Amministratore
Messaggi: 35.656
Discussioni: 4.188
Like ricevuti: 1.326 in 918 post
Like assegnati: 916
Registrato: Sep 2010
Reputazione:
33
L'intervista: Questo Tricolore è la mia risposta
Pellizotti: «Guardo avanti e non mi piango addosso»
I pronostici della vigilia non l'avevano ignorato, ma Franco Pellizotti al Campionato Italiano di Borgo Valsugana era considerato più un uomo da top 5, se vogliamo da podio; e invece il veneto-friulano del team Androni ha lasciato un'impronta memorabile nella prova trentina, rilanciando la sua carriera che è appena ripartita dopo due anni di stop per valori anomali nel Passaporto Biologico. Magari non lotterà più per vincere un Giro, ma tante soddisfazioni potranno comunque arrivare. Forse non la maglia azzurra, visto che Pellizotti potrebbe restare fuori dalla Nazionale per volontà di Renato Di Rocco, presidente della FCI che non vuol più avere a che fare con corridori che abbiano scontato una pena superiore ai 6 mesi. In ogni caso, non è questo il primo pensiero di un Franco sereno, soddisfatto, che ha trovato nella maglia tricolore conquistata sabato una pietra angolare nel suo percorso umano e sportivo.
Si può dire che sia iniziata una nuova carriera per Franco Pellizotti?
«Nuova carriera, oddio: non è che a 34 anni posso pensare di poter guardare tanto avanti... Più che una nuova carriera, diciamo che riprendo da dove ho lasciato: avevo vinto gare importanti, e ho dimostrato di poter ancora competere in corse di un certo livello».
Ripercorriamo la gara di sabato e partiamo dall'azione del tuo compagno De Marchi: era funzionale alla tua corsa?
«Dalla riunione del mattino con Savio avevamo chiaro che Liquigas e Lampre avrebbero fatto la corsa. Dovevamo riuscire a inserire uno o due uomini nella fuga che certamente sarebbe partita, è riuscito nell'intento De Marchi che già al Giro si è tolto delle belle soddisfazioni, e che va davvero forte. Per cui eravamo ben coperti davanti e abbiamo potuto star tranquilli lasciando alle squadre più forti il compito di tirare. Non ho ben capito come mai la Liquigas a un certo punto abbia iniziato a scattare, con Oss che si è portato via Scarponi. Non so se Michele voleva dare una dimostrazione, o se il suo attacco fosse premeditato. Di sicuro quando ho visto che andava in fuga così da lontano, mi son detto: "Bene, un avversario in meno per il finale". Io da parte mia ho badato a non spendere niente più del necessario, sapevo che, tra condizioni climatiche e durezza del tracciato, sarebbe venuta una corsa allo sfinimento, quindi era fondamentale conservare energie per gli ultimi giri».
Quando hai iniziato a individuare gli avversari più forti?
«Bene o male i favoriti eran quelli, magari mi aspettavo qualcosa in più da Rebellin, mentre delle difficoltà di Pozzovivo mi sono reso conto abbastanza presto: a ogni giro perdeva tanto tempo in discesa, si può dire che si sia stancato più a dover rientrare dopo la picchiata, che in salita».
Rimasto a ruota fino agli ultimi due giri, dalla penultima scalata al Telve ti sei invece mosso.
«Ai -2 Lampre e Liquigas hanno smesso di tirare, e si è iniziati ad andare a scatti. La mia scelta è stata, ancora, di risparmiarmi e di non andare dietro a nessuno: ho pensato "se parte un'altra fuga, beh, pazienza, vuol dire che doveva andare così", ma quando la Liquigas ha ripreso a fare un buon ritmo ho capito che saremmo rientrati su Scarponi, visto che il distacco ha iniziato a scendere. Il primo scatto l'ho fatto solo per portar via un gruppetto che procedesse regolarmente rientrando sul battistrada; all'ultimo giro, invece, son partito subito perché avevo l'urgenza di guadagnare quanto più possibile fino al termine della salita, e se avessi aspettato il chilometro finale per muovermi magari sarei stato ripreso già in discesa».
I prossimi obiettivi della tua stagione?
«Adesso mi son preso un paio di giorni di riposo, ma non per festeggiare: era uno stop previsto dal mio programma stagionale. A luglio, non avendo che un paio di corse a cui partecipare (sarò a Stresa e poi al Matteotti), potrò fare un periodo in altura per preparare al meglio le gare di agosto e settembre: tutte quelle del calendario italiano, dalla Tre Valli in poi, e inoltre la Vuelta a Burgos in Spagna».
La Nazionale (per il Mondiale di Valkenburg) è un sogno proibito?
«Non esistono sogni proibiti. Anche se avessi detto, 10 giorni fa, che sarei andato a vincere il titolo italiano, probabilmente in tanti avrebbero riso. Da parte mia non mi precludo niente, devo solo dimostrare di andar forte. Poi magari qualcuno mi impedirà ugualmente di andare in azzurro, ma da parte mia ci sarà il massimo impegno anche per inseguire quest'obiettivo».
Come ti trovi nell'Androni?
«Molto bene, anche l'avvicinamento al Campionato Italiano è stato preparato molto bene, sentivo intorno la fiducia in me. Essendo una squadra Professional, potrebbe considerare il suo bilancio già in attivo dopo le due vittorie di tappa al Giro, ma il motto di Gianni Savio è che bisogna onorare tutte le corse a cui si partecipa. Magari non vincendo ma andando in fuga, e comunque dare il massimo, per rispetto nei confronti degli sponsor e degli organizzatori».
È stata complicata la ricerca di una squadra? Voci di mercato ti davano vicino alla Lampre, poi è venuta invece la firma con l'Androni.
«Non solo voci, con la Lampre c'era una trattativa avviata, ma poi loro hanno un po' tirato per le lunghe, sicché a un certo punto ci siamo rivolti a Savio. Lui ci ha chiesto due giorni per programmare il budget con gli sponsor, ed effettivamente due giorni dopo mi ha chiamato dicendo che avrei fatto loro comodo, che avevano piacere ad avermi in squadra, ma che essendo un team piccolo "possiamo darti questo". Ho accettato senza indugi, colpito anche dalla professionalità di questa squadra».
Dove li hai trovati gli stimoli per ripartire dopo due anni di stop?
«Ho guardato sempre avanti, allenandomi sempre sorretto dalla passione, dall'amore per questo sport. E nelle giornate negative, nei periodi in cui la bici non volevo manco vederla, la mia famiglia mi è stata vicina, magari facendomi pensare ad altro e dandomi l'occasione di divagarmi un po'».
Ma veniamo alle dolenti note della premiazione di sabato. Il presidente federale Di Rocco non vi ha premiati e non ha stretto la mano né a te né a Di Luca: come giudichi un tale comportamento?
«Se non altro gli va dato atto di essere stato coerente con quanto aveva affermato. Prima di salire sul palco gli son passato davanti e mi è venuto naturale dargli la mano, per una questione di educazione: i miei genitori mi hanno insegnato ad avere sempre rispetto della persona. Per il resto non sta a me giudicare, se ha avuto un certo atteggiamento avrà avuto le sue ragioni, resta sempre il presidente della mia federazione, quella per la quale ho conquistato un Tricolore a cui tengo moltissimo e che cercherò di onorare in ogni gara».
Se anche fossi stato trovato positivo, non avresti il diritto di gareggiare come tutti, una volta scontata la squalifica, senza supplementi di pena arrivati strada facendo?
«Purtroppo in quelli che si son beccati 2 anni di squalifica ci sono anch'io, come altri, quindi cosa volete che dica? È andata così. Un po' come nella vita comune, se uno sbaglia c'è sempre la tendenza a crocifiggere».
Ma il bello è che tu non sei stato mai trovato positivo!
«Eh già, però in questi due anni non ho mai voluto guardarmi indietro, mi sono allenato a testa bassa e sono rientrato in punta di piedi. Poi alla decima gara ho vinto il Campionato Italiano: mi sembra una bella risposta, e non devo dimostrare niente a nessuno».
Ti sei sentito una sorta di "cavia giuridica", per la tua vicenda? Il primo e forse anche l'ultimo corridore ad essere stato squalificato per valori anomali del Passaporto Biologico.
«Infatti non mi pare che ce ne siano stati altri dopo di me... Ma ripeto, non voglio piangermi addosso, quel che è stato è stato. Giusto, sbagliato, non sta a me giudicare, son discorsi troppo grandi e ci sarebbe da parlarne per ore, e magari non ne verremmo comunque a capo».
Al momento della sospensione avevi raggiunto un livello che ti permetteva di lottare per vincere un Giro. È una condizione raggiungibile di nuovo?
«Quando sono stato fermato avevo in effetti raggiunto una maturità psicofisica tale che posso dire che fossi al top della mia carriera, e quell'anno potevo davvero lottare per vincere il Giro. Dopo due anni, e a due mesi dal rientro alle competizioni, sto dimostrando di giocarmela nelle corse di un giorno, anche lunghe e dure come il Campionato Italiano di sabato. Fisicamente e psicologicamente ci sono, però per un grande giro dovrò lavorare duro, perché non so come il mio fisico risponderà alle tre settimane di corsa».
L'altro giorno, dopo la tua vittoria, abbiamo titolato "Pellizotti più forte di tutto": è un'iperbole o una sintesi accettabile?
«Ho fatto vedere a tutti che dopo due anni fermo sono rientrato alle gare non demoralizzato, ma cosciente di cosa potevo ancora fare. Magari se sabato fossi arrivato secondo ora non si parlerebbe tanto di me, da parte mia posso dire di essere felice di come sia andata, soprattutto ripensando ai tanti sacrifici fatti».
Hai sentito la solidarietà dell'ambiente ciclistico, in questi due anni?
«Quando le cose vanno bene tutti ti chiamano e ti cercano, quando vanno male c'è sempre qualcuno che si defila. Quella vicenda mi ha fatto capire quali persone mi stavano vicino perché mi volevano bene e quali invece erano magari più interessate. In fondo è stata un'esperienza positiva per me, mi è servita per capire tante cose da questo punto di vista».
In chiusura una domanda prettamente tecnica: ti rivedremo coi fighissimi baffi che esibivi qualche settimana fa, o in squadra bastano quelli di Gianni Savio?
«Ma no, li avevo lasciati crescere perché non correvo, adesso li ho tagliati... forse mi sentivo un po' scomodo... in ogni caso senza baffi mi sembra di essere più corridore!».
Marco Grassi - cicloweb.it