crono. Che dire, se non che ero al settimo cielo...».

Chi ammiri invece nel gruppo delle ragazze?
«Questa è una domanda difficile. Non perché non ne ammiri nessuna ma non le conosco tanto. So benissimo chi sono e le loro caratteristiche ma al primo anno è difficile dare un buon giudizio».

Vieni da una famiglia di ciclisti, sei cresciuta a pane e bici.
«Però per scelta, nessuno mi ha mai costretta. Anzi, in passato mi hanno anche chiesto se volessi smettere per qualche anno, in quanto ero troppo piccola. Ed io come risposta mi sono messa a piangere perché non volevo smettere di correre. Da piccola mi piaceva guardare il Tour de France in tv e mi arrabbiavo se qualcuno cambiava canale. Mi facevo chiamare "Tetè", come la sovrimpressione "tête de la course". Mio fratello Enrico (Peruffo, n.d.r.) la leggeva male ed io mi facevo chiamare "Tetè" perché mi piacevano i corridori che andavano all'attacco».

Perché consiglieresti di avviare un ragazzino al ciclismo?
«Perchè ti può insegnare un sacco di cose (come tantissimi altri sport) che la vita normale non ti insegna. Ti aiuta a crescere, ad affrontare da subito i problemi. Senza il ciclismo, per esempio, ti troveresti davanti al tuo capo, al lavoro, a 25 anni, a dover risolvere un problema. Invece da piccoli in corsa si è già obbligati a fare delle scelte. Inoltre il ciclismo permette di stringere amicizie, di stare all'aria aperta, mentre oggi tanti ragazzini stanno più che altro davanti al computer ed ai videogiochi».

Da parte tua, dunque, nessun rimpianto per un'adolescenza immersa nel ciclismo.
«No, per nulla. Da giovane non si pedala per lavoro ma per gioco, anche se vedo che ultimamente i giovanissimi se arrivano secondi o terzi sono mogi e vorrebbero aggiudicarsi la vittoria. Questo è tristissimo! Per come l'ho vissuto io il ciclismo è stato un gioco continuo, diciamo una scuola extra e per di più senza compiti a casa».

E "da grande" quale corsa vorresti vincere?
«Più che su cosa vorrei vincere punterei sul divertimento. Ossia, anche se i risultati alla fine non arriveranno continuerò a correre come ho sempre sognato e provato, all'attacco. Ovviamente se le condizioni fisiche me lo permetteranno. Naturale poi che abbia degli obiettivi, ma sono i soliti, quelli di tutti: un'Olimpiade, una bella corsa a tappe, un Mondiale... Ogni anno vado vicina a quest'ultimo, lo assaggio, ma non mi è ancora riuscito di vincerlo».

Infine, c'è da dire che oltre che nelle gare in linea sei molto brava anche nelle cronometro.
«Mi alleno apposta da quattro anni per crescere nelle crono. Per ora sto sempre migliorando e spero di continuare così anche in futuro. A me è sempre piaciuta la crono, da Allieva le correvo spesso. D'altronde mi trovavo sempre in fuga e pensavo che non ci sarebbe stato motivo per non andare bene nelle crono. Invece non riuscivo a rendere al meglio ed ho capito soltanto dopo che dovevo lavorarci su perché è una disciplina molto specifica e che va portata avanti negli anni».

Cos'è che ti piace di più in una cronometro?
«Il fatto che si debba correre soltanto contro se stessi».

Francesco Sulas per cicloweb.it
 
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Rossella Ratto - da SarriTheBest - 24-05-2011, 05:13 AM
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RE: Rossella Ratto - da BidoneJack - 03-04-2014, 02:23 AM
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RE: Rossella Ratto - da SarriTheBest - 23-12-2014, 02:23 PM
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RE: Rossella Ratto - da SarriTheBest - 24-11-2015, 07:34 PM

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