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Caso Armstrong - L'UCI cancella tutti i titoli di Armstrong dal '98 in poi
 
Doping&Antidoping: Lance, finisce proprio male - Armstrong non si difende, l'USADA lo radia, addio ai 7 Tour vinti

E così finisce malamente, nel fango, nel biasimo, e nella sconfessione di quanto fatto nel corso di una carriera, la vita sportiva di Lance Armstrong.
Ieri notte scadeva il termine entro il quale il vincitore di 7 Tour de France avrebbe dovuto accettare o meno di andare a processo per difendersi dalle accuse mossegli dall'USADA, l'agenzia antidoping statunitense. Se Lance avesse accettato, si sarebbe dovuto confrontare in un procedimento pubblico coi testimoni che hanno deposto presso tale agenzia delle confessioni in cui, oltre ad autoaccusarsi di doping, chiamavano in correità proprio Armstrong. Non accettando - come ha fatto il texano - il processo, l'USADA darà corso alla misura di radiazione nei confronti dell'ex corridore, che così perderà tutti i risultati acquisiti nel periodo fatto oggetto dall'inchiesta, ovvero gli anni 1998-2010.
Una bomba vera e propria, che apre scenari che approfondiremo a parte, e che demolisce letteralmente la figura di un campione fino a poco tempo fa osannato dai più (temuto e detestato dagli altri), ma intorno al quale la tenaglia dell'antidoping si stava sempre più stringendo, offuscando il ricordo delle imprese in bici e ammantando tutta la vicenda sportiva di Lance di dubbi sempre più pressanti.
Un breve riepilogo: l'USADA, basandosi su alcune nuove prove (ovvero su test antidoping di Armstrong relativi agli anni 2009 e 2010 dai quali emergerebbe l'uso di EPO e altre sostanze dopanti), ha dato corso a un'inchiesta volta ad accertare come nei team in cui si è dipanata la seconda carriera di Lance (quella post-cancro) si praticasse doping di squadra. Non meno di 10 testimoni oculari hanno confermato l'uso di EPO, autoemotrasfusioni, testosterone e altre sostanze e pratiche illecite da parte di Armstrong.
Tali testimoni o non corrono più, o hanno patteggiato un'uscita di scena "soft" dalla vicenda: è il caso di George Hincapie, che si è direttamente ritirato (da pochi giorni) dal ciclismo pedalato. Jonathan Vaughters, attuale team manager della Garmin, ha più volte esternato sul fatto di essersi dopato, ai tempi in cui correva in squadra con Lance. Altri nomi sono quelli di Floyd Landis e Tyler Hamilton, a loro volta già plurisqualificati per questioni di doping; sul resto dei testimoni c'è una cortina di silenzio, e nemmeno i legali del texano hanno potuto avere l'elenco.
In giugno l'USADA ha diramato i nomi degli indagati (oltre ad Armstrong, il suo storico team manager Johan Bruyneel, il preparatore Martí, e i medici Celaya, García Del Moral e Ferrari), ponendo come termine per l'accettazione o meno del procedimento la giornata di ieri.
Il fatto che Armstrong non vada all'arbitrato presso l'USADA viene inteso da quest'ultima come accettazione della sanzione (la radiazione) da parte dell'ex ciclista; ma Lance non ha alcuna intenzione di non difendersi, visto che punta - con l'appoggio dell'UCI - a mettere in discussione la competenza dell'agenzia americana sul caso. La stessa UCI potrebbe appellarsi al TAS, invocando per sé la giurisdizione sulla vicenda. Già nelle scorse settimane l'Unione Ciclistica Internazionale è venuta ai ferri corti con l'USADA, avendo richiesto tutti gli incartamenti del caso per procedere in proprio, ma ricevendo come risposta un secco no dagli Stati Uniti.
Emerge, in tutto ciò, la figura di Travis Tygart, che dirige l'USADA e che sta vestendo i panni dello sceriffo della situazione. Proprio su di lui si concentrano gli strali di Armstrong, che ha definito "caccia alle streghe incostituzionale" l'attività di Tygart contro di lui. La battaglia legale avrà ampi e lunghi strascichi, non possiamo dire al momento chi ne uscirà vincitore, ma l'agenzia americana non mollerà facilmente la presa, e alcune esperienze del passato (vedi il celebre caso Balco) ci fanno pensare che non sarà facile sconfessare tale agenzia.
Sembra insomma una carta deboluccia, quella che sta giocando Lance, il quale punta forte proprio sulla sconfessione dell'USADA. «Questa inchiesta mira a punire me e non a cercare la verità», scrive Armstrong in un comunicato, asserendo anche che «la USADA non può avere il controllo su uno sport professionistico internazionale». Ma le regole della WADA (l'Agenzia Antidoping Mondiale) dicono in teoria il contrario, laddove viene fatto presente l'obbligo di recepire, da parte degli organi internazionali, le squalifiche inflitte dalle agenzie antidoping nazionali. Il punto è che se scenderà in campo l'UCI con un ricorso al TAS, si aprirà un conflitto di attribuzioni che lascerà parecchie rovine sul campo (ovvero: chi perde l'arbitrato viene pesantemente sconfessato come istituzione).
Deboluccia la carta difensiva, ma a suo modo anche abbastanza esplicativa, visto che si punta a contestare il metodo e non il merito delle accuse. Armstrong dice di non sentire l'USADA come un giudice imparziale, ma queste parole, in assenza di fatti, suonano abbastanza vuote. Suona molto più pieno il concetto riguardante una serie di fatti contestati e relativamente ai quali si sceglie di non provare a smontarli in sede giudiziaria.
Ma al di là dei giochi processuali, qui vogliamo puntare l'attenzione su lui, su Lance. Un idolo per i suoi tifosi, un paladino della lotta al cancro (malattia che si può combattere, e da cui si può tornare a vivere più forti di prima, tanto da vincere uno, due, tre, sette Tour de France: questo il senso della carriera di Armstrong, almeno per quelli che in lui hanno trovato un simbolo, una fonte di ispirazione, un modello). Ma ora anche la fondazione Livestrong, che negli anni ha raccolto quasi 500 milioni di dollari per la ricerca contro il cancro, non potrà evitare di essere raggiunta da schizzi di fango (in realtà già qualcosa s'è detto, sugli affari e sui conti della fondazione. Vedremo se ci saranno sviluppi).
La figura umana di Armstrong è a suo modo tragica. Ritrovatosi a incarnare il ruolo dell'eroe positivo contrapposto a un nemico cattivo, fosse esso la malattia o avversari che "baravano", Lance era colui che avrebbe sconfitto il lato oscuro della vita, nella visione molto manichea e molto americana della contrapposizione tra bene (noi) e male (gli altri). Un po' quel che era il Rocky Balboa contrapposto al sovietico Ivan Drago in pieno reaganismo, solo che quello era "solo" un film, qui invece parliamo di vita reale.
Armstrong, una favolosa macchina di propaganda (George Bush, presidente guerrafondaio, si faceva vanto dell'amicizia esclusiva col campione), e anche una favolosa macchina da soldi, se è vero che le sue imprese hanno rappresentato il volano per il definitivo decollo del ciclismo in un mercato straordinario come quello americano. Armstrong il portatore dei valori del nuovo ciclismo, quello globalizzato dell'UCI di Verbruggen e McQuaid (che infatti sono sempre andati a braccetto col texano), Armstrong potente tra i potenti, lui che con una sola parola poteva piegare tutto a suo piacimento. Ma anche gli idoli imbattibili possono cadere.
Non tanto nella rete dell'antidoping, quanto nella consapevolezza che tanto potere è servito a cosa? Tradito da quelli che in teoria dovevano essere alcuni dei suoi amici più stretti, almeno nell'ambiente del ciclismo. Da George Hincapie, che ha condiviso con lui fatiche e vittorie, e poi gli ha voltato le spalle brutalmente. Perché? Perché il campione amatissimo dalle folle non lo è stato, alla prova dei fatti, anche da quelli che più gli erano vicini? Sono questi i rapporti che si costruiscono nel ciclismo?
Forse, in parte, sì; o forse no, chissà, se "andiamo a vedere cos'è un ciclista" forse scopriremo che i compagni di un Pantani non avrebbero mai fatto una cosa del genere... Parte della carriera (e della vita) del Pirata fu pesantemente influenzata da Armstrong, che dopo il 2000 non volle più ritrovarselo tra i piedi al Tour (e il Tour piegò la testa e accettò il veto, e ciò non fu scevro da conseguenze). Marco è morto da 8 anni e mezzo, ora vediamo che chi contribuì - in nome del ciclismo pulito - ad affondarlo potrebbe passare attraverso gli stessi guai, attraverso lo stesso smarrimento del ritrovarsi solo, dopo essere stato Dio in terra. Il ciclismo è sempre la stessa maledetta, inesorabile ruota che gira, e che spesso gira male per i suoi protagonisti.
Un altro aspetto che va assolutamente approfondito è il rapporto di uno sportivo col proprio corpo. La verità ontologica, dogmatica, assiomatica, quella ufficiale insomma, era che uno che aveva avuto un cancro e che aveva rischiato seriamente di morire non avrebbe mai potuto abusare di se stesso dopandosi ed esponendosi così all'ignoto di nuove possibili malattie causate da certe pratiche. Tale tesi viene miseramente smentita oggi, perché l'USADA ci sta dicendo che la voglia di emergere, di primeggiare, di vincere, può essere addirittura superiore allo spirito di autoconservazione, alla tutela della propria salute.
Ma Armstrong è stato un kamikaze del doping, in spregio al proprio stesso benessere fisico, oppure ha fatto, come tutti, quel che ha potuto, in relazione alle (enormi) possibilità che ha avuto (e alle coperture di cui ha goduto)? Noi tutti sappiamo che la risposta giusta è la seconda, anche se a molti (guardacaso spesso tra i dirigenti sportivi) fa comodo far passare l'idea del kamikaze, ieri Riccò, oggi lo Schwazer di turno.
La vicenda sarà ancora lunga nel suo procedere tra aule di tribunali e carte bollate. C'è ancora tanto da chiarire, a partire dalla posizione di Johan Bruyneel, tuttora team manager di una squadra del World Tour (la RadioShack), e che potrebbe mettersi in scia ai ricorsi di Armstrong e dell'UCI. C'è da vedere se i Tour tolti a Lance verranno riassegnati (quasi certamente no), di sicuro sarebbe un esercizio burocratico che non cambierebbe la storia, quella storia che dice che quei 7 Tour li ha vinti il texano (come peraltro lui stesso rivendica nel suo comunicato).
Su tutti i tanti aspetti aperti da questa clamorosa vicenda, ci riserviamo di approfondire, oggi e in seguito. Di sicuro il caso Armstrong può essere una pietra angolare nel ciclismo e nella sua politica, perché dubitiamo che, realmente, dopo questa radiazione tutto possa tornare ad essere gestito come prima, in questo disgraziato sport.
Marco Grassi
Cicloweb.it
 
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(24-08-2012, 12:42 PM)Luciano Pagliarini Ha scritto: Facciamo il punto: Zulle vince il Tour de France del 99, Ullrich quello del 2000, del 2001 e del 2003, Beloki quello del 2002, Kloden quello del 2004 e Basso quello del 2005.
Considerando i Tour che sono stati levati a Contador ed a Landis, e la squalifica di Kohl al Tour 2008, solo in due anni(2007 e 2009) nel decennio 2000-2010 la classifica finale del Tour non è stata riscritta...

Escludendo Kloden, tutti gli altri hanno avuto problemi di doping quindi questo fatto dimostra che il revocare i titoli non ha alcun senso. Anche perchè chi lo dice che se non ci fosse stato Armstrong sarebbero finiti così questi Tour de France? Il ri-scrivere una classifica falsifica ancora di piu' il risultato.
 
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[+] A 1 utente piace il post di Sono Felice
Zulle scandalo Festina e gli altri tre OP...
Comunque gente qua vi dovete rendere conto che stiamo andando ben oltre la semplice rescrizione di qualche classifica o la squalifica di un corridore ritirato da anni, qua è iniziata una guerra tra UCI e Usada, con conseguente rischio di una completa rivoluzione del settore gestionale ciclistico. Io sinceramente mi auguro la caduta dell'UCI, sono loro il male del ciclismo, gente che per anni ha sfruttato il ciclismo al fine di trarne interesse personale, e che ancora oggi continua a farlo...
 
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Doping&Antidoping: E ora buttiamo via UCI e controlli? - Aigle, pesanti complicità e credibilità ai minimi termini
Facciamo per un attimo finta che i rappresentanti dell'Agenzia antidoping americana e quanti negli anni hanno accennato a coperture da parte dell'UCI nei confronti di Lance Armstrong (ultimo dei quali il dottor Ashenden, ex collaboratore di Aigle) siano solo dei simpatici svitati che parlano a vanvera nell'attesa che tutte le loro rotelle tornino al proprio posto.
Facciamo, solo per un attimo, il prodigioso sforzo di credere che in tutto l'operato dell'Unione Ciclistica Internazionale ci sia solo buonafede, accompagnata dai più alti ideali di pulizia, correttezza, onestà nello sport.
Alla luce di tale presupposto, abbiamo quanto segue.
C'è un ente che si trova a gestire uno sport considerato "difficile", dal punto di vista del doping. Tale ente anni fa - diciamo all'altezza del 1998 - coglie la gravità della situazione in seguito non a propri studi o a proprie analisi e conclusioni sul ciclismo professionistico, bensì perché messo brutalmente di fronte alla realtà da operazioni della polizia francese, allorché la Géndarmerie scoperchia l'affaire Festina.
Pazienza, tale ente - lo chiameremo per comodità UCI - prende atto di essere stato un po' distratto ma promette di mettersi d'impegno per arginare il problema. Da lì in avanti, una sequela di misure sempre più stringenti: si allargano i test antidoping dalle sole urine anche al sangue, con l'introduzione - primo sport al mondo - dei controlli incrociati; si impongono i controlli a sorpresa, lontano dalle competizioni; si inventa a tal uopo il sistema ADAMS, che prevede che i corridori debbano continuamente dare la propria reperibilità all'UCI, anche quando sono in vacanza: l'ente entra pesantemente nella vita privata degli atleti, i commissari antidoping non guardano in faccia a niente e nessuno, fanno il loro dovere anche quando devono prelevare dei campioni da un corridore che sta organizzando il funerale del figlioletto (caso Van Impe).
Non è più necessario essere trovati positivi ai test per essere sanzionati, basta saltare tre controlli a sorpresa. Si allarga il fronte dei divieti, nell'elenco delle sostanze illecite entrano nuovi prodotti, ma soprattutto si colpiscono determinate pratiche: vengono vietate le infiltrazioni di qualsiasi genere, anche quelle di integratori. Vengono redatte liste di proscrizione contenenti nomi di atleti da tenere particolarmente d'occhio, e tali liste divengono di dominio pubblico. Nulla di strano, se consideriamo che uno stesso presidente dell'ente (Verbruggen) sostiene che può trovare positivo chi vuole e quando vuole, mentre un altro presidente dell'ente (McQuaid) non fa mancare riferimenti più o meno velati a questo o quel corridore, che poi puntualmente viene pizzicato all'antidoping.
Lo stato d'emergenza perenne dichiarato nei confronti del doping nel ciclismo fa sì che si passi sopra alle più elementari norme del diritto (a volte dei corridori vengono esclusi dalle corse sulla base di... sospetti), e al contempo crea un clima, o diremmo più una cappa, esasperata ed esasperante su questo sport. Ma i nuovi, severissimi controlli, funzionano: ogni tanto viene beccato un corridore di seconda schiera, ma in alcuni momenti, in particolare al Tour de France e in occasione di alcune guerre di potere tra l'UCI e gli organizzatori della Grande Boucle, vengono "fatti fuori" dei grandi nomi, da Vinokourov a Rasmussen a Landis.
I controlli funzionano, sì, ma non basta ancora, ci vuole uno strumento ulteriore, il Passaporto Biologico, ovvero una scheda personale per ogni ciclista professionista, che contenga i suoi dati clinici, biologici, chimici, insomma tutto ciò che possa concorrere a determinare la presenza di comportamenti illeciti (in presenza di valori sospetti). È l'ultimo stadio di una lotta che è passata anche dall'obbligo, per i corridori, di mettere anche il loro DNA a disposizione degli organi controllanti. Un progetto talmente importante, il Passaporto Biologico, che non può essere affidato a un ente terzo, ma che l'UCI gestisce in casa. Siamo all'optimum, il ciclismo ha fatto pulizia, solo pochi reietti insistono a sbagliare, ma per loro c'è sempre una squalifica in agguato, seguita da un paio d'anni di mobbing istituzionale, una volta che saranno rientrati in gruppo.
Però, al di là dei tanti buoni propositi e dei superlativi risultati raggiunti, qualcosa sfugge sempre. I casi di doping più clamorosi continuano ad essere buttati sul tavolo non dal nostro ente, ma da agenti esterni. Le polizie di questo o quel paese, alcune federazioni o alcuni comitati olimpici nazionali, le varie agenzie antidoping con cui in teoria l'UCI dovrebbe collaborare. Tutto il mastodontico e costosissimo impianto antidoping dell'UCI non basta e non serve a scoprire alcunché sui corridori coinvolti in Operación Puerto, ad esempio; addirittura lo scalcinato carrozzone sportivo italico arrivà là dove l'UCI non riesce ad arrivare (a Valverde, tanto per citare un nome; o ai clienti del dottor Santuccione).
Non serve, l'antidoping UCI, a smascherare i tanti che continuano a frequentare il luciferino dottor Ferrari, ci si deve mettere la procura di Padova per provare a capirci qualcosa; adesso, dall'USADA, apprendiamo con sgomento l'ultima notizia.
Mentre l'UCI per anni vigilava in maniera ferrea, per non far sfuggire nemmeno una mosca tra le maglie dell'antidoping, e si mostrava inflessibile oltre ogni limite con atleti di piccolo cabotaggio (colpirne 1 per educarne...), beh, mentre avveniva ciò c'era un corridore, proprio il più in vista di tutti i corridori, che non occasionalmente, o saltuariamente, o per sbaglio, ma in maniera continuata e organizzata si dopava per vincere non una corsa che potesse passare inosservata, ma addirittura il Tour de France!
In pratica, come se un ladro rubasse la tiara al papa durante l'Angelus, e come se lo facesse non una sola volta, ma per 7 mercoledì di seguito, senza che nessuna delle guardie svizzere si accorga di nulla. Il minimo che si possa fare in questo caso è chiedersi a cosa servano tante guardie svizzere, a cosa serva transennare tutta Piazza San Pietro, se poi qualcuno può impunemente rubare la tiara al papa non una, non due, non tre, ma 7 volte consecutive.
Ma, e qui iniziamo a uscire dal presupposto di base (ovvero il dogma della buonafede da parte del nostro ente), vi immaginate lo sgomento della folla quando si scoprisse che il ladro della tiara è in realtà amico del papa, cena spesso con lui, gli fa dei regali, a volte paga pure lo stipendio alle sue guardie svizzere? Difficile da capire, difficile da credere. Eppure è proprio quello che è successo in questi anni tra Lance Armstrong e l'Unione Ciclistica Internazionale.
Il texano, nell'arco della sua traiettoria sportiva, ha goduto di coperture, in seno all'UCI, su cui oggi si fa luce. L'USADA parla di una positività occultata al Giro di Svizzera del 2001; in passato era diventato famoso il caso di una positività occultata nel '99 al Tour (si parlò di una pomata antidolorifica e si minimizzò la cosa). Vedremo nelle prossime settimane se e come le voci diventeranno carta che canta.
Avremo la conferma che l'UCI, che tuttora - per bocca dei suoi massimi esponenti, su tutti Pat McQuaid - si concede il lusso di offrire patenti di verginità a questo o quel corridore, o addirittura a questo o quel movimento (la mafia latina di Italia e Spagna contro la scienza e il progresso pulito della Gran Bretagna...), ha il peccato originale di aver permesso che alcuni suoi affiliati, portati peraltro in palmo di mano in qualità di esempi di pulizia e rettitudine, avevano il permesso di fare come pareva loro, avevano un salvacondotto che li poneva al riparo da ogni addebito, mettendoli nella posizione di fare i moralisti e bacchettare gli sporchi bari.
L'UCI ha tollerato, coperto, forse addirittura incentivato (si sa che faceva comodo una bella entratura nel mercato americano) un sistema che prevedeva pratiche dopanti di squadra, e l'ha fatto ai massimi livelli del ciclismo mondiale. Oggi che qualcuno (l'USADA) la richiama alle sue responsabilità, la stessa UCI fa di tutto (ricorso al TAS?) per chiudere la bocca di chi le chiede conto, e per tornare a gestire tutto da sé, mettendo eventualmente il silenziatore a ciò che andava, va e andrà silenziato.
Scusate, ma a noi questo sembra uno scandalo inconcepibile.
Anche nella migliore delle ipotesi, quella idillica che abbiamo tratteggiato sopra, ci troveremmo a dover giudicare un ente del tutto incapace, malgrado enormi sforzi, di esercitare il proprio controllo nel campo dell'antidoping. E dovremmo giudicarlo severamente, quell'ente, e decidere di disfarci di chi lo regge.
Ma qui siamo ben oltre il paese delle meraviglie sempre tratteggiato dalle dirigenze del ciclismo ("ci sono poche mele marce") e purtroppo troppo spesso rilanciato con (diciamo) superficialità da troppi media. Il Sistema esisteva, esiste, commentiamo oggi fatti di 15 anni fa, così come tra 15 anni commenteremo i fatti di oggi. A meno che non succeda un piccolo miracolo: che tutti quanti apriamo gli occhi, che rifiutiamo le spiegazioni di comodo, che rinneghiamo le invariabili conclusioni di ogni vicenda doping, che smettiamo di criminalizzare all'eccesso l'atleta, il singolo "che sbaglia" (ancora: l'esempio Schwazer), e che iniziamo ad alzare lo sguardo al vero marciume che ammorba il ciclismo, e che veste in giacca e cravatta, viaggia sempre in prima classe, cura i propri privatistici interessi, e non ha a cuore il bene di questo sport. Non ce l'ha proprio minimamente a cuore.
Cicloweb.it
 
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Bei articoli..temetemi informati
 
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se davvero questo fatto dovesse causare un bel crollo dei piani alti dell'Uci con una vera rivoluzione a favore di gente non immanicata che operi per il bene di questo sport
sarebbe davvero una bella cosa

non ci credo molto
 
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su sportmediaset c'è un articolo in cui tolgono dalla classifica dei tour vinti da armstrong tutti i corridori coinvolti in doping, ebbene Nardello avrebbe vinto 2 tour, evans nel 2005, zubeldia nel 2003, sastre nel 2002 e 2003 e Kivilev nel 2001, certo non erano tutti dopati in quegli anni, perchè chi dopo e chi prima erano stati trovati positivi o coinvolti in qualche operazione.
 
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Si va di assurdità in assurdità. Spero che l'UCI si comporti in amniera responsabile e non difenda solamente i suoi interessi.
 
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Ahah Ahah Ahah
Oddio, se il Tour 2002 verrà ricordato per la vittoria di Sastre, o il 2005 per la vittoria di Evans... senza parlare di Kivilev e Nardello (Confuso ) per favore no dai... a 'sto punto non li assegnate...
 
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No no, io voglio Nardello re del Tour Rockeggio
 
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[+] A 2 utenti piace il post di Luciano Pagliarini
Nardello deve fare il ct della nazionale
 
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Sapete dirmi perché si di chiese armstrong non fosse riapparso nella scena ciclistica dopo il primo ritiro non sarebbe stato scoperto il presunto doping?
 
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Non credo...i tempi lo lascerebbero pensare, ma credo che fosse tutto avviato già parecchio prima
 
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Ma perché i compagni anno parlato dopo così tanto tempo?sulla gazza stamane c'era scritto proprio così..che se non fosse rientrato non sarebbe stai radiato?non mi e' chiara una cosa i campioni nel quale e' stato trovato epo risalgono a?e perché sono stati trovati nel2009?

Potrei aver scritto un sacco di cavolate correggetemi perché ci tengo a farmi una mia opinione..
 
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Si dovrebbero essere del 2009. Però mi sembra che l'Usada abbia scoperto anche una positività nascosta del Giro di Svizzera 2001...
 
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Guarda, io ho smesso di interessarmi alla questione ieri all'ora di pranzo perchè mi annoia tremendamente...credo che l'indagine abbia trovato le prime basi concrete con Landis e Hamilton. Poi vista la gravità della questione ci è voluto molto tempo.
 
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(25-08-2012, 06:22 PM)Hiko Ha scritto: Si dovrebbero essere del 2009. Però mi sembra che l'Usada abbia scoperto anche una positività nascosta del Giro di Svizzera 2001...

Si è così, si dice sia stata l'UCI ad insabbiare il tutto...
 
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Ma perché i compagni hanno parlato così tanto tempo dopo?be forse si e' dopato nel2009,a allora perché togliergli i 7 tour?
 
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Perché si dopava anche prima...
Se leggi qualche pagina indietro c'è scritto il perchè...
 
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Da quanto ho capito, non capendone niente di doping e relativo antidoping, Armstrong non sarebbe stato trovato positivo nel 2009, ma il suo sangue rivelava traccia di Epo del passato.
Gli ex postini hanno parlato ora, perchè ora gli conveniva farlo...
 
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