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Nazionale, svolta azzurra: via gli indagati, largo ai giovani
#22
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Caso Federciclismo: Di Rocco fa a pezzi l'Italia di Bettini - E il ct? Ormai è un semplice passacarte

CAMPIONATO DEL MONDO SU STRADA 2012 Alessandro Ballan Alessandro Petacchi Damiano Cunego Danilo Di Luca Davide Rebellin Enrico Gasparotto Filippo Pozzato Francesco Gavazzi Franco Pellizotti Giovanni Visconti Mauro Santambrogio Michele Scarponi Paolo Bettini Simone Ponzi Uomini Doping Politica
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Chi ne esce peggio è senz'altro Paolo Bettini. Anche se forse lui non se ne rende bene conto, l'idea che il commissario tecnico possa essere degradato al ruolo di passacarte federale senza che batta ciglio, toglie qualcosa, anzi forse toglie molto, all'immagine del campione coraggioso e quasi sfacciato nella sua ciclisticamente guerrigliera voglia di sovvertire le regole. L'uomo che coi suoi attacchi garibaldini ci ha fatto sognare per anni, non sa più nemmeno piazzare uno scattino. Uno scattino d'orgoglio, s'intende.
Gli servirebbe per reagire a quanto, incredibilmente, sta succedendo in questi giorni, in queste ore. La Gazzetta dello Sport ha rivelato che Renato Di Rocco, ormai referente unico della Federciclismo (visto che ha depotenziato tutti gli altri organi istituzionali, a partire dal già floscissimo Consiglio Federale), ha proceduto coi suoi intenti "rivoluzionari": e, non contento di aver tenuto fuori dalla Nazionale i corridori che in passato abbiano subìto almeno 6 mesi di squalifica per doping, ha esteso il diktat restrittivo anche a quelli che hanno in corso un coinvolgimento (sia esso sostanziale o blando, non fa ovviamente differenza) in inchieste della magistratura.
E quindi non solo Di Luca, Rebellin, Pellizotti, Scarponi, Petacchi e compagnia cantante, ma anche Ballan, Cunego, Gavazzi, Ponzi, Santambrogio (affaire Lampre, inchiesta di Mantova), Gasparotto (che comunque è infortunato), Pozzato, Visconti (frequentazioni con Ferrari, inchiesta di Padova), fanno ciao ciao con la manina alla maglia azzurra. Alcuni di essi sarebbero stati titolari sicuri a Valkenburg, altri si sarebbero giocati un posto in nazionale. Importa che molti di loro non abbiano alcun addebito presso la giustizia sportiva? No.
Finché la decisione riguardava gli ex positivi, eravamo comunque nel campo di una decisione illegittima (chi sconta la sua pena dovrebbe avere il diritto di tornare un ciclista come tutti gli altri) ma ci si poteva trovare un barlume di senso logico, o al minimo il riferimento a una delibera (presidenziale) della FCI, quella del 7 maggio 2012. Adesso abbiamo scavalcato a pie' pari anche l'incombenza di dare una liceità giuridica quantomeno di facciata a tali misure, e siamo entrati nel campo delle liste di proscrizione.
Ma la cosa più ridicola è che ora da Roma pretendono che noi crediamo alla favola che ciò che muove Di Rocco sia la volontà di fare pulizia, di arrivare "ancora una volta primi". Sì, primi in una spirale antistorica, nel senso che la storia, a conti fatti, ha sempre condannato le cacce alle streghe, dalla Santa Inquisizione al maccarthismo. E di certo non sarà clemente, nel piccolo ambito dello sport, con questa levata di scudi federale.
Di Rocco non è una verginella di campagna. Al pari dei Petrucci e dei Pagnozzi, porta in sé tutte le responsabilità dei casi di doping che hanno ammorbato 30 anni di sport italiano; lui, come gli altri papaveri del CONI, fa parte di un apparato sportivo (e politico-sportivo), inamovibile da decenni, che ha a lungo flirtato con medici dopatori, ne ha sostenuto finanziariamente le ricerche, ha chiuso occhi e orecchie quando faceva comodo, ha tirato scheletri fuori dall'armadio quando era necessario per ragioni extrasportive, e non ha mai pagato mezzo centesimo per nessuno scandalo, non s'è mai assunto davanti ai cittadini le responsabilità del caso.
Si è sempre e solo fatto finta: Carraro o Pescante caduti per un attimo per Moggiopoli o per lo scandalo dell'Acqua Acetosa? Li ritroviamo poco dopo in un altro incarico pieno di lustro e ritorni (d'immagine e non solo). Sono sempre lì. E Renato Di Rocco è uno di loro, è uno dei protagonisti di una stagione che per il bene dello sport italiano sarebbe bene si chiudesse una buona volta. Lui lo sa, noi lo sappiamo, e allora basta manfrine, giù la maschera ragazzi, e per piacere non ci si venga a dire che personaggi del genere hanno la credibilità per affermare una vera (almeno negli ideali, per quanto magari utopistica nei fatti) lotta al doping.
Dov'era Di Rocco quando il professor Donati scriveva il suo dossier, quasi 20 anni fa? Era segretario generale della FCI, ma già all'epoca pieno di potere e possibilità, e già all'epoca cocco del CONI, che poi lo ricollocò alla FIDAL quando temporaneamente la Federciclismo fece a meno dei suoi servigi. Poi è tornato "tra noi", è stato eletto presidente e aveva delle belle idee, tanto che lo appoggiammo, ma negli anni qualcosa è cambiato.
Il presidente che si contrapponeva alle politiche dell'UCI oggi siede allo stesso tavolo dei McQuaid, è vicepresidente dell'Unione Ciclistica Internazionale, e naturalmente è anche istituzionalmente responsabile di quanto viene fuori dagli Stati Uniti in merito alla vicenda Armstrong. Il presidente che si contrapponeva (fintamente) alla svendita dell'immagine dei ciclisti operata dalle politiche del CONI, è seduto oggi allo stesso tavolo dei Petrucci e dei Pagnozzi, visto che è vicepresidente pure del Comitato Nazionale Olimpico.
Insomma, Di Rocco è sempre presente, seduto però dalla parte giusta del tavolo, dalla parte dei signorotti dello sport, ovvero quei dirigenti che lo sport l'hanno spolpato vivo, a livello di risultati, di dignità, di spessore sociale; in Italia, e nel ciclismo internazionale.
Dobbiamo smettere di ritenere credibili personaggi simili, dobbiamo finirla di dar loro retta quando si dicono estranei a tutto quel che passa sotto di loro (abbiamo ancora negli occhi un altro presidente federale "affranto", un mesetto fa a Londra...): non si può avere un'idea di quanto, un presidente come Di Rocco, possa influenzare qualsiasi ambito dell'istituzione da lui retta. Può tutto, oggi più che mai, oggi che ha tolto di mezzo ogni vincolo all'esercizio del suo potere, oggi che si sente intoccabile, al di sopra del diritto e delle umane regole. Ma questo delirio d'onnipotenza è ciò che lo perderà, perché chi è troppo sicuro di sé prima o poi commette l'errore stupido ma decisivo. Al Capone venne incastrato per evasione fiscale.
Notare che non abbiamo parlato dei corridori, anche se qualcosa da dire, almeno su qualcuno di loro, ci sarebbe pure... ma che un ciclista sia scemo o scafatissimo, resta sempre un ciclista, e cioè l'anello più debole dell'intera catena. Lo scriviamo da anni, da anni lottiamo contro i furori giustizialisti che hanno depresso questo meraviglioso sport, da anni invochiamo una soluzione politica (il progetto del Passaporto Biologico, ma gestito in maniera differente rispetto ad oggi, continua a piacerci) che esuli dalla gogna per "le mele marce" ma che restituisca un ciclismo comunque credibile e per quanto possibile sicuro per la salute degli atleti.
Oggi finalmente (è un finalmente amaro, s'intende) qualcuno capisce meglio tutto quanto ruota intorno a queste vicende. La pazienza di tanti appassionati è al limite, dopo anni si nota un'inversione di tendenza rispetto all'acquiescenza della rana nella pentola d'acqua bollente: la storiella è nota, una rana messa in una pentola d'acqua su un fornello, non si rende conto del graduale aumento della temperatura, e prima che prenda finalmente coscienza di quanto le sta avvenendo, è già morta.
Nel ciclismo abbiamo vissuto proprio un'escalation del genere, ci siamo via via abituati a tutto, convinti che le successive misure (sempre più) restrittive ci avrebbero reso uno sport pulito, e invece siamo ancora e sempre qui ad avvitarci su noi stessi e a mandar giù bocconi sempre più amari. Amari per il diritto, innanzitutto, perché punire un atleta prima che egli venga giudicato dagli organi preposti è una forma di arbitrio, ma noi siamo già oltre, siamo alla delazione istituzionalizzata: cos'è altrimenti il caso Pozzato? Un corridore "inchiodato" a un non-reato per mezzo di prove rubate (una telefonata registrata da un suo ex amico) e quindi non utilizzabili contro di lui.
E in ogni caso non c'è tempo di aspettare il giudizio dei tribunali, il nostro presidente etico ha già emesso il suo verdetto, ha già esibito il suo pollice verso e va a portare in giro la sua faccia da severo e integerrimo garante del ciclismo pulito. E se abbiamo scritto "faccia" e non "coscienza", un motivo c'è.
Marco Grassi

cicloweb.com
 
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Messaggi in questa discussione
RE: NAZIONALE. Svolta azzurra: via gli indagati. Largo ai giovani - da Micheliano59 - 04-09-2012, 06:33 PM

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