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Movie & Cycling - Film sul Ciclismo
#23
The Program, un pugno nello stomaco
Poca gente in sala, tanta crudezza sullo schermo

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Non mi era mai capitato di andare al cinema sapendo già come sarebbe finito il film che stavo per vedere. Ieri sera ho visto The Program di Stephen Frears, biopic su Lance Armstrong, sette volte campione al Tour De France, poi accusato di doping, privato dei propri trofei, radiato da ogni competizione e trasformatosi nell'emblema di uno dei truffatori più sofisticati e megalomani della storia dello sport.

In sala ci saranno state una trentina di persone non di più, quasi tutti uomini. Il film, dopo aver letto il libro da cui è tratto "Seven Deadly Sins: My Pursuit of Lance Armstrong" e le biografie dei compagni che hanno gareggiato al fianco di Armstrong, non rivela nulla di nuovo (riprende in modo evidente quanto già apparso nel documentario di Alex Gibney The Armstrong Lie, ndr) ma a mio avviso ha ripercorso le vicende storiche in modo efficace e coinvolgente. Guardando certe scene avrei voluto essere la bambina ingenua che adorava Armstrong dopo aver letto la sua biografia e non la cinica ragazza di oggi, che seppur con una sempre enorme passione per il ciclismo sa che l'uomo perfetto non esiste.

La parabola di Lance Armstrong non ha segreti in partenza. Il regista non ci prova neanche a mettere un punto di domanda: che Armstrong abbia mentito clamorosamente riguardo all'uso fatto di EPO e altre sostanze dopanti, durante la sua folgorante carriera, non è un mistero. Frears ci porta però con lui a bussare alla porta del camper di Michele Ferrari per entrare nel suo "programma" di allenamento alterato e da quel punto in poi non racconta la corsa su due ruote bensì l'incredibile aderenza di Armstrong alla sua bugia. La storia c'è e tiene incollati allo schermo nonostante la fine sia nota.

Sono cresciuta ammirando le imprese del texano, affascinata dalla sua storia quando ero una piccola ciclista alle prime armi lo consideravo il mio eroe per aver sconfitto il cancro ed essere tornato in sella più forte di prima, quanto accaduto nella realtà mi ha chiaramente fatto rivedere la mia stima nei confronti di un campione rivelatosi fasullo. Le immagini che ritraggono le sedute di trasfusione del sangue di Lance e compagni come una sorta di follia eroinomane di gruppo, in cui l'orrore e l'irrazionalità superano quasi il premio in gioco, mi hanno dato un pugno nello stomaco, soprattutto perché - dossier USADA alla mano - seppur nella finzione di un film assomigliano molto alla verità dei fatti.

Il regista riesce nell'intento di raccontare la storia di un uomo dal carattere forte che ha voluto sfidare la natura, il suo fisico inadatto e provare a se stesso prima ancora che al mondo che poteva farcela a "volare senza ali" come dice nel film. Finché un giornalista cocciuto quanto lui gli ha messo il bastone tra le ruote.

Della pellicola ho apprezzato soprattutto la contrapposizione tra il protagonista indiscusso della vicenda interpretato da Ben Foster e il "rivale" David Walsh (Chris O'Dowd nel film), che dopo averlo ammirato da giovane ha distrutto il castello costruito dal capitano della US Postal con una tenacia senza uguali. Il giornalista del The Sunday Times ha speso oltre un decennio per far luce sul programma di doping sistematico del texano e il film gli rende giustamente merito.

Il problema maggiore del film è che il pur bravissimo Foster non è più Armstrong del vero Armstrong: la performance attoriale che il plurititolato ha portato in scena in mondovisione per anni e anni è (purtroppo) insuperabile. È il classico caso in cui la realtà supera la finzione.

Detto ciò questo film mi ha aiutato a trovare un nuovo campione a cui fare riferimento. Crollato un mito, ho trovato un nuovo modello da ammirare. David Walsh e il suo giornalismo investigativo di grandissimo livello è un esempio da seguire per una giovane con penna e taccuino in mano come la sottoscritta.

Giulia De Maio per tuttobiciweb.it
 
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