LORENZO LOTTO (Venezia, 1480 - Loreto, 1556/57)
Talvolta il destino si diverte cinicamente a far raggiungere un’età avanzata ad un uomo che non ha altro desiderio che di porre termine alla vita terrena, di esiliarsi da un mondo che ha saputo infliggergli soprattutto amarezze e delusioni. È il caso dell’emarginato per eccellenza del rinascimento, un pittore che ha avuto la sola fortuna postuma di essere riabilitato dalla storiografia artistica, dal XIX secolo in avanti.
Lorenzo Lotto è il prototipo dell’artista malinconico, girovago, con la vita costellata di delusioni professionali che lo costrinsero, in età ormai avanzata, a ritirarsi in un convento.
1.Gli inizi tra Venezia e Treviso
Nato da un’oscura famiglia veneziana nel 1480, Lotto compare nei documenti per la prima volta nel 1503, a Treviso, come pittore personale del giovane vescovo Bernardo de Rossi (Parma, 1468 – 1527), grande umanista. La formazione artistica di Lorenzo, sicuramente avvenuta in laguna, è parecchio gravida di stimoli: egli si interessa alla pittura tonale di Giovanni Bellini (Venezia, 1430 – 1516), suo ipotetico maestro, ma anche alla severa monumentalità arcaica e paratattica di Alvise Vivarini (Venezia, attivo nella seconda metà del XV secolo). Rimane poi sconvolto dall’espressionismo e dall’ermetismo d’oltralpe di Albrecht Durer (Norimberga, 1471 – 1528), che era stato a Venezia tra 1494 e 1495, e poi ancora tra 1506 e 1507, diffondendo in tutta Italia le stampe tratte dalle sue incisioni.
Le suggestioni si riversano tutte nei quadri trevisani, tra i quali cito almeno il ritratto del suo mecenate (1505): la figura si staglia severa, rigida su una tenda di fondo verde. L’uomo appare con tutti porri del volto in bella mostra: non esiste idealizzazione. Il suo sguardo è duro, ma al contempo segnato dalle preoccupazioni: era infatti scampato da poco a un attentato, insieme al suo cancelliere personale Broccardo Malchiostro, anche lui probabilmente effigiato dal Lotto in un ritratto coevo (il primo ritratto lottesco con un rebus: a rivelare il nome del soggetto il tessuto a lui retrostante, broccato bianco, ergo Broccardo.
Ritratto di Bernardo de' Rossi
Ritratto di giovane con lucerna (probabilmente Broccardo Malchiostro)
2. La delusione Romana
La fama in rapida crescita e l’appoggio vescovile portano Lotto nel territorio papale: a Recanati, dove dà un saggio di verismo epidermico, di ascendenza nordica, nel suo maestoso polittico dipinto, entro 1508, per la chiesa di San Domenico.
Dettagli di precisione "ottica" nel San Giorgio del Polittico di Recanati
1508: a 28 anni, sulla cresta dell’onda, Lorenzo è chiamato a Roma ad affrescare le stanze private di papa Giulio II, insieme a Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma (Vercelli, 1477 – Siena, 1549) e al Bramantino (protagonista della puntata 1). Ma ecco la prima doccia fredda: le geniali e magniloquenti prove di Raffaello, subentrato in un secondo momento ai lavori, portano il papa a licenziare tutti gli altri artisti coinvolti nel progetto.
Lorenzo, senza un impegno stabile, resta a Roma fino al 1510, per poi andarsene insoddisfatto, deluso dall’incombente passione classicista, alla quale tuttavia si deve adattare per ragioni commerciali.
A testimonianza di ciò si veda la differenza tra il San Gerolamo dipinto prima del soggiorno romano, nel quale il soggetto è dominato dalla natura delle foreste “germaniche” a lui soprastanti, e quello realizzato durante: un antropocentrico dio fluviale, una statua classica di un anziano muscoloso disteso.
La natura domina l'uomo prima del soggiorno romano
... dopo la conoscenza di Raffaello, il corpo da divinità classica diventa protagonista.
Di ritorno nelle Marche, Lotto vuole conformarsi allo stile raffaellesco, ma in provincia non si apprezzano molto le novità: si preferisce la sicurezza di uno stile più arcaico ed anticlassico.
Lotto deve deve districare il nodo del dilemma, deve conciliare ciò che per natura non si può conciliare: il risultato è la Trasfigurazione di Recanati (1512), una composizione con figure raffaellesche inserite in un contesto da icona bizantina. Non esiste il paesaggio, ma solo una semplicità narrativa icastica, da “santino da messa” diremmo oggi.
La Trasfigurazione del 1512
3. La gloria bergamasca
L’ambiente marchigiano si era ormai fatto sterile ed opprimente, da qui la volontà di partecipare ad un concorso per l’esecuzione della pala dell’altare maggiore della chiesa dei Santi Stefano e Domenico di Bergamo.
Lotto vince, siamo nel 1513, ed è l’inizio di un soggiorno di 12 anni nella città orobica. Di nuovo una realtà provinciale, ma che darà al veneziano la libertà di esprimere senza significativi limiti il suo estro.
La pala iniziata nel ‘13 viene terminata nel 1516 ed è un clamoroso esempio di rinascimento di ascendenza Bramantesca: lo sfondamento della parete della chiesa attraverso la pittura di finte navate che la fanno proseguire in lungo tragitto che si perde nel buio, è una delle invenzioni creative più emozionanti mai fatte.
Purtroppo la distruzione della chiesa che la conteneva, fa perdere l’effetto illusionistico pensato originariamente.
Il successo ottenuto nel 1516 con la “Pala Martinengo” ha un immediato riverbero: chierici e privati cittadini vogliono opere da un Lorenzo ormai travolto da un’ondata di commissioni.
Del 1518 il ritratto, con rebus, di Lucina Brembati: il nome dell’effigiata scritto nella Luna con incise le lettere “CI”. LU-CI-NA.
Nel 1521 la Sacra Conversazione della chiesa di San Bernardino in Pignolo: la volontà di “congelare” un momento, un istante di discussioni e di scambi reciproci di sguardi tra i santi “umani troppo umani”; gli angeli non hanno nemmeno avuto il tempo di disporre per bene la tenda verde: è tutta storta sotto il trono di Maria.
Soluzioni stilisticamente più avanzate si combinano con momenti di ritorno all’arcaismo: nel 1524 a Trescore Balneario, realtà campagnola, provincia della provincia, Lotto non si fa remore nel raffigurare lo sviluppo narrativo delle violente Storie di Santa Barbara entro il contesto schematico e anticlassico del Cristo-Vite, ovvero del Gesù presentato metaforicamente come “vigna del Signore”, dalle cui dita si dipartono i tralci.
La "pala Martinengo" per la chiesa dei SS. Stefano e Domenico (Bergamo)
Ritratto di Lucina Brembati
Pala di S. Bernardino in Pignolo
Il "Cristo-Vite" di Trescore Balneario
4. Il dramma delle tarsie
Nel 1523 la svolta: l’amministrazione laica della cattedrale è pronta a finanziare un nuovo coro per i religiosi, uno per i laici e una nuova pala d’altare, con statue in bronzo.
Il concorso per realizzare i disegni dei prototipi delle tarsie lignee dei cori, lo vince nel 1523 un pittore semisconosciuto di insegne e di bandiere: Nicolino Cabrini, che muore dopo poco. L’amministrazione entra dunque in contatto con il secondo classificato: Lorenzo Lotto, attivo nel frattempo a Trescore Balneario.
Per l’esecuzione delle tarsie, Lotto decidere di scommettere su un giovane carpentiere 27enne: Giovanni Francesco Capoferri, abbandonando l’idea originaria di coinvolgere il più anziano frate domenicano intarsiatore Damiano Zambelli, già collaboratore di Lotto ai tempi della Pala Martinengo.
Il risentimento del frate inizia presto a riversarsi sul pittore veneziano: accusato di essere un arrivista e religiosamente compromesso con le spinte “riformiste” tedesche.
Il clima si fa teso: dissidi con Simone de’ Germanis, lo scultore incaricato di realizzare la pala d’altare, portano ad un tentativo di avvelenamento ai danni del veneziano.
Inoltre la richiesta di un aumento del compenso, da parte di Lotto, si conclude con un rifiuto.
A fine 1525 ormai le idee sono chiare: abbandonare per sempre Bergamo, tornare a Venezia e continuare da là a fornire i cartoni per le tarsie al Capoferri.
Autoritratti di Lotto e Capoferri (a sinistra) nella tarsia simbolica con "Giuseppe venduto ai Fratelli"
5. Un artista pellegrino
Di ritorno nella Serenissima, Lotto trova ospitalità presso i Domenicani di San Giovanni e Paolo, dorme nel loro convento, ritrae un ignoto confratello, ma viene dopo poco allontanato per amicizie con alcuni uomini accusati di appoggiare il fronte riformista luterano.
Lotto vive ora quasi alla giornata e si rende conto che a Venezia non può nulla per contrastare il monopolio preso da Tiziano: continua infatti a lavorare per Bergamo (tarsie comprese) e per le Marche.
Invia quasi tutte le opere che dipinge, non riesce a farne quasi nessuna per la città in cui vive. Soltanto una pala in tutto per una chiesa lagunare: il San Nicola in Gloria (1527).
Amareggiato dalla sua condizione, Lotto, ormai 54 enne, prende la strada delle Marche, dove peregrina per più città per ben 5 anni.
A Recanati dà saggi della sua bravura nel rendere gli ambienti caldi e domestici, nella celeberrima Annunciazione, a Cingoli incastona i misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi nella staccionata di un roseto.
L'annunciazione di Recanati
La Pala di Cingoli
Dopo aver raccolto modesti successi nelle marche, Lotto torna in una Venezia che era ormai permeabile alla violenta tensione manierista michelangiolesca, distante anni luce dalla sua poetica di umana tenerezza.
Tra 1540 e 1542 Lotto si riconcilia coi domenicani: stabilisce, per volere testamentario, di farsi seppellire nella Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, vestito col saio. Per pagarsi la sepoltura dona un dipinto: L’elemosina di Sant’Antonino.
La difficoltà di trovare in Laguna dei committenti conduce Lotto sulla via della miseria: è costretto a farsi mantenere prima da un nipote e poi da un caro amico Trevisano, Bartolomeo Carpan, che lo aiuta nel 1546 a superare una brutta ed ignota malattia, insieme alla figlia, che si legherà a Lotto con un paterno affetto.
Alla città di Treviso, in questi anni, lascia un’opera (ora a Brera) cupa, tragica, senza alcuna luce di speranza in una resurrezione: La Pietà con San Giovanni Evangelista.
Pietà con S. Giovanni, già a Treviso, ora a Brera
6. Finale di partita
Di ritorno a Venezia, tra 1547 e 1549 vive il tracollo definitivo: quasi 70enne e senza clienti, deve per forza adattarsi ad una vita misera.
La commissione di una pala d’altare per la chiesa di San Francesco ad Ancona è l’occasione per abbandonare per sempre la Serenissima: Lotto lascia tutte le sue opere invendute all’amico scultore Jacopo Sansovino, affinché si occupi della loro vendita, o meglio svendita.
Dopo un anno, Sansovino, senza speranza per non aver ancora venduto nulla, spedisce il materiale ad Ancona.
Lì Lotto tenta il tutto per tutto con un banchetto d’asta: si libera di qualsiasi cosa, persino dei cartoni delle tarsie del duomo di Bergamo, le opere a cui – dalle testimonianze – teneva maggiormente.
I soldi racimolati sono scarsissimi e per di più alcuni assistenti di bottega gli rubano strumenti del mestiere.
Loreto dista 30 chilometri da Ancona: è l’ultimo approdo. Il pittore inizia a frequentare la Santa Casa nel 1552, nel 1554 si fa frate oblato: dona se stesso alla chiesa in cambio di vitto e alloggio. Esegue anche alcuni lavori di pittura: si occupa di scrivere i numeri dei letti dei dormitori dei malati e dipinge alcune tele per l’abside della cattedrale.
La presentazione al Tempio è il suo testamento artistico: un’opera cupa, grezza, drammatica, sfigurata, con le figure che si perdono nel fondo scabro.
Una “pittura nera” di Goya ante litteram.
Goya, "Il pellegrinaggio a Sant'Isidro"... una "pittura nera" del 1820 circa
Non si sa nemmeno quando muoia Lorenzo Lotto: nell’estate 1556 risulta ancora vivo, ma nel luglio 1557 viene venduto il materasso su cui dormiva, indice che era già passato sul lato nascosto della Luna.
Dopo una vita di delusioni e sofferenze, si consegnava all’immortalità dei posteri.
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