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Fabio Aru
#21
Tutti in piazza per Fabio Aru, in 3.000 a Villacidro
Il Cagliari calcio gli ha donato una maglia con il 3

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È tornato da trionfatore dopo l'insperato podio conquistato pochi giorni fa a Trieste a conclusione del Giro d'Italia. Almeno tremila persone hanno preso parte questo pomeriggio a Villacidro ai festeggiamenti per il ritorno a casa di Fabio Aru, reduce dalla corsa rosa che lo ha consacrato campione di prima grandezza del ciclismo. I 280 amici del "Fans Club Fabio Aru" hanno organizzato al meglio la festa per il proprio beniamino, adesso idolo di tutti i suoi concittadini e orgoglio dell'intera Sardegna.

Le strade del centro di Villacidro, ma anche quelle principali di acceso alla cittadina del Medio Campidano sono state tappezzate di striscioni inneggianti a Fabio, i balconi e le finestre delle case con grappoli di palloncini rosa. «Ci tenevo a essere qua - ha detto il ciclista dal palco - anche se non è facile per me. Sono stati giorni molti impegnativi per me, forse più che al Giro. Ma questa è casa mia, sono onorato di vedere tanta gente».

Molti avrebbero voluto vedere il giovane ciclista percorrere in bici gli ultimi 200 metri in salita del centrale corso Repubblica, ma lui l'ha fatto a piedi tra due ali di folla contenute a stento dalle transenne. Poi il taglio del traguardo simbolico allestito in piazza Lavatoio. Appena salito sul palco un autentico boato si è levato dalle migliaia di tifosi accorsi da tutto il Campidano. Subito il saluto della emozionatissima sindaco Teresa Pani, che ha abbracciato il campione villacidrese e lo ha ringraziato «per questa bellissima pagina che hai scritto e che rimarrà nella storia di Villacidro».

Altrettanto ha fatto poi il presidente della Regione, Francesco Pigliaru, promuovendo Fabio «esempio per tutta la Sardegna». Il Cagliari Calcio ha donato al giovane scalatore una maglia rossoblù con la scritta Aru e il numero 3 a significare il terzo posto conquistato da Fabio al Giro d'Italia.

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tuttobiciweb.it
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#22
Si merita tutto, grandissimo Fabio!
 
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#23
speriamo che un giorno gli regalino la maglia del portiere
 
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[+] A 3 utenti piace il post di cruijff91
#24
 
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#25
Fabio Aru: da Bologna al Kazakistan pensando alla Vuelta
Ieri in visita a Bologna dalla famiglia Cevenini

«Mi mancava la mortadella: sarà almeno un anno che non ne mangio...». Ritornando alle sue radici bolognesi, Fabio Aru non si nega nulla: nè l’affetto di chi l’ha visto nascere come ciclista e oggi se lo gode come rivelazione del Giro d’Italia, nè l’affettato. «In queste due settimane di riposo ho messo su altrettanti chili, ma farò in fretta a smaltirli: è già tempo di rimettersi al lavoro», confessa il sardo fra i piatti del Tramvia, che per questa sua tappa nel passato gli ha preparato un menu a tinte rosa.

A Casalecchio, che sette anni fa diventò il suo trampolino per il ciclocross e poi per la strada, Aru spunta intorno a mezzogiorno. ‘Vengo a trovarvi oggi’, si era annunciato di buon mattino ad Andrea Cevenini, il gioielliere che gli ha fatto da tecnico alla Ccv, da manager e un po’ da secondo padre nel viaggio che l’ha portato dall’anonimato al podio rosa. Una promessa mantenuta, trasformatasi in fretta in una convocazione alla quale, fra l’aperitivo nello storico Caffè Margherita e il pranzo, hanno risposto una trentina fra amici e dirigenti, il sindaco di Casalecchio Massimo Bosso, l’organizzatore Adriano Amici, Paolo Malini e il glorioso diesse Primo Franchini. Oltre all’intera famiglia Cevenini, con Andrea, il fratello Mirco e i genitori Bruno e Albertina. «Mi fa piacere vedere come vengo accolto ogni volta che torno qui», dice Fabio annusando gli odori della sua ‘seconda casa’, più familiare del solito per la presenza di uno zio trasferitosi a Bologna per lavoro.

«Ma che scherzo ci hai fatto al Giro?», gli dice Mauro Ventura, il titolare del ‘Margherita’ dove Aru transitava spesso, per le colazioni e anche per firmare i primi contratti. «Spero di farvene presto uno più grosso», sorride l’uomo nuovo del Giro, rievocando i tempi in cui, studente in Sardegna, faceva base qui nei fine settimana per andare alle gare di cross in Svizzera o in Repubblica Ceca, o semplicemente per allenarsi dietro il motorino di Cevenini nel freddo della via Emilia.

«AL GIRO ho sorpreso anche me stesso perchè non sapevo cosa potevo fare. Ma è un risultato che non è nato per caso: mi sono allenato bene, ho trascorso l’inverno giusto — racconta Fabio, al quale Cevenini ha regalato il suo orologio personale con la dedica ’Monte Campione’ riferita alla tappa vinta dal sardo — Il dopo Giro è stato faticoso per i tanti impegni (oggi volerà con la squadra in Kazakistan e tornerà lunedì ndr), ma a luglio abbasserò la saracinesca e penserò solo alla bici: mi aspettano il giro di Polonia e soprattutto la Vuelta, oltre all’Emilia. Voglio chiuder bene la stagione». Se lo farà sul San Luca, mortadella per tutti.

da «Il Resto del Carlino» del 18 giugno 2014 a firma Angelo Costa
 
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#26
Arrru, il sardo che fa sognare
Rivelazione del Giro, talento da far crescere

Hurrà Arrru! Con tre erre, co­me piace a lui, come piaceva ad Anita Ti­roni, la sua presidentessa alla Palazzago, che così lo chiamava e troppo prematuramente ci ha lasciato. Tre erre, come piace anche ai suoi tifosi, a quella Sar­degna che di corridori ne ha avuti davvero pochini e torna a sognare come all’epoca del Cagliari di Gigi Riva, rom­bo di tuono, in quei fantastici Anni Settanta.
Fabio Aru non è un bomber, ma in bicicletta, quando scatta e spalanca le fauci, divora la strada in un sol boccone, sembra che prenda a calci la bicicletta, tanto è la sua foga, la sua voglia di arrivare fin su in cima. Ha fame, ma non insegue la fama «quella al massimo vien da sé…», dice lui con quella sua parlata franca e a scatti, tipica di chi parla il suo idioma.
Al Giro c’era venuto per studiare ancora un po’. Non si era portato nessun libro, se non un Garibaldi - la guida del Giro - e un insegnante di sostegno o meglio, un tutor: Michele Scarponi. Poi la strada ha tolto di mezzo ben presto lo sfortunato corridore marchigiano e lui, il pupo di casa Astana, si è trovato a recitare il ruolo di attore protagonista quando voleva fare al massimo da comparsa.
«Ma Beppe (Martinelli, ndr) non mi ha mai messo pressioni. Mi ha sempre det­to: “Fai quello che ti viene. Cerca di dare il massimo senza strafare…”».
Nelle intenzioni della vigilia doveva provare ad arrivare nei dieci. Un anno fa, al primo Giro, aveva chiuso in crescendo in 47a posizione, a causa di qualche acciacco fisico che l’aveva mes­so KO nella seconda settimana. Poi il quinto posto nella tappa delle Tre Cime di Vincenzo Nibali aveva confermato il talento di questo giovanotto: non si arriva sulle Tre Cime, dopo un Giro durissimo, con i migliori se non si hanno dei numeri.

DA VILLACIDRO. «Sono nato 23 anni fa a Villacidro, a 10 chilometri da casa. Ma sono cresciuto a San Gavino Monreale, 50 chilometri da Cagliari, nel Medio-Campidano. Papà Alessan­dro fa l’agricoltore: coltiva pesche, aran­ce, mandarini. Mamma Antonella insegna alla scuola materna. Mio fratello Matteo, 18 anni, fa il liceo classico».
«Se mi sento Sardo? Fino al midollo. A casa parliamo il dialetto, che è una vera lingua, come il latino o il greco. “Ita se fadendu?” vuol dire “Che cosa stai facendo?”. “Ollu fai bei” è “Voglio fare bene”. La mia casa è a 40 chilometri dal mare, ma sono un isolano. Ho il mare nei geni. Mi piace la pesca: alla spigola, soprattutto».
«Per la bicicletta devo stare molto at­tento al mio regime alimentare. Io adoro mangiare, ma non posso fare paz­zie. Il mio piatto preferito? Il porceddu al mirto, servito su un vassoio di sughero. La carne arrosto: maiale, capretto e agnello su tutto. Dolci? Amo le sebadas, a base di miele».
«Mi è sempre piaciuto praticare tanto lo sport. Più che seguirlo ho sempre preferito farlo. Ho giocato fino a 15 anni a tennis, ma con scarsi risultati. Da 15 a 18 anni ho fatto tanta mountain-bike e tantissimo ciclocross. Sono venuto tardi al ciclismo. Ho fatto il Giro di Lunigiana da junior. Poi ho iniziato da Under 23 con Olivano Lo­catelli, che mi ha insegnato ad allenarmi, ad essere competitivo».
«Ho conseguito il diploma al Liceo Classico. Il mio motto è di Orazio: “Carpe diem”, “Cogli l’attimo”. Al Giro l’ho colto. Ma amo molto anche “Panta Rei”, tutto scorre. Quello che è stato è stato, ora si pensa a quello che verrà, per cogliere un altro momento magico».
«Io sono arrivato al ciclismo su strada piuttosto tardi. Non mi sono certamente spolmonato. Ho solo pensato a divertirmi e anche Olivano Locatelli, il mio tecnico tra gli under 23 non ha mai voluto spremermi più di tanto. Ancora oggi non corro tantissimo. Al Giro, quest’anno, mi sono presentato con 13 giorni di gara nelle gambe, meno di tutti. Ma è da novembre che mi alleno ogni giorno con l’obiettivo del Giro. Non ho perso un giorno. Ho fatto tre stage in quota. Due sul Teide: prima 17, poi 14 giorni. E, dopo il Giro del Trentino, sono stato 10 giorni al Sestriere fino alla vigilia del Giro. Bisogna avere birra nell’ultima settimana».
«Credo in Dio e prima di prendere il via di una corsa mi faccio sempre il segno della croce ma non si tratta di un gesto scaramantico. Quando posso vado a Messa la domenica. Credo nella cultura. L’ultimo libro che ho letto è l’autobiografia di Djokovic. Ma amo anche tantissimo i romanzi di Giuseppe Dessì, un sardo».
«Se sono felice? Molto. Faccio il lavoro che più amo. Ho conseguito un grande risultato e lo sto condividendo con le persone più care che ho. E poi da qualche mese ho lei, Valentina, 24 anni di Torino, che mi ha dato tranquillità e gioia».

MONTECAMPIONE. Su in cima al Plan monta un campione. È lì, dove prima di lui seppero vincere Hinault e Pantani, che l’Italia scopre Fabio Aru. Uno scatto a 3200 metri dall’arrivo di Plan di Montecampione, la salita bresciana sulla quale Marco Pantani vinse il Giro 1998, e gli resiste solo la maglia rosa Uran. Un altro ai 2100 metri, e Aru entra nella storia del Giro.
«Dopo le gallerie, dopo le gallerie», gridava nella radiolina Beppe Marti­nelli, che quel giorno deve aver avuto un tumulto di emozioni, per quel ragazzo di sessanta chili distribuiti su centoottantun centimetri di altezza. Rispetto a Pantani Aru è un corridore più potente. È uno scalatore moderno, che non va male neanche a cronometro.
«Dopo le gallerie» vuol dire 3200 metri dall’arrivo, pendenza del 10%, tornante a sinistra. Pantani, nel 1998, riuscì a distanziare l’ombra ingombrante di Pavel Tonkov, in un duello decisivo che è rimasto nella storia.
Aru riscrive la storia, mai nessun sardo era arrivato così in alto. Sul traguardo bresciano infligge distacchi pesanti: 22” a Quintana, 42” al leader Uran, 57” a Majka, 1’13” a Evans, Kel­derman e Pozzovivo. In classifica, Uran mantiene 1’03” su Evans, 1’50” su Majka: Aru è quarto a 2’24”, Quintana a 2’40, Pozzovivo a 2’42”.

VOLA CON I PIEDI A TERRA. «Non cambia assolutamente nulla. Ho ancora tutto da dimostrare», dice al termine di quella sua fantastica giornata. «Non mi sento un leader. Non è che non creda nei miei mezzi, ma mi piace stare con i piedi a terra. È già un’emozione correre con Quintana e Uran. Provo un brivido quando riesco a rimanere con loro in salita. Quando, poi, a tre chilometri dal traguardo, sono andato via e poi sono rimasto solo, ero incredulo. Ho provato per tre volte. Quando mi sono trovato solo in testa, non sapevo se sarei stato capace di tenere fino al traguardo. Ma ancora oggo io penso solo ad imparare dalle persone che mi stanno attorno: Martinelli, Shefer, Tiralongo, che è il mio compagno di stanza. Il mio secondo papà e il mio grande punto di riferimento. Il mio modello di corridore? Ammiro tanto Contador, che è un grandissimo campione. Ma cerco di osservare tutti con attenzione. Da tutti c’è qualcosa da imparare».

CIMA GRAPPA. «Questa salita l’ho fatta la prima volta al primo anno da under 23. Sono scattato al primo tornante e mi hanno ripreso a pochi metri dal traguardo: sono arrivato terzo. Il secondo anno ancora terzo, il terzo anno finalmente ho vinto. Adesso questa bella prestazione. Il Grappa è la mia salita».
Così, sereno come sempre, Fabio Aru racconta a caldo, con la calma dei forti la sua strepitosa cronoscalata, e qualche giorno dopo, a bocce ferme, non ha problemi a dire: «Quando ho visto che avevo il miglior tempo ho accarezzato il sogno. Poi Quintana ha vinto, ma per una volta non mi sono davvero sentito uno sconfitto, perché ho visto che ho davvero disputato una grandissima cronometro. Il mio segreto? Il lavoro. Solo tanto impegno, tanta passione e molto lavoro fatto da novembre per arrivare preparato all’appuntamento. Mi sono allenato duramente e mi sono concesso pochissimi stravizi. Ho fatto fino in fondo la vita del corridore».

LO STELVIO. «Quel giorno di casino ce n’è stato davvero tanto. Forse ha ragione Vincenzo (Nibali, ndr), che ho sentito subito alla sera e mi ha detto chiaramente che anch’io ho sbagliato a non buttarmi in discesa dallo Stelvio, che non dovevo mai perdere di vista Quintana e Uran. È un’esperienza che mi servirà».

LO ZONCOLAN. Aveva a portata di mano il secondo posto nella generale. Aveva a portata di mano Rigoberto Uran, ma dopo le fatiche di Cima Grappa bisogna anche fare i conti con le energie che restano nelle gambe. Il terreno di battaglia è di quelli che non lasciano scampo: lo Zoncolan. Lì c’è poco da fare tattica o melina. O si va o non si va. Per far saltare Uran c’è da pedalare forte, il più forte possibile e poi sperare che il colombiano salti per aria. Non sarà così. Alla fine, dopo tanta euforia, una piccola doccia fredda. Fabio Aru in cima allo Zoncolan perde anziché guadagnare. Ci arriva con 16 secondi di ritardo, sia da Quintana, che da Uran. Lui, dopo la grande fatica, si pulisce il viso e con i suoi bei dentoni bianchi e l’aria soddistatta dice al mondo intero: «Va bene così».
E certo che va bene così. Va molto bene a tutti, non solo a lui. D’altra parte bisogna essere anche un po’ realisti, il secondo posto sarebbe stato fantastico ma il terzo è tutt’altro che da buttare via. Alla luce anche di come è stato difeso. Ad un certo punto il ragazzo dell’Astana era in evidente difficoltà e il francese Rolland un pensierino al podio lo stava coltivando ancora. Non stava bene, ma sembrava in grado di mettere in croce il ragazzo di Villacidro, che invece ha messo in mostra anche una grande lucidità in una fase non buonissima della gara.
«Quel giorno ho sofferto davvero tanto. Quella per me, ma credo non solo per il sottoscritto, è stata davvero una tappa molto dura perché siamo partiti fortissimo e abbiamo finito ancora più forte. Però mi sono piaciuto tanto. Non dico come a Montecam­pio­ne e a Cima Grappa, ma quasi. Perché, come mi ripete ancora oggi Olivano Locatelli, i corridori si vedono quando non stanno bene. Quando non sono in giornata. È lì che mostrano il loro livello di forza, di tenacia, di determinazione e di classe. Io penso di aver medicato la situazione egregiamente. Qual­cuno ha anche detto e scritto che ho sbagliato i rapporti, che ero troppo duro. Non sono per niente d’accordo. Avevo il 34x29, i rapporti erano giusti. Però nelle corse ci sono momenti in cui non riesci ad andare come vorresti, per gli avversari, per la fatica accumulata in tre settimane di corsa e per la strada che non è una strada comune alle altre, perché lo Zoncolan è davvero qualcosa di tremendo. È vero, non sono riuscito a fare la frequenza che mi sarebbe piaciuto fare, ma i rapporti non c’entrano assolutamente niente».

FORZA DELLA TRANQUILLITA’. A Belfast, Aru è partito come un corridore di belle speranze. Uno dei tanti volti del ciclismo italiano che potevano fare bene. Alla fine si palesa al mondo con una bellissima vittoria di tappa, un Giro corso con coraggio e continuità e un podio che per il ragazzo di Martinelli equivale ad un importante esame di laurea.
«Sono felice. Lo so che dovrei dire qualcosa di più gustoso e interessante ma dico quello che sto provando: sono semplicemente felice per come ho corso. Non vi nascondo che mi piace anche tanto l’affetto della gente, ma dopo Trieste per me si è chiuso un capitolo. Quello che è stato fatto è stato fatto, ora devo solo pensare a riprogrammare il mio futuro».
Il futuro prevede un po’ di riposo, e con ogni probabilità il numero sulla schiena se lo rimetterà ad agosto. Cambi di squadra, mercato? Tutte sciocchezze. Fabio è blindato, fino alla fine del 2016 con prelazione per il 17. È un corridore dell’Astana e come tale resta. Chi lo voleva, doveva prenderselo qualche anno fa. Carpe diem.

di Pier Augusto Stagi, da tuttoBICI di giugno
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#27
Aru: «Giro&Vuelta, che superstagione»
È abituato a guardare avanti, determinato e cocciuto come pochi, ma in questo finale di stagione, in questo ultimo scampolo agonistico, a Fabio Aru piace anche voltarsi a guardare indietro.
«Mi è capitato al Mondiale di Ponferrada: mi giro e vedo il gruppo allungatissimo, che si contorce e si spezza. Per un corridore, sono emozioni forti. È un uno contro uno che esalta le doti di noi atleti. Al Mondiale ero al servizio della causa azzurra. Davide (Cassani, ndr) sapeva di non avere un uomo in grado di risolvere tutto con una bella volata, così abbiamo provato ad anticipare. Io ero una delle pedine per far saltare il banco: è stata una bella esperienza, che rifarei anche domani».

Non è abituato a guardarsi alle spalle, ma a Fabio capita…
«Mi è capitato al Giro, mi è capitato alla Vuelta: mi giro e vedo gente come Contador, Valverde, Rodriguez che perdono contatto. Mi è capitato di vedere Froome che viene su a tutta, e poi mi affianca, frulla a tutta velocità, e io che lo tengo nel mirino e poi lo batto. Poco tempo fa queste immagini facevano parte dei miei sogni e delle mie ambizioni: oggi è tutto vero, e quasi fatico a credere che sia vero. So perfettamente che sono solo all’inizio, il difficile incomincia proprio adesso, ma sarei un bugiardo se non ti dicessi che sono contento per quello che ho fatto, per quello che ho ottenuto in questa stagione che io considero della crescita, ma anche della svolta».

Fabio, sei sempre uno che guarda avanti, ma se ti giri cosa vedi?…
«La vittoria di Montecampione, la prima vittoria da professionista, nella corsa più amata dagli italiani. Il podio del Giro che mi ha proiettato in una nuova dimensione e soprattutto mi ha fatto conoscere a tanti sportivi, non solo italiani. Poi ci sono le due vittorie in Spagna, le prime ottenute all’estero, in una corsa che è stato esame di riparazione per molti big».

Contador e Froome volevano rifarsi dopo la delusione del Tour, stesso discorso per Valverde e Rodriguez…
«Io mi sono buttato in mezzo, e ho lottato come ho potuto con questi grandissimi campioni. Ho imparato tanto da questa esperienza, ho immagazzinato fatica ed esperienze che mi torneranno utili in futuro. Ho corso al fianco del mio idolo, Alberto Contador, che ha confermato di avere una classe immensa».

Santuario de San Miguel de Aralar: tu trovi la gloria, Nairo Quintana, uno dei grandi favoriti, vive il dolore di un’altra caduta che lo costringe al ritiro…
«È sempre brutto quando un campione è costretto ad arrendersi per una caduta. Fa parte del mestiere, ma ognuno di noi spera sempre di lottare con i migliori. Ma la caduta di Nairo sembrava un film già visto. Era la festa nazionale dei francesi: 14 luglio, decima tappa, Alberto Contador finisce a terra in discesa e addio Tour mentre Vincenzo (Nibali, ndr) vola verso La Planche des Belles Filles e va a riprendersi quella maglia gialla…».

Cosa ricordi di quella prima vittoria spagnola?
«L’ordine d’arrivo. L’hai detto tu: sono uno che guarda sempre avanti, ma quel giorno quando mi sono guardato alle spalle per poco non svenivo. Mi sono tenuto l’ordine d’arrivo: Valverde, Rodriguez, Contador, Froome, Uran, Sanchez…».

Maurizio Mazzoleni, il tuo preparatore, che con Paolo Slongo segue da vicino il tuo lavoro e i tuoi allenamenti, ha detto che stavi meglio che al Giro.
«Stavo innegabilmente bene. Tu sai quanto mi sono preparato su al Sestriere per farmi trovare pronto alla Vuelta. Sai anche che sono uno meticoloso, scrupoloso, orgoglioso, che non ama andare alle corse non preparato. Se mi butto in una competizione io voglio sempre dare il massimo. Alla Vuelta ci sono arrivato anche con un chilo in meno rispetto al Giro e Mazzoleni, che si interfacciava giornalmente con Slongo, dopo aver visto alcuni dati mi ha esortato a provarci. Ti ricordi quando ho bucato nella nona tappa? In quel momento ho passato un brutto quarto d’ora. La squadra si è stretta attorno a me e io in quell’inseguimento verso Aramon Valdelinares ho fatto registrare valori di potenza molto importanti sui cinque minuti: 400-410 watt con un rendimento di poco inferiore ai 7 watt al chilo».

Se è per questo in occasione delle due accelerazioni che ti hanno consentito di vincere la tua prima tappa alla Vuelta, Mazzoleni ha detto che gli sono parsi simili a quelli di Montecampione: attorno ai 600-650 watt.
«Questo lo sa lui, i numeri sono lì da vedere. Io posso solo dirti che quel giorno stavo molto bene, come a Montecampione. Il primo attacco, per assaggiare i polpacci degli avversari, ai 1500 metri. Contador, risponde bene. Tiro il fiato, ricarico le pile e dopo 400 metri via nuovamente a tutta: mi vedranno all’arrivo».

Sai che quel giorno, davanti al mondo delle due ruote, tu da semplice promessa del ciclismo mondiale sei a tutti gli effetti entrato a far parte del ristretto gruppo dei big delle corse a tappe?
«Guarda, so che ho fatto qualcosa di importante, ma devo ancora migliorare molto».

Devi migliorare, questo è logico, ma Contador sul tuo conto ha detto cose bellissime. Ha detto che ricordi il Contador giovane, che hai il suo stesso modo di correre e pedalare, soprattutto quando scatti in salita. E che sei coraggioso…
«Lo so, l’ho letto, ma se è per questo, dopo il mio secondo successo di tappa, alla partenza mi ha affiancato e mi ha detto: “Olà, campeon…”. Cose da non credere».

Te lo sei conquistato con il sudore della fronte, non ti ha regalato niente nessuno…
«Questo è vero. Come ti ho detto, dopo il Giro ho lavorato benissimo. Sono stato al Sestriere per un mese e mezzo, ma i risultati si sono visti. Per me era importante misurami in un secondo Grande Giro così ravvicinato. Era la prima volta che lo facevo, non sapevo come avrebbe reagito il mio fisico, non sapevo se sarei stato capace di trovare un altro picco di forma. Bene, ho avuto delle risposte».

Giro o Vuelta?
«Il Giro è il Giro, a livello di percorsi è il più difficile in assoluto. La Vuelta, però, per la partecipazione, per i tanti campioni presenti e la loro voglia di riscattarsi è stata durissima. Battaglia dal primo all’ultimo chilometro, tensione palpabile fin dal mattino. Pensa che Martino (il tecnico Beppe Martinelli, ndr) mi ha detto: “Fabio, il ciclismo non lo fanno i percorsi, ma i corridori e la posta in palio. Hai visto il Giro: salite che fanno paura, ma è una corsa più logica, più naturale. La Vuelta è più ner­vosa e i corridori di rango la rendono più ostica del Giro. Moltiplica per tre: quello sarà il Tour».

Forse c’è da lavorare ancora tanto sulla cronometro…
«A Santa Maria de Veruela i dati hanno detto che sono migliorato rispetto al Giro, ma è altrettanto vero che tra i big sono stato quello che ha forse pagato più di tutti (ha chiuso al 21° posto a 2’03” da Tony Martin e a 1’24” da Contador, ndr). Io sono già uno che non si accontenta mai, ma è anche vero che sono al secondo anno di professionismo e non posso pretendere di essere subito Contador, perché come Al­berto ne nasce uno ogni venti anni».

Il secondo successo, su una montagna galiziana (Monte Castrove), nasce quando al traguardo mancavano 4 chilometri. Un colpo secco, Contador, Valverde e Rodriguez restano lì a guardarsi. Solo Froome trova la forza per ingaggiare un duello con te…
«Anche quel giorno ho goduto da pazzi. Ho vinto battendo i migliori. Ho vinto nonostante loro mi conoscessero e sapessero che forse avrei fatto qualcosa. Ho vinto tenendo testa ad un campione del calibro di Chris Froome. Martino mi aveva detto che se stavo bene dovevo provare a partire ai 4 chilometri. Era il tratto più duro della salita. Visto che stavo bene, ci ho provato con convinzione. Ho pensato di andare al traguardo da solo, ma dall’ammiraglia mi hanno avvertito: attento, guarda che sta arrivando Chris… Allora ho respirato forte, ho recuperato un po’ di forze e ho aspettato il britannico, che mi avrebbe fatto impazzire con le sue frullate. Anche quel giorno mi sono testato: mi sono aggrappato al manubrio e ho solo pensato a spingere il più possibile. E ho atteso la volata…».

Terzo al Giro, quinto alla Vuelta. Le classifiche dicono che sei appena sotto Nibali, il nostro fiore all’occhiello, alla faccia di un ciclismo italiano povero e derelitto…
«La crisi c’è e si vede, ma è a livello di economia, che mette in difficoltà le squadre e le organizzazioni. La scuola è buona, e dietro Vincenzo che è giustamente il nostro punto di riferimento, si stanno facendo largo tanti ragazzi e altri si stanno affacciando. Anche la nazionale di Cassani ne è la riprova: io, Zardini, Colbrelli, Formolo… insomma, qualcosa si muove. Qualcosa c’è».

Torniamo alla tua stagione: se ti avessero detto che sarebbe andata a finire così?...
«Non ci avrei creduto. Certo, ci speravo, ma i sogni e le ambizioni sono una cosa, un’altra è la realtà. Bene, la realtà è stata bellissima».

Tu passi per essere un ragazzo molto pacato, riflessivo, con i piedi ben saldi per terra, che difficilmente si lascia andare a voli pindarici, che si fida e si affida, ma che vuole capire e conoscere…
«Direi che sono davvero così. Io mi fido, ma solo dopo aver capito, discusso e valutato bene ogni cosa. Ho la fortuna di far parte di una grandissima squadra, che si avvale di grandi professionalità. Ma io per carattere sono portato a chiedere, a capire. Con Martino, sotto l’aspetto tattico, mi confronto, chiedo, voglio capire. Alla fine di una corsa raccolgo le mie impressioni e vado ad un confronto, per capire. Ma sono anche convinto che il lavoro di equipe faccia bene a me, che sono giovane e ho tanto da imparare. Lo stesso approccio ce l’ho con Slongo e Mazzoleni. Loro dicono, ma sanno anche ascoltare, perché anch’io so cosa mi fa bene e cosa no. E spesso le esigenze e le valutazioni loro unite alle mie si congiungono in un punto. In occasione di questo secondo grande impegno nei Grandi Giri, ho davvero lavorato con im­pegno e curiosità. Prima del Giro avevo un valore di soglia di 385 watt, prima della Vuelta 390 e poi è salito a 400. Questo è stato possibile grazie ai lavori specifici fatti dietro-moto in salita quest’estate. Così ho aumentato anche il valore fuorisoglia. Ri­spetto a maggio, secondo le valutazioni di Mazzoleni, 10 watt in più. Possono sembrare niente o poca cosa, ma ai nostri livelli siamo come delle F1 e basta davvero un niente per spostare i valori. Dieci watt, su un fisico come il mio che rispetto al Giro pesava un chilo in meno, significano molto».

Fabio, quanti giorni in ritiro hai fatto quest’anno?
«Più di 120 giorni: non sono pochi».

Sarà felice Valentina, la tua ragazza…
«Beh, lei ormai ha capito. Come sai ha imparato anche a fare dietro motori… Ora però non vediamo l’ora di staccare un po’».

Quando?
«Due o tre settimane ai Caraibi: ne abbiamo bisogno. Per un mese non ne voglio sapere di bicicletta».

Senti, abbiamo parlato dei giorni più belli: quelli di San Miguel de Aralar e Monte Castrove. Quando il giorno più brutto o difficile?
«A La Farappona, il tappone dei cinque colli di prima categoria. Quel giorno ho sofferto parecchio e ho dovuto pensare più a difendermi che ad attaccare».

Ti sei accorto che disponi di scatti letali: difficilmente ne fai più di due. E difficilmente, quando scatti, ti vengono a prendere…
«Ho buoni tecnici che mi sanno guidare, che mi spiegano bene le tappe, che mi indicano i punti e io penso di aver sempre avuto questa buona dote…».

Nel menù di una stagione più che positiva, c’è anche un ottima programmazione: non hai corso tantissimo…
«Ma neanche poco. Alla fine della stagione arriverò ad aver accumulato un settantina di corse… Però sì, il segreto è stato anche quello di non strafare».

Vivi in giro per il mondo. Hai in pratica tre case: Villacidro in Sardegna, Ponte San Pietro a Bergamo, e la casa di Valentina a Trana, in val Sangone, il provincia di Torino. Dove ti senti a casa?…
«Dove ci sono i miei libri, le mie biciclette, i miei affetti: dove c’è Valentina…».

Pier Augusto Stagi, da tuttoBICI di ottobre
http://www.tuttobiciweb.it/index.php?pag...&cod=73580
 
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#28
Aru: «Sto già pensando al prossimo Giro...»
In una bella giornata di sole dalla temperatura primaverile, Fabio Aru ha ritirato presso il Convento di Santa Lucia alla Castellina, sui colli fiorentini, l'11a edizione del Premio “Coraggio e Avanti” che ogni anno designa il miglior giovane del ciclismo italiano. Propugnatori del prestigioso riconoscimento sono Giacinto Gelli, i padri Raffaele Duranti e Agostino Gelli unitamente ai componenti della Famiglia del Ciclismo, da sempre ospitati con entusiasmo dai frati carmelitani di questo convento “on bike” che si fregia con orgoglio ormai da parecchi anni del titolo di Centro Spirituale del Ciclismo. Premiati anche gli Juniores Martina Alzini e Edoardo Affini, Davide Martinelli per gli Under 23, Luca Paolini per la categoria Over 30 (premio Edo Gelli) e Paolo Slongo quale Ammiraglio d'Oro su indicazione della Adis-Pro. Tra gli ospiti della festa il CT Davide Cassani, Mario Cipollini, Francesco Moser, Franco Bitossi e numerosi ex-ciclisti praticamente di casa al convento di S.Lucia alla Castellina.
Ma le luci dei riflettori – anche se non ce n'è stato affatto bisogno data la splendida giornata di sole – erano tutte puntate su Fabio Aru, il giovane talento del team Astana accompagnato nell'occasione dal tecnico Giuseppe Martinelli che ha affermato di rivedere nel carattere e nella grinta del promettente ciclista sardo molte delle prerogative appartenute a Marco Pantani. E Aru non si è sottratto alle domande dei media.

Sole ieri e sole per tutto l'anno anche per Fabio Aru?
«E' vero, il 2014 è stato un anno fondamentale per la mia carriera. Ho fatto nuove esperienze, Vuelta e Mondiale, che hanno arricchito parecchio il mio bagaglio tecnico ed umano, ovviamente sono molto contento dei risultati che ho ottenuto, soprattutto alla Vuelta e al Giro».

Con il ritiro a Montecatini Terme dal 24 al 28 novembre inizia il tuo 2015?
«In pratica il mio 2015 è iniziato il... 5 ottobre scorso, quando mi sono piazzato nono al Giro di Lombardia e a fine gara pensavo già al prossimo anno. Ho iniziato subito a pianificare il 2015 e dopo una breve vacanza ho ripreso la preparazione, ormai da una decina di giorni. A Montecatini stileremo i programmi per la prossima stagione».

Sembra che Nibali sia destinato a partecipare al Tour: di conseguenza ti sentiresti pronto a disputare il Giro d'Italia con le responsabilità di capitano del team Astana?
«Decideremo tutto durante il ritiro di Montecatini. Da parte mia le responsabilità non mi spaventano, anzi mi fa piacere averne poiché significa che la squadra crede in me. Il percorso del Giro 2015 mi piace, è duro e il dislivello altimetrico è aumentato rispetto al 2014. La crono di 60 km non mi fa paura e stiamo studiando una preparazione mirata per affrontarla al meglio».

Quali saranno le tappe cruciali del Giro 2015?
«Sicuramente la crono, quelle del Sestriere e del Mortirolo».

Ti sentiresti già pronto ad affrontare il Tour?
«Dopo Giro e Vuelta è un'esperienza che voglio fare. Anche se la corsa francese resta per me un'incognita dal punto di vista tecnico, il suo immenso fascino è innegabile».

E se ti chiedessero di andare al Tour già nel 2015 dopo il Giro, senza assilli e con il compito di dare una mano a Nibali?
«E' una possibilità che dovrebbe essere valutata e programmata accuratamente, forse ne parleremo nei prossimi giorni ma per me non ci sarebbero problemi».

Ti sei diplomato al Liceo Classico, come si possono collegare i tuoi studi al ciclismo?
«Il ciclismo è ricco di storia e tradizione, così come lo sono gli studi classici che ho fatto, quindi il collegamento è forte. Inoltre lo studio abitua a programmare per ottenere dei risultati, proprio come bisogna fare nel ciclismo».

Sei d'accordo con chi ti definisce un passista scalatore?
«Amo la salita ma non mi piacciono le etichette. Per ora mi trovo meglio sulle salite più lunghe, ma sto cercando di progredire anche su quelle brevi. Tuttavia vorrei completare il mio bagaglio tecnico anche nelle altre specialità, per diventare un corridore completo».

C'è una salita che potresti definire come “la salita di Fabio Aru”?
«E' quella di Champdepraz, dove ho vinto il Giro della Valle d'Aosta nel 2011 e dove terminai terzo l'anno dopo. Quella è la salita che prediligo e che forse più si adatta alle mie caratteristiche».

Stefano Fiori per tuttobiciweb.it
 
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#29
Fabio Aru: «Pronto a migliorare e ad aiutare Vincenzo»
Il sardo dal ritiro di Calpe, traccia i suoi programmi

Fino al Giro correrà poco: debutto in marzo, un paio di brevi corse a tappe e la Liegi. Al Giro correrà per vincere: non lo aiuterà la maxi crono di 60 chilometri, lo stimolerà il duello in montagna con Contador. Del suo 2015, Fabio Aru, astro già nato del ciclismo italiano, parla con serenità dal caldo ritiro di Calpe, in Spagna, senza nascondersi le aspettative e senza far promesse: è lo stile di un ragazzo di 24 anni che ha scaldato l’Italia per ciò che ha fatto e per come è fatto. E, soprattutto, per ciò che potrebbe fare.

Aru, cosa ha lasciato nel 2014?
«Una stagione importante, un passo avanti sotto il profilo dell’esperienza»

Tradotto?
«Due grandi corse a tappe non le avevo mai fatte, lottare con i più forti al mondo mi ha dato una consapevolezza diversa. Me la porterò dentro di qui in avanti».

Cosa ha capito?
«Tante cose: da come si fa a dar battaglia ai big alla pressione di correre al vertice, da come ci si comporta nel clima estremo, come la neve e il caldo torrido, a come si gestisce la preparazione per un grande giro».

Dove può arrivare?
«Io do il meglio di me, poi vedo. Mi preme migliorare: che l’ultimo anno sia stato più proficuo di quello precedente è già un risultato importante».

Migliorarsi nel 2015 vuol dire...
«Ve lo dirò nell’intervista che faremo nel gennaio 2016».

L’anno scorso è andato sul podio al Giro e ha battuto i grandi alla Vuelta: la vera impresa l’ha fatta in Spagna, non crede?
«Il Giro, col terzo posto e la vittoria a Montecampione, è stato un grande risultato. Ma la Vuelta aveva il sapore di un banco di prova speciale: si trattava di riconfermarsi, di rifare la preparazione sapendo di aver già fatto bene. Servivano testa e grandi motivazioni. Mi sono allenato tanto, poi in Spagna e ho lottato alla pari con Contador, Rodriguez, Froome: è la cosa che mi ha soddisfatto di più».

Confessi: riguarda mai quelle tappe?
«Ogni tanto sì: mentre corri la Vuelta, non hai il tempo di metabolizzare ciò che fai. Lo faccio per curiosità: la voglia di fare meglio c’è sempre».

Ha fatto vacanza?
«Una decina di giorni, al caldo. Poi subito in bici».

Anche a Natale?
«Specialmente a Natale. Ho passato dodici giorni in Sardegna, mi sono dedicato a famiglia e amici senza mai tralasciare gli allenamenti».

Come ha iniziato l’anno?
«Con un trasloco. Sono andato ad abitare a Lugano, con la mia fidanzata Valentina: i primi giorni sono stati impegnativi».

Avrà un vicino di casa pronto a tirarle il collo in allenamento...
«Già, Vincenzo (Nibali, ndr). Ci sono abituato, da lui si impara sempre».
Dove ha messo le sue bandierine per questa stagione?
«Il Giro è il primo obiettivo. Poi, con la squadra, abbiamo preferito non programmare il resto della stagione: potrebbe essere il Tour come la Vuelta».

Ipotesi: fa centro al Giro e Nibali le chiede di aiutarlo al Tour. Cosa risponderebbe?
«Sarebbe un privilegio e un piacere far parte della squadra che correrà il Tour. Vincenzo si ripresenterà in Francia da numero uno: sarebbe una grossa soddisfazione accompagnarlo. Ma è presto per decidere: ho solo 24 anni, non c’è fretta».

Aru, cosa promette ai tifosi?
«Sapete bene che non prometto mai nulla se non il massimo impegno. Voglio cercare di fare meglio del 2014: se riuscirò a far appassionare al ciclismo qualche persona in più, sarò ancora più contento».

da «Il Resto del Carlino», «La Nazione» e «Il Giorno» del 14 gennaio 2015 a firma Angelo Costa
 
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#30
Fabio Aru: «Ho lavorato tanto, ora non vedo l'ora di cominciare»
Tornato ieri da Tenerife, domenica fa il suo esordio

È tornato a Lugano ieri, dopo quindici giorni di ritiro a Tenerife sul Teide. Fabio Aru scalpita, non vede l’ora di rigettarsi nella mischia, mettersi il numero sulla schiena e ritrovare il gusto agonistico, il piacere della sfida, dopo mesi di ritiri e preparazione.
«È proprio così, non vedo l’ora di riassaporare il gusto della sfida e sono anche curioso di verificare sul campo a che punto sono della preparazione – confida il corridore sardo a tuttobiciweb.it -. In questi mesi ho davvero lavorato tanto, cercando di curare tutti i minimi particolari: dalla preparazione all’alimentazione».

Come è stato il tuo inverno?
«Sereno, pieno di cose da fare e costellato da ritiri in altura. Due ritiri a Calpe: uno a dicembre e l’altro a gennaio. Ora sono di ritorno da Tenerife. Nel complesso è stato un inverno molto positivo, dove mi sembra di aver lavorato molto e bene. Ora però siamo alla prima verifica sul campo».

Con chi eri a Tenerife?
«Con me c’erano sei compagni di squadra. Lars Boom, Diego Rosa, Paolo Tiralongo, Andrey Zeits, Tanel Kangert e Dmitriy Gruzdev».

Dopo la Parigi-Nizza, cosa prevede il tuo menù?
«Dal 23 al 29 Marzo la Vuelta Catalunya. Poi, immediatamente dopo, torno per quindici giorni a Tenerife. Poi il programma prevede Trentino, forse la Liegi e il Giro d’Italia».

Sogni nel cassetto?
«Tantissimi. Ma te lo dico a fine stagione se sono riuscito a realizzarne qualcuno».

Cosa ti renderebbe felice?
«Intanto sono felice, perché ho tutto: un lavoro che mi piace da pazzi, Valentina - la mia ragazza - che adoro. E una famiglia e degli amici che sono il mio approdo naturale. In ogni caso, professionalmente parlando, sarei felice se migliorassi il 2014. Se ci riesco, significa che ho fatto tanta roba».

tuttobiciweb.it
 
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#31
Aru sta meglio e domani sale al Sestriere
Il sardo rifinirà la sua preparazione in altura

Fabio Aru sta meglio ed è pronto a salire al Sestriere per rifinire la preaparazione in vista del Giro d'Italia. Ce lo ha confermato stamane a Malè, alla partenza dell'ultima tappa del Giro del Trentino, il suo allenatore Maurizio Mazzoleni.
Oggi Fabio pedalerà per un paio d'ore sulle strade di casa e domani partirà per il Sestriere dove sarà raggiunto lunedì da Rosa, Cataldo e Tiralongo.
Niente Romandia, quindi, per il sardo della Astana, ma allenamenti più tranquilli su strade che conosce bene, in vista della corsa rosa.

Giulia De Maio per tuttobiciweb.it
 
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#32
ne sarà contento Greg Henderson
 
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#33
Cos'è è successo con Henderson che non ho capito bene?
 
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#34
[Immagine: 1429855196.png]
 
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#35
Aru querelerà Henderson
Il sardo si affida all'avvocato Napoleone

[Immagine: showimg.php?cod=78740&resize=10&tp=n]

In merito alle dichiarazioni apparse in data 23 aprile 2015 sul profilo Twitter di Greg Henderson, Fabio Aru ha conferito l’incarico all’Avvocato Napoleone al fine di adire le vie legali nei confronti del corridore neozelandese per tutelare la propria immagine e la propria rispettabilità.

tuttobiciweb.it
 
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#36
Viva Napoleone! Viva sempre Napoleone! Allons enfants de la patriiiiie poropoppo poporopopoppoppopom! Questo da sordo è diventato sceeeemo! ÈÈ sceeemo sceeemo scèèèè perepeppeppèèèèèè!
(cit.)
 
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#37
Che tristezza Henderson: ha cercato pure di scusarsi dicendo che si era espresso male. Mah. Faceva prima a dar la colpa a qualche scherzo di un amico, come quando lasci aperto facebook e ti ritrovi le peggio cose pubblicate... Asd
 
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#38
Rinnovo di contratto per Fabio Aru con l'Astana: accordo biennale, con scadenza 2017.

La squadra inoltre ha escluso la partecipazione di Aru al Tour, visto che ripeterà l'esperienza dello scorso anno con la Vuelta a fine stagione. Per l'accoppiata Nibali-Aru al Tour se ne riparlerà - forse - nel 2016.

http://astanaproteam.kz/en/page/news/652...-aru-2017/
 
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#39
So che da parte di tutti c'è la voglia di vederlo competitivo alla Vuelta, però io il Tour glielo avrei fatto fare. Il Tour è una corsa diversa dalle altre, difficilmente se non fai esperienza ti presenti là e lo vinci, ad esempio Nibali alla sua età aveva già fatto due Tour...
 
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#40
Aru, presentata la querela contro Greg Henderson
Il neozelandese aveva attaccato il sardo su twitter

Alex Carera e Giuseppe Napoleone, rispettivamente procuratore ed avvocato di Fabio Aru, comunicano di aver depositato presso la competente autorità giudiziaria rituale atto di querela per diffamazione nei confronti di Greg Henderson.
L'iniziativa giudiziaria, condivisa dalla dirigenza societaria del Team Astana, è stata intrapresa per la tutela del buon nome ed onorabilità del ciclista Fabio Aru, nonché della squadra in cui lo stesso milita. Chiaramente, oltre che in sede penale, l'azione giudiziaria sarà promossa anche in sede civile.
Ricordiamo che Henderson aveva pesantemente ironizzato sul malanno fisico che aveva impedito al corridore sardo di disputare il Giro del Trentino, poi si era scusato ed aveva tolto dalla rete il tweet incriminato.

tuttobiciweb.it
 
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