Aru: «Giro&Vuelta, che superstagione»
È abituato a guardare avanti, determinato e cocciuto come pochi, ma in questo finale di stagione, in questo ultimo scampolo agonistico, a Fabio Aru piace anche voltarsi a guardare indietro.
«Mi è capitato al Mondiale di Ponferrada: mi giro e vedo il gruppo allungatissimo, che si contorce e si spezza. Per un corridore, sono emozioni forti. È un uno contro uno che esalta le doti di noi atleti. Al Mondiale ero al servizio della causa azzurra. Davide (Cassani, ndr) sapeva di non avere un uomo in grado di risolvere tutto con una bella volata, così abbiamo provato ad anticipare. Io ero una delle pedine per far saltare il banco: è stata una bella esperienza, che rifarei anche domani».
Non è abituato a guardarsi alle spalle, ma a Fabio capita…
«Mi è capitato al Giro, mi è capitato alla Vuelta: mi giro e vedo gente come Contador, Valverde, Rodriguez che perdono contatto. Mi è capitato di vedere Froome che viene su a tutta, e poi mi affianca, frulla a tutta velocità, e io che lo tengo nel mirino e poi lo batto. Poco tempo fa queste immagini facevano parte dei miei sogni e delle mie ambizioni: oggi è tutto vero, e quasi fatico a credere che sia vero. So perfettamente che sono solo all’inizio, il difficile incomincia proprio adesso, ma sarei un bugiardo se non ti dicessi che sono contento per quello che ho fatto, per quello che ho ottenuto in questa stagione che io considero della crescita, ma anche della svolta».
Fabio, sei sempre uno che guarda avanti, ma se ti giri cosa vedi?…
«La vittoria di Montecampione, la prima vittoria da professionista, nella corsa più amata dagli italiani. Il podio del Giro che mi ha proiettato in una nuova dimensione e soprattutto mi ha fatto conoscere a tanti sportivi, non solo italiani. Poi ci sono le due vittorie in Spagna, le prime ottenute all’estero, in una corsa che è stato esame di riparazione per molti big».
Contador e Froome volevano rifarsi dopo la delusione del Tour, stesso discorso per Valverde e Rodriguez…
«Io mi sono buttato in mezzo, e ho lottato come ho potuto con questi grandissimi campioni. Ho imparato tanto da questa esperienza, ho immagazzinato fatica ed esperienze che mi torneranno utili in futuro. Ho corso al fianco del mio idolo, Alberto Contador, che ha confermato di avere una classe immensa».
Santuario de San Miguel de Aralar: tu trovi la gloria, Nairo Quintana, uno dei grandi favoriti, vive il dolore di un’altra caduta che lo costringe al ritiro…
«È sempre brutto quando un campione è costretto ad arrendersi per una caduta. Fa parte del mestiere, ma ognuno di noi spera sempre di lottare con i migliori. Ma la caduta di Nairo sembrava un film già visto. Era la festa nazionale dei francesi: 14 luglio, decima tappa, Alberto Contador finisce a terra in discesa e addio Tour mentre Vincenzo (Nibali, ndr) vola verso La Planche des Belles Filles e va a riprendersi quella maglia gialla…».
Cosa ricordi di quella prima vittoria spagnola?
«L’ordine d’arrivo. L’hai detto tu: sono uno che guarda sempre avanti, ma quel giorno quando mi sono guardato alle spalle per poco non svenivo. Mi sono tenuto l’ordine d’arrivo: Valverde, Rodriguez, Contador, Froome, Uran, Sanchez…».
Maurizio Mazzoleni, il tuo preparatore, che con Paolo Slongo segue da vicino il tuo lavoro e i tuoi allenamenti, ha detto che stavi meglio che al Giro.
«Stavo innegabilmente bene. Tu sai quanto mi sono preparato su al Sestriere per farmi trovare pronto alla Vuelta. Sai anche che sono uno meticoloso, scrupoloso, orgoglioso, che non ama andare alle corse non preparato. Se mi butto in una competizione io voglio sempre dare il massimo. Alla Vuelta ci sono arrivato anche con un chilo in meno rispetto al Giro e Mazzoleni, che si interfacciava giornalmente con Slongo, dopo aver visto alcuni dati mi ha esortato a provarci. Ti ricordi quando ho bucato nella nona tappa? In quel momento ho passato un brutto quarto d’ora. La squadra si è stretta attorno a me e io in quell’inseguimento verso Aramon Valdelinares ho fatto registrare valori di potenza molto importanti sui cinque minuti: 400-410 watt con un rendimento di poco inferiore ai 7 watt al chilo».
Se è per questo in occasione delle due accelerazioni che ti hanno consentito di vincere la tua prima tappa alla Vuelta, Mazzoleni ha detto che gli sono parsi simili a quelli di Montecampione: attorno ai 600-650 watt.
«Questo lo sa lui, i numeri sono lì da vedere. Io posso solo dirti che quel giorno stavo molto bene, come a Montecampione. Il primo attacco, per assaggiare i polpacci degli avversari, ai 1500 metri. Contador, risponde bene. Tiro il fiato, ricarico le pile e dopo 400 metri via nuovamente a tutta: mi vedranno all’arrivo».
Sai che quel giorno, davanti al mondo delle due ruote, tu da semplice promessa del ciclismo mondiale sei a tutti gli effetti entrato a far parte del ristretto gruppo dei big delle corse a tappe?
«Guarda, so che ho fatto qualcosa di importante, ma devo ancora migliorare molto».
Devi migliorare, questo è logico, ma Contador sul tuo conto ha detto cose bellissime. Ha detto che ricordi il Contador giovane, che hai il suo stesso modo di correre e pedalare, soprattutto quando scatti in salita. E che sei coraggioso…
«Lo so, l’ho letto, ma se è per questo, dopo il mio secondo successo di tappa, alla partenza mi ha affiancato e mi ha detto: “Olà, campeon…”. Cose da non credere».
Te lo sei conquistato con il sudore della fronte, non ti ha regalato niente nessuno…
«Questo è vero. Come ti ho detto, dopo il Giro ho lavorato benissimo. Sono stato al Sestriere per un mese e mezzo, ma i risultati si sono visti. Per me era importante misurami in un secondo Grande Giro così ravvicinato. Era la prima volta che lo facevo, non sapevo come avrebbe reagito il mio fisico, non sapevo se sarei stato capace di trovare un altro picco di forma. Bene, ho avuto delle risposte».
Giro o Vuelta?
«Il Giro è il Giro, a livello di percorsi è il più difficile in assoluto. La Vuelta, però, per la partecipazione, per i tanti campioni presenti e la loro voglia di riscattarsi è stata durissima. Battaglia dal primo all’ultimo chilometro, tensione palpabile fin dal mattino. Pensa che Martino (il tecnico Beppe Martinelli, ndr) mi ha detto: “Fabio, il ciclismo non lo fanno i percorsi, ma i corridori e la posta in palio. Hai visto il Giro: salite che fanno paura, ma è una corsa più logica, più naturale. La Vuelta è più nervosa e i corridori di rango la rendono più ostica del Giro. Moltiplica per tre: quello sarà il Tour».
Forse c’è da lavorare ancora tanto sulla cronometro…
«A Santa Maria de Veruela i dati hanno detto che sono migliorato rispetto al Giro, ma è altrettanto vero che tra i big sono stato quello che ha forse pagato più di tutti (ha chiuso al 21° posto a 2’03” da Tony Martin e a 1’24” da Contador, ndr). Io sono già uno che non si accontenta mai, ma è anche vero che sono al secondo anno di professionismo e non posso pretendere di essere subito Contador, perché come Alberto ne nasce uno ogni venti anni».
Il secondo successo, su una montagna galiziana (Monte Castrove), nasce quando al traguardo mancavano 4 chilometri. Un colpo secco, Contador, Valverde e Rodriguez restano lì a guardarsi. Solo Froome trova la forza per ingaggiare un duello con te…
«Anche quel giorno ho goduto da pazzi. Ho vinto battendo i migliori. Ho vinto nonostante loro mi conoscessero e sapessero che forse avrei fatto qualcosa. Ho vinto tenendo testa ad un campione del calibro di Chris Froome. Martino mi aveva detto che se stavo bene dovevo provare a partire ai 4 chilometri. Era il tratto più duro della salita. Visto che stavo bene, ci ho provato con convinzione. Ho pensato di andare al traguardo da solo, ma dall’ammiraglia mi hanno avvertito: attento, guarda che sta arrivando Chris… Allora ho respirato forte, ho recuperato un po’ di forze e ho aspettato il britannico, che mi avrebbe fatto impazzire con le sue frullate. Anche quel giorno mi sono testato: mi sono aggrappato al manubrio e ho solo pensato a spingere il più possibile. E ho atteso la volata…».
Terzo al Giro, quinto alla Vuelta. Le classifiche dicono che sei appena sotto Nibali, il nostro fiore all’occhiello, alla faccia di un ciclismo italiano povero e derelitto…
«La crisi c’è e si vede, ma è a livello di economia, che mette in difficoltà le squadre e le organizzazioni. La scuola è buona, e dietro Vincenzo che è giustamente il nostro punto di riferimento, si stanno facendo largo tanti ragazzi e altri si stanno affacciando. Anche la nazionale di Cassani ne è la riprova: io, Zardini, Colbrelli, Formolo… insomma, qualcosa si muove. Qualcosa c’è».
Torniamo alla tua stagione: se ti avessero detto che sarebbe andata a finire così?...
«Non ci avrei creduto. Certo, ci speravo, ma i sogni e le ambizioni sono una cosa, un’altra è la realtà. Bene, la realtà è stata bellissima».
Tu passi per essere un ragazzo molto pacato, riflessivo, con i piedi ben saldi per terra, che difficilmente si lascia andare a voli pindarici, che si fida e si affida, ma che vuole capire e conoscere…
«Direi che sono davvero così. Io mi fido, ma solo dopo aver capito, discusso e valutato bene ogni cosa. Ho la fortuna di far parte di una grandissima squadra, che si avvale di grandi professionalità. Ma io per carattere sono portato a chiedere, a capire. Con Martino, sotto l’aspetto tattico, mi confronto, chiedo, voglio capire. Alla fine di una corsa raccolgo le mie impressioni e vado ad un confronto, per capire. Ma sono anche convinto che il lavoro di equipe faccia bene a me, che sono giovane e ho tanto da imparare. Lo stesso approccio ce l’ho con Slongo e Mazzoleni. Loro dicono, ma sanno anche ascoltare, perché anch’io so cosa mi fa bene e cosa no. E spesso le esigenze e le valutazioni loro unite alle mie si congiungono in un punto. In occasione di questo secondo grande impegno nei Grandi Giri, ho davvero lavorato con impegno e curiosità. Prima del Giro avevo un valore di soglia di 385 watt, prima della Vuelta 390 e poi è salito a 400. Questo è stato possibile grazie ai lavori specifici fatti dietro-moto in salita quest’estate. Così ho aumentato anche il valore fuorisoglia. Rispetto a maggio, secondo le valutazioni di Mazzoleni, 10 watt in più. Possono sembrare niente o poca cosa, ma ai nostri livelli siamo come delle F1 e basta davvero un niente per spostare i valori. Dieci watt, su un fisico come il mio che rispetto al Giro pesava un chilo in meno, significano molto».
Fabio, quanti giorni in ritiro hai fatto quest’anno?
«Più di 120 giorni: non sono pochi».
Sarà felice Valentina, la tua ragazza…
«Beh, lei ormai ha capito. Come sai ha imparato anche a fare dietro motori… Ora però non vediamo l’ora di staccare un po’».
Quando?
«Due o tre settimane ai Caraibi: ne abbiamo bisogno. Per un mese non ne voglio sapere di bicicletta».
Senti, abbiamo parlato dei giorni più belli: quelli di San Miguel de Aralar e Monte Castrove. Quando il giorno più brutto o difficile?
«A La Farappona, il tappone dei cinque colli di prima categoria. Quel giorno ho sofferto parecchio e ho dovuto pensare più a difendermi che ad attaccare».
Ti sei accorto che disponi di scatti letali: difficilmente ne fai più di due. E difficilmente, quando scatti, ti vengono a prendere…
«Ho buoni tecnici che mi sanno guidare, che mi spiegano bene le tappe, che mi indicano i punti e io penso di aver sempre avuto questa buona dote…».
Nel menù di una stagione più che positiva, c’è anche un ottima programmazione: non hai corso tantissimo…
«Ma neanche poco. Alla fine della stagione arriverò ad aver accumulato un settantina di corse… Però sì, il segreto è stato anche quello di non strafare».
Vivi in giro per il mondo. Hai in pratica tre case: Villacidro in Sardegna, Ponte San Pietro a Bergamo, e la casa di Valentina a Trana, in val Sangone, il provincia di Torino. Dove ti senti a casa?…
«Dove ci sono i miei libri, le mie biciclette, i miei affetti: dove c’è Valentina…».
Pier Augusto Stagi, da tuttoBICI di ottobre
http://www.tuttobiciweb.it/index.php?pag...&cod=73580