11-05-2022, 03:09 PM
(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 03-06-2022, 03:19 AM da Luciano Pagliarini.)
Dato che ormai non si parla d'altro in giro, facciamo un topic in cui analizziamo in modo sincero il momento del ciclismo nostrano, senza perderci in luoghi comuni tutti da ridere del tipo "I corridori italiani maturano un po' più tardi" (Eh, poverini, la genetica non è dalla loro).
In Italia ci sono sempre meno giovani che fanno ciclismo, questo vuol dire che hai bacino molto meno ampio da cui attingere e che, dunque, giocoforza produci sempre meno corridori di qualità.
E' pieno di addetti ai lavori e giornalisti (ben poco preparati) che fanno i tuttapposter. Il CT della nazionale, per motivi che io assolutamente non comprendo, ha dichiarato che forse c'è un nuovo Nibali nelle categorie giovanili: https://it.blastingnews.com/sport/2022/0...62262.html
Sì, ma molto forse, dato che era decisamente più facile trovare un Nibali tra 2000 ragazzi che non tra 400.
Oggi ci sono si e no un quarto dei dilettanti italiani che c'erano vent'anni fa.
Da un lato bisogna far fronte a un calo delle nascite che, giocoforza, incide sullo sport in generale. D'altro canto, però, il calo enorme di praticanti è dovuto anche al fatto che il ciclismo è uno sport sempre più costoso e sempre più pericoloso.
Ma per quale motivo un genitore deve far fare ciclismo al proprio figlio se questo significa aprirsi un mutuo per uno sport ove, peraltro, si rischia molto di più che non nel calcio, nel basket o nell'atletica?
Il ciclismo, che storicamente era lo sport delle classi meno ricche, è diventato roba per alta borghesia.
E poi mancano le gare, le squadre, per fare il salto di categoria devi fare risultato e per fare risultato devi accelerare il processo di crescita e se acceleri il processo di crescita va a finire che ti bruci a vent'anni.
Mi fa ridere particolarmente il luogo comune della prima riga perché se uno guarda un Giro della Lunigiana vede un gruppo di professionisti, praticamente.
Più si sale di categoria e più si trovano magagne. La struttura della categoria elite-U23 è tafazziana. Si dice continuamente che bisogna andarci piano coi giovani ecc... ma se uno ha ventidue anni e non è ancora pronto, lo buttiamo nell'immondizia. Se ne ha più di 27 e non ha un contratto da pro o semipro, la sua carriera è finita. In Francia e Spagna gli U23 possono correre con ex pro di 35/40 anni, da cui, tra le altre cose, possono imparare molto. In Italia questo è impossibile e già a 23/24 anni vieni spinto verso la granfondo della porchetta.
Da dove si può ripartire? Un po' dalla multidisciplina sicuramente, in particolare pista e ciclocross, che taglierebbero i costi delle trasferte e il fattore pericolo.
Un tracciato da ciclocross lo puoi fare in ogni parco praticamente. I velodromi quelli sono, salvo minuzie, che a livello giovanile chissene, sono tutti uguali. Al chiuso ne abbiamo uno in tutta Italia, ma ci sono i velodromi all'aperto che si possono tranquillamente usare. Per i ragazzi almeno fino ai quattordici anni mi sembrano le due discipline più indicate.
Ma purtroppo mentre il femminile deve il suo momento di splendore proprio alla multidisciplina (le giovani vengono tutte o dalla pista o dal cross), al maschile, in molte zone d'Italia, è tabù quasi totale.
In Italia ci sono sempre meno giovani che fanno ciclismo, questo vuol dire che hai bacino molto meno ampio da cui attingere e che, dunque, giocoforza produci sempre meno corridori di qualità.
E' pieno di addetti ai lavori e giornalisti (ben poco preparati) che fanno i tuttapposter. Il CT della nazionale, per motivi che io assolutamente non comprendo, ha dichiarato che forse c'è un nuovo Nibali nelle categorie giovanili: https://it.blastingnews.com/sport/2022/0...62262.html
Sì, ma molto forse, dato che era decisamente più facile trovare un Nibali tra 2000 ragazzi che non tra 400.
Oggi ci sono si e no un quarto dei dilettanti italiani che c'erano vent'anni fa.
Da un lato bisogna far fronte a un calo delle nascite che, giocoforza, incide sullo sport in generale. D'altro canto, però, il calo enorme di praticanti è dovuto anche al fatto che il ciclismo è uno sport sempre più costoso e sempre più pericoloso.
Ma per quale motivo un genitore deve far fare ciclismo al proprio figlio se questo significa aprirsi un mutuo per uno sport ove, peraltro, si rischia molto di più che non nel calcio, nel basket o nell'atletica?
Il ciclismo, che storicamente era lo sport delle classi meno ricche, è diventato roba per alta borghesia.
E poi mancano le gare, le squadre, per fare il salto di categoria devi fare risultato e per fare risultato devi accelerare il processo di crescita e se acceleri il processo di crescita va a finire che ti bruci a vent'anni.
Mi fa ridere particolarmente il luogo comune della prima riga perché se uno guarda un Giro della Lunigiana vede un gruppo di professionisti, praticamente.
Più si sale di categoria e più si trovano magagne. La struttura della categoria elite-U23 è tafazziana. Si dice continuamente che bisogna andarci piano coi giovani ecc... ma se uno ha ventidue anni e non è ancora pronto, lo buttiamo nell'immondizia. Se ne ha più di 27 e non ha un contratto da pro o semipro, la sua carriera è finita. In Francia e Spagna gli U23 possono correre con ex pro di 35/40 anni, da cui, tra le altre cose, possono imparare molto. In Italia questo è impossibile e già a 23/24 anni vieni spinto verso la granfondo della porchetta.
Da dove si può ripartire? Un po' dalla multidisciplina sicuramente, in particolare pista e ciclocross, che taglierebbero i costi delle trasferte e il fattore pericolo.
Un tracciato da ciclocross lo puoi fare in ogni parco praticamente. I velodromi quelli sono, salvo minuzie, che a livello giovanile chissene, sono tutti uguali. Al chiuso ne abbiamo uno in tutta Italia, ma ci sono i velodromi all'aperto che si possono tranquillamente usare. Per i ragazzi almeno fino ai quattordici anni mi sembrano le due discipline più indicate.
Ma purtroppo mentre il femminile deve il suo momento di splendore proprio alla multidisciplina (le giovani vengono tutte o dalla pista o dal cross), al maschile, in molte zone d'Italia, è tabù quasi totale.