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Diego Ulissi
#23
Ulissi. «Da domani riprendo a vivere. Non vedo l'ora di correre»
«Ho passato momenti durissimi, ma ora voglio guardare avanti»

Diego, ci siamo, domani è il 28 marzo, termina finalmente la squalifica.
«Se Dio vuole sì, non mi sembra neanche vero. Credimi, esco da questo periodo provatissimo. Ho passato momenti davvero difficili, ma ora voglio solo pensare a recuperare il tempo perso. Non ce la facevo più ad allenarmi».

In che senso, scusa?
«Nel senso che mi mancavano le corse. Non vedo l’ora di rimettermi il numero sulla schiena e riassaporare il gusto della competizione».

Nove mesi di squalifica inflitti il 19 gennaio scorso dalla Camera disciplinare elvetica (il corridore della Lampre-Merida risiede in Svizzera e ha tessera elvetica, ndr) per la sua positività al salbutamolo (un broncodilatatore), riscontrata il 21 maggio scorso al termine dell’11a tappa del Giro.

«Cosa posso dire, se non quello che ho già detto: i giudici svizzeri hanno riconosciuto una mia "negligenza senza però avere volontà di migliorare le proprie prestazioni agonistiche". Insomma, c’è buona fede, ma mi è costata cara. Ti prego però, cambiamo discorso perché mi riaffiora l’ansia».

Quando torni a correre?
«Al Giro dei Paesi Baschi, il 6 aprile prossimo. Poi in programma ho l’Amstel, la Freccia e la Liegi. Come vedi faccio una partenza soft».

Beh, un bel programmino.
«Dopo tanta vacanza - leggi inattività - non vedo l’ora di tornare a battagliare in mezzo al gruppo. Ai Paesi Baschi so che dovrò fare fatica, ci sarà da stringere i denti perché mi mancherà il ritmo di gara, ma poi spero di ritrovare il colpo di pedale giusto».

Sei appena tornato dalla Toscana.
«Sì, ogni dieci giorni di lavoro sulle strade di Lugano, ho fatto due tre giorni in Toscana con Michele Bartoli, che mi ha fatto fare dietro moto. Se non corri, il ritmo, l’agilità lo trovi solo facendo dietro moto».

Obiettivo?
«Fare bene al Giro d’Italia. Mi piacerebbe vincere almeno una tappa. Lì sono incominciati i miei problemi, da lì vorrei riprendere la mia rincorsa».

Alla classifica non ci pensi?
«Farò ciò che mi dirà di fare la squadra, ma io penso di essere più adatto alle corse di un giorno e alle tappe dei Grandi Giri».

Hai già visto qualche tappa della corsa rosa?
«Certo, avevo tanto tempo a disposizione… A parte gli scherzi, ho visto la 3a e 4a tappa, quella di Sestri e La Spezia, ma ho provato anche quella dell’Abetone e andrò a provare anche la crono di Valdobbiadene. Era un modo come un altro per guardare avanti e far evaporare la mia depressione».

Al Giro d’Italia ha ottenuto già tre vittorie di tappa: Tirano nel 2011 e Viggiano e Montecopiolo l’anno scorso.
«Vincerne ancora una non sarebbe niente male».

Come sono stati questi nove mesi?
«Durissimi. Meno male che ho Arianna, mia moglie, alla quale devo tutto. Lia, la nostra bimba che ci ha riempito la vita. I miei genitori, Donatella e Mauro, oltre ai miei suoceri Monica e Fabio e mio fratello Matteo che sono stati davvero una grande squadra. Insomma, la famiglia è stata la mia ancora di salvezza. Ora spero di ripagarli facendoli divertire un po’. In questi nove mesi, vi assicuro, sono stato davvero un po’ pesantuccio».

Cosa facevi quando non ti allenavi?
«Sono un tipo tranquillo, che ama stare a casa con la propria moglie e la propria bimba. Ho letto un paio di libri. Mi è piaciuto un sacco quello scritto da Giuseppe Rossi, l’attaccante della Fiorentina, che ne ha dovute passare di ogni anche lui».

Tu che sei juventino, leggi un libro scritto da un calciatore viola?
«La fede per la Juve è inattaccabile, ma la storia umana e sportiva di Rossi è davvero molto educativa. A me ha aiutato tanto per ritrovare dentro di me le motivazioni giuste per non lasciarsi andare».

Un altro libro che hai letto?
«“Scrivilo in cielo”, di Fabio Caressa. La storia di Nadia, presidente dell'Alessandria Calcio, che ha bisogno di un miracolo per tenere la sua squadra, senza sponsor e con una rosa di giocatori scalcagnati, in Serie A».

Giochi sempre con la playstation?
«Sì, quando la tivù non è occupata da Lia, gioco un oretta con Fifa 2015».

Contento di Massimiliano Allegri, il tecnico livornese della tua Juventus?
«Molto. Guarda, devo essere sincero, come molti altri juventini all’inizio ero molto scettico, oggi devo dire che ci ha zittiti tutti, dal primo all’ultimo».

Matteo, tuo fratello, che fa?
«Sta ultimando gli studi, scuola alberghiera. Con una mamma che lavora in una grande azienda vinicola (Ornellaia) e un fratello che sa cucinare, non morirò certo di fame…».

E con un papà che lavora al Ministero della Difesa di Livorno?...
«Sono al sicuro».

Cosa ti ha insegnato questa esperienza dolorosa?
«Che bisogna aver pazienza e per uno come me non è una cosa semplicissima».

La corsa dei tuoi sogni.
«La Liegi-Bastogne-Liegi. Non hai nemmeno idea di quante volte ne parlo con Michele (Bartoli, ndr) che in carriera seppe vincerne due».

Michele ha fatto incetta di classiche.
«Io spero di imitarlo almeno in parte».

Il maestro ce l’hai in casa.
«L’ho disputata già quattro volte, il miglior piazzamento 20° due anni fa. Quest’anno vorrei migliorarmi. Mi basterebbe un posto nella top ten. Ma non mi pongo limiti».

Hai anche un tecnico attento e competente come Orlando Maini.
«Dici bene, io con Orlando mi trovo a meraviglia. In verità mi trovo benissimo alla Lampre Merida, dove ci sono tante persone davvero importanti: da Saronni a Bret Copeland. Però con il Maio ci lavoro dal 2011. È una persona eccezionale, perché ci mette il cuore. Per lui i corridori sono pianeti da esplorare, conoscere e comprendere. È un tecnico che non lavora con le tabelle, ma che sa parlarti con il cuore. Io lo metto tra quelle persone che sono un valore aggiunto per la vita di un corridore. So che lui crede tantissimo in me e vorrei tanto poterlo ripagare quanto prima. Ma come ti ho detto prima, da questa vicenda ho imparato che bisogna avere pazienza. Non tanto, ma un po’ si. Poi una volta trovato il colpo di pedale giusto pancia a terra, senza guardare più in faccia nessuno. Se non dopo il traguardo».

Sai cosa si dicono nel mondo dello spettacolo prima di entrare in scena?
«No, cosa si dicono?

Merda! Dicono che porti bene.
«E allora lo dico anch’io: merda!».

Pier Augusto Stagi per tuttobiciweb.it
 
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