GIORNALISTA MALGIOGLIO
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27-05-2019, 09:48 PM
(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 27-05-2019, 09:48 PM da Luciano Pagliarini.)
Becagli si presentò a quel ritiro di Santa Severa con una vagonata di chili in eccesso. Trattandosi di un velocista che avrebbe dovuto andare forte in avvio di stagione, in squadra scattò l’allarme: il ragazzone si staccava anche sui cavalcavia e per fare la volata alla Firenze-Empoli, mondiale toscano di inizio stagione, occorreva digerire anche delle salite vere.
Era un ritiro insolito. Si erano fuse la squadra toscana con l’ironia di Tortoli e quella bergamasca con i modi rudi di Locatelli. Tortoli faceva battute strette in toscano, Locatelli non capiva e si offendeva, Tortoli rideva ancora più forte.
I pochi corridori con eccesso di peso venivano fatti sedere a un tavolo, gli altri erano accanto. Quando fu evidente che Becagli continuava a mangiare ben più di quanto gli servisse, fu spostato nel girone dei... golosi. Ugualmente, nonostante i tanti chilometri in allenamento e i pasti sotto stretto controllo, il ragazzo non perdeva peso e così i direttori sportivi si convinsero che avesse qualcosa da mangiare in stanza e andarono a controllare.
«Lo vedevano mangiare in abbondanza, troppo per il lavoro che svolgeva. Così, senza tante parole, con l'appetito è aumentata ogni giorno e in modo esponenziale anche la razione di chilometri. E' durata tre giorni, poi il corridore ha capito l'andazzo e si è messo a regime. Infine, quando tutti gli altri sono tornati a casa, a lui è toccata una razione supplementare di ritiro: dopo tanto patire, il secondo posto alla Firenze-Empoli ha messo fine al supplizio e alle cattive abitudini».
Becagli infatti alla fine dimagrì e ottenne qualche buon risultato, ma i tanti chili che perse servirono appena a riportarlo attorno al suo normale peso forma. Non si stava parlando di un atleta in condizione costretto a dimagrire contro la sua natura: si trattava di un corridore che mangiava e continuava a mangiare troppo.
Come disse Ballerini: «Il guaio del Pieri non è che mangia... E’ che rimangia!».
Era giusto in altre parole dire che il corridore non può essere grasso, poi però occorre anche fare dei distinguo. Primo punto da tenere a mente.
«E' giusto che il corridore impari ad avere una disciplina alimentare, ma è sbagliato costringerlo a diete assurde o a saltare i pasti. Eravamo presenti quando a un corridore di nome Becagli, che aveva il difetto di mangiare davvero troppo, venne a sua insaputa prequisita la stanza del ritiro, in cerca di dolciumi».
Mi pare abbastanza chiaro che il fatto di perquisire la sua stanza sia stato indicato come esempio negativo e che quello che in un primo momento era sembrato un fatto isolato, una volta degenerato e divenuto prassi abituale ai danni di altri, sia stato ricondotto in ben altro alveo.
Ma tornando nel merito, puoi essere grasso e voler mangiare come un toro ed è compito del tuo tecnico evitare che tu continui a farlo e spiegarti il perché, poi però sta a te.
Possono costringerti ad allungare l’allenamento o tenerti in ritiro qualche giorno più degli altri, ma quanto può durare questo regime di costrizione? Forse per il tempo del ritiro, forse per il tempo di una stagione (ma è già tropo).
Detto questo, se alla fine non capisci che essere magro è una necessità del tuo mestiere, e qui il doping non c’entra, forse è meglio che cambi strada. E infatti Becagli cambiò squadra e alla fine smise di correre, mentre a Locatelli contestammo più volte che un conto è insegnare a un atleta il perché delle cose che fa e un conto è costringerlo a farle senza dargli gli strumenti per capirne l’utilità. Secondo punto da tenere a mente.
Altra cosa è la storia di un corridore meridionale, fortissimo fra gli juniores e per nulla goloso né grasso (mi ha sempre chiesto di non fare il suo nome, anche se nell’ambiente la storia è nota), che cinque anni dopo quei giorni di Becagli piombò nell’anoressia, spogliato dei suoi muscoli e delle sue certezze a causa di un’estremizzazione di atteggiamenti che un tempo erano appena accennati.
Gli aneddoti, amici, sono diventati prove, ma né la federazione né il Coni ritennero di approfondire.
Atleti pesati due volte al giorno: ossessione. Atleti fatti allenare di pomeriggio sotto l’acqua per altre tre ore solo perché non avevano pulito la bici: altra ossessione. Atleti fatti spiare dalla cuoca del ritiro: malattia. Atleti probabilmente plagiati al punto da farsi la spia l’uno con l’altro: follia. Ma tutto questo venne dopo. Terzo punto da tenere a mente.
Locatelli è uno che ha dei meriti: di ciclismo se ne intendeva più di altri (uso l’imperfetto perché i tempi e le teorie del ciclismo sono cambiate e la sua evoluzione non è andata di pari passo) ed è ancora uno dei pochi che, forse in virtù della sua esperienza, sa programmare bene le stagioni degli atleti.
Questo però non significa che sia un grand’uomo o un personaggio da prendere ad esempio. Forse lo è stato, tecnicamente, all’inizio. Poi probabilmente è stato colto dalla voglia di rimanere primo a tutti i costi, quel senso di onnipotenza che a volte colpisce chi è stato a lungo tanto in alto e crede di essere destinato a rimanerci per sempre.
Dal 1999, circa, dagli anni delle cinque affiliazioni e delle 90 vittorie a stagione, le cose sono precipitate. Sono cambiati gli atteggiamenti nei confronti dei corridori e quelle che prima erano le sue sfuriate variopinte, che si limitavano al lancio della crostata o agli strilli nelle stanze del ritiro, sono diventate imposizioni pesanti, culminate con gli allenamenti notturni a Livigno che, stigmatizzati su Bicisport, portarono anche a un paio di aggressioni verbali verso il sottoscritto (ben prima che venisse arrestato), con tanto di minaccia di querela (chiedere a chi era presente all’arrivo sul Gran San Bernardo al Val d’Aosta del 2001, mi pare, tappa vinta da Pidgorny).
E le cose hanno continuato a cambiare, arrivando all’aggressione e i pugni in corsa al figlio di Gazzoli nelle Marche; l’eccesso di pressione nei confronti dei ragazzi costretti a non mangiare e allenarsi allo sfinimento e tutta una serie di fatti ora documentabili attraverso il racconto degli stessi atleti; gli atteggiamenti inspiegabili di cui può raccontare Marco Saligari nel primo anno di Popovych alla Landbouwkrediet; sino ai fatti che lo portarono agli arresti, ma essendo quella una vicenda ormai prescritta e conclusa, c’è tanto da immaginare e poco da scrivere... Quarto punto.
Non so, forse faccio davvero parte di un sistema. Oppure più semplicemente racconto ciò che vedo con la più grande onestà possibile e poi, laddove mi renda conto di dover cambiare registro, con la stessa onestà provvedo a farlo. Preferisco scrivere che Zanette è morto d’infarto, ben sapendo quel che si dice in giro e che sarà comunque scritto il giorno dopo su altri giornali. Preferisco scrivere che Pantani è stato mandato a casa dal Giro per un controllo lacunoso, invece di scrivere doping.
C’è un cartello nella stanza di Sergio Neri, che recita: Racconta, non fare il furbo.
Bè, liberi di non crederci, ma è la sola regola cui mi sia attenuto fino ad oggi e cui continuerò ad attenermi.
Se qualcuno sa cose e ne ha le prove, alzi pure il telefono oppure scriva: magari si potesse fare di più!
Io so quanto male possa fare un articolo ingiusto. Allora preferisco informarmi, avere le carte in mano e la coscienza a posto. Il giorno in cui dovrò scriverene uno più duro di altri, il soggetto in questione non potrà dire che ci sia stata persecuzione. Meglio partire dai fatti, non dalle voci.
Sul primo Locatelli, quello che ho conosciuto nel 1992, non c’erano voci particolari. Aveva degli eccessi. Se a Bergamo pioveva, li caricava tutti in ammiraglia e li portava ad allenarsi sul Garda. Ha sempre avuto il mito del peso, ma i suoi corridori hanno sempre tenuto crostate, nutella e bibite sul cornicione del Ventolosa di Villa d’Almè: lui lo ha sempre saputo (chiedete a Belli, Bortolami, Fina, Gotti e gli altri), ma finché i ragazzi continuavano ad allenarsi e a vincere aveva poco di cui lamentarsi. E vittorie ne venivano tante: aveva tutti i migliori, era l’unico con i soldi e non aveva problemi a fare mercato.
Quando però le voci su di lui sono aumentate, quando sono calate le vittorie e probabilmente sono aumentate la concorrenza, le pressioni degli sponsor e la necessità di restare in alto, quando alle voci è stato possibile abbinare i fatti, quando cioè gli aneddoti si sono trasformati in prove, i toni di Bicisport sono cambiati.
Non crediate che raccontare il bello o il brutto di Locatelli attiri folle di lettori. A fronte delle migliaia che per fortuna ci comprano ogni mese, quanti sarebbero quelli che lo farebbero solo per leggere il bello o il brutto di Olivano?
Non vale la pena rischiare l’onorabilità e la propria firma facendo simili calcoli, per nessuno.
Della Zalf abbiamo scritto, dei controlli saltati, di strani mal di pancia e cose simili. Ma a parte le voci, la federazione ha archiviato il caso e anche se le risposte ricevute non ci hanno soddisfatto del tutto, non possiamo far altro che continuare ad osservare tenendo tutto a mente.
Non sono il miglior giornalista del mondo e mai lo sarò, spero però di rimanere fra quelli onesti. Questo è quello che dovevo o che sentivo di dovere, continuerò a leggervi, assicurando che a Bs ce la mettiamo tutti davvero tutta per fare ogni volta il massimo. Ognuno con le sue corde e le sue capacità. Non entro nei vostri giudizi, ma ringrazio per le belle parole. Ricordo però che non tutti sono campioni, non tutti vincono, ma magari sanno far vincere. Alle volte è meglio una squadra compatta che ce la mette tutta, di un campione che non si allena e vive di parole. Un abbraccio e buon 2010 a tutti.
Di Enzo Vicennati.