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Il Galibier e i suoi Angeli
#1
A coloro che osano sui monti
pedalando linguaggi
che riconoscono
nelle fatiche di tutti
i sottili sentieri
che chiamiamo sensazioni
fino a far volare il corpo
sul paesaggio della mente.

Morris


Avevo nove anni, quando il Galibier divenne parte integrante della mia passione ciclistica. Lo conoscevo già da almeno tre, perché il ciclismo era un penate di famiglia e le mie antenne allora sveglie come mai nel resto della mia vita, lo avevano abbinato al percorso dei miei giochi coi coperchini: nella mia terra i famosi e popolari “quarcì”. Era però, una conoscenza generica, al pari di altre montagne, mi mancava quel “di più” che faceva scattare in me la voglia di ricerca, sia a mo’ di asfissianti domande al mio intorno e sia sui giornali o quei libri che non mi erano poi così lontani, nonostante mi trovassi, all’epoca, fra la terza e la quarta elementare.
Il Tour de France “dell’elevazione” fu dunque quello del 1964, ed il commento radiofonico e su carta dell’impresa di Federico Martin detto e conosciuto da tutti come “Bahamontes”, il fattore trasportante, l’alone leggendario che attorniava il Galibier. Una montagna che mi si presentò non normale, una che dovevo mettere sul trono dei miei percorsi per i “quarcì”; una che un bambino come me, doveva iniziare a vivere come religione.
Trentaquattro anni dopo, col ciclismo non più al ruolo di sport principale d’Europa, anche nella sua massima e mondialmente stravista espressione del Tour de France, Marco Pantani, un ragazzo col mio dialetto e che mi era familiare, scolpì su quella montagna il segno della sua storica grandezza, ed il Galibier tornò a ruggire per tutti, come fosse Wembley o il Maracanà. Ma quel ragazzo, l’unico capace di portare al ciclismo folle oceaniche e non prevedibili, fu ammazzato presto, ed anche i templi o i totem della leggenda del pedale, tornarono nei ranghi di un alone, certo sempre grande ed esteso, ma altrettanto sempre interno allo sport della bicicletta. Fama e popolarità sì, ma niente a che vedere con quel patrimonio di tutti che poteva essere.
Resta però un dato su cui ognuno deve e dovrà fare i conti: su quella montagna che per almeno otto mesi l’anno, impedisce o minaccia attraverso la neve siamese, il passaggio sicuro dello strumento spinto a motore umano, si volgono negli altri quattro, migrazioni con numeri da far gridare all’epocale. E non è certo una spinta sciistica a portare lungo traiettorie, pendenze e il fascinoso paesaggio del Galibier, tutte quelle persone d’ogni parte del mondo. Una religione che permane, un segno che impreziosisce ogni profeta, come lo furono coloro che passarono primi, in bicicletta, su quella cima. Veri e propri angeli custodi d’un luogo che anche percorrendolo in automobile, crea fremiti ed incensi. Qualcosa di più di una semplice “suggestione”, come la definiscono coloro che possiedono un cuore di pietra.

[Immagine: 0?width=3072&height=2304&crop=false&q=70]

…Il Col du Galibier
scorre mistico e risuona
quando gli sei lontano,
t’illumina quando sei da lui
senza perdere frammenti
di fascino, sogno e significati,
perché te li incide
senza dirti come ha fatto…

Maurizio Ricci (Morris)

Una storia lunga oltre cento anni………

Una storia che ha un padre preciso, anche se, probabilmente, sarebbe nata lo stesso. Un romanzo, potremmo dire, che riconduce la sua genesi su un personaggio che ha velocizzato il passaggio del velocipede alla bici e che rappresenta una pietra miliare del ciclismo e del suo tempio maggiore, perlomeno per chi, oltre un secolo dopo, si pone di fronte a questo sport, con le valorizzazioni che vogliono i numeri: il Tour de France.
La figura in questione è quella di Henri Desgrange, un francese, parigino per la precisione, tanto geniale quanto intinto di un sottile senso di superiorità, pur non mancando mai di essere prudente. Un campione sulla bicicletta nato anomalo, in quanto divenuto tale non per la ricerca di un riscatto, ma come frutto di una passione che intendeva come un serio fatto di vita e per la vita. Henri aveva un gemello, Roger, che era di lui l’opposto, un pio-prete senza veste talare, ed incapace di rischiare anche il minimo, uno insomma, che appariva destinato all’anonimato più perpetuo. La loro famiglia, non ricchissima, ma sufficientemente agiata per vivere i tratti migliori della borghesia parigina, aveva lasciato ai fratelli la strada per scegliere senza cadere, scottarsi o raggelarsi, e mentre Roger viveva il tutto nella versione più cupa dell’ignavia, Henri rispondeva con l’effervescenza del carattere, come megafono di una grande capacità di osservare e progettare. Studiò e stava divenendo avvocato, ma prima che le leggi, guardava lo spirito che le produceva, nato nell’ogni giorno dalle metamorfosi sociali che la ricerca scientifica e le risposte tecnologiche stavano presentando. Fu assunto in un importante ufficio del suo ramo di studi, ma vi restò poco: c’era qualcosa di meglio da fare. Già, si fece licenziare perché voleva correre su un mezzo che aveva la pretesa di sostituire in tutto il velocipede e divenire a portata di tanti: la bicicletta. Era il 1891, ed Henri, nato a Parigi il 31 gennaio 1865, aveva già 26 anni. Era da tempo che all’attività intellettuale, accostava le gare, soprattutto su una variante agonistica la cui nascita e la cui morte starà all’interno della Belle Èpque: quella dei tricicli. Lì, si era fregiato del titolo di campione, ma non bastava, lui voleva provarsi meglio su quel mezzo che vedeva come epocale e, proprio nel 1891, all’indomani del licenziamento, si iscrisse ad una corsa che voleva diventare famosa (e lo divenne), che partiva da Bordeaux ed arrivava a Parigi, la sua città. Uno sforzo immane per un neofita, ma lui la finì, non fra i primi, ma la finì. Sempre più vicino e scrutatore del nuovo strumento a pedali, divenne così un assiduo praticante di quei velodromi, allora chiamati tondini, che erano il teatro massimo, denso di folle, del nuovo mezzo.
Qui, si scoprì scevro agli scatti, ma in possesso di una progressione da lasciare a bocca aperta l’osservatorio del tempo. Essendo resistente, provò a segnare la sua epoca con un qualcosa che potesse sì inebriare l’attualità, ma che restasse negli anni. Cercò dunque quei record che sono da sempre un modo per creare effetti superiori al traguardo, portandosi presso gli elementi che fanno critica e si leggono naturali alle disamine.
[Immagine: 13622486837490desgrange3.jpeg]
Henri Desgrange tentò, e vi riuscì. L’11 maggio 1893, nella “sua” Parigi, radunò gran pubblico sulla pista in cemento di Buffalo (chiamata così perché sita su una zona che era stata la dimora parigina della troupe di William Cody, alias Buffalo Bill), e lì seppe dare spettacolo, stabilendo i primati mondiali del “Km con partenza da fermo”,  in 1’37”; dei 10 km, in 16’54” e, soprattutto, dell’Ora, percorrendo la distanza di 35325 metri. Due mesi e mezzo più tardi, allungò il suo palmares di record, ai 100 km, percorsi in 4 ore, 4 minuti e 7 secondi. Era nella storia, ma alla storia non vi passerà per questo. Divenuto famoso e affermato, diminuì l’intensità agonistica drasticamente, fino all’abbandono pochi mesi dopo, ma non lasciò lo sport ed il movimento fisico che saranno suoi compagni, sempre. Guardò con occhi ancor più acuti la “Belle Epoque” che gli scorreva davanti, raccolse le idee, l’osservazione e le esperienze, e cominciò a scrivere.
Nel 1894 pubblicò un libro “La tete et les jambes”: un romanzo che rappresentava un inno alla bicicletta e, di fatto, insegnava al lettore anche il mestiere del corridore sul nuovo mezzo, l’unico spinto a motore umano. Cominciò a pubblicare scritti di varia natura con assiduità sui giornali e ad accostare a tutto questo, anche l’organizzazione di eventi. Nel 1897 divenne direttore del Velodromo del Parco dei Principi, l’anno successivo, scrisse un altro libro, dal titolo “Alphonse Marcaux” e, nel 1900, fu chiamato dagli industriali Albert De Dion e Adolphe Clément, a dirigere la loro nuovissima rivista, l’Auto-Velò: un giornale sportivo che aveva la chiara ambizione di scalzare dal ruolo di leader, “Le Velò”, diretto da quel Pierre Giffard che, nel 1891, aveva lanciato la Parigi-Brest-Parigi e che organizzava pure la Bordeaux-Parigi.
Desgrange, lanciò la nuova testata su buoni livelli, e capì che la proposta di eventi ciclistici era determinante per il successo del giornale stesso, come d’altronde insegnava la testata concorrente. Ed in questa direzione si mosse, contribuendo, nel 1903, all’elevazione di quello che sarà un monumento del pedale su pista e di altri sport: il Velodrome d’Iver, sito in via Nelaton, vicino alla Torre Eiffel, a Parigi. Si trattava di un impianto coperto che garantiva attività sportive tutto l’anno. Ma la svolta nella vita di Henri, non fu nemmeno quella. L’anno però, era quello giusto.
[Immagine: Henri_Desgrange_1914.jpg]

All’inizio del 1903, le vendite de l’Auto-Velò raggiungevano le 33000 copie, ma non erano ancora sufficienti per gratificare uno come Henri, in quanto il giornale di Giffard, era diffuso quasi tre volte tanto: 88000. Per battere la concorrenza, Desgrange cercò idee, coinvolgendo gli uomini della testata, ed una sera raccolse l’indicazione del suo capo redattore, Geo Lefevre, ovvero: l’organizzazione più sensazionale, in grado di richiamare interesse e conseguenti vendite, non poteva che partire da una nuova, più completa ed affascinante prova in bicicletta. Più massacrante dei 1200 chilometri della Parigi-Brest-Parigi, più corposa per itinerari, ed in grado di coinvolgere più territori. In altre parole si doveva organizzare il Tour de France sullo strumento chiave della “Belle Èpoque”: la bicicletta.
Henri coinvolse tutto il coinvolgibile, attraverso gli stessi imprenditori proprietari della testata e l’impresa economica, che stava alla base della consorella organizzativa, si compì: il primo Tour, venne alla luce proprio nel 1903 e fu un successo.
La strada era dunque spianata, ma restava intatto il bisogno di arricchire di interessi la morfologia della corsa, per farne compiutamente un evento di livello mondiale. Ed in questa direzione si mosse ancora una volta con grande acume. Dopo aver inserito gradatamente montagne di grandi difficoltà sul percorso del Tour de France, l’astuto Desgrange, si convinse che nulla era impossibile ai corridori ciclisti, anche se aveva dovuto constatare quanto fossero pochissimi coloro che riuscivano a raggiungere le vette, senza scendere dal mezzo a pedali. Ma non poteva fermarsi, di fronte a questi che considerava solo dettagli di resistenza, sul campo di un vincente percorso verso quel colossale, che sapeva colpire la fantasia degli sportivi con un’intensità via via più eccezionale. Le fatiche sempre maggiori mandavano in bestia i corridori, ma lui incassava i loro improperi e arricchiva di premi e danari i frutti delle loro abnegazioni: il Tour de France, stava diventando la corsa più famosa ed importante del mondo, ed era già la più ricca. Negli anni, Desgrange inserì sul tracciato della grande corsa francese, fra le altre cime, le asperità alpine del Col Bayard (1905), la Cote de Laffrey (1905) e, soprattutto, il Col de Porte (1907); indi il Col de la Republique (1903) per quanto riguarda il “Massiccio Centrale”, il Col du Cerdon (1907) della catena del Giura, nonché il celeberrimo Ballon d’Alsace (1905), vetta dei Volgi in Alsazia. La svolta decisamente più montagnosa, con l’edizione del 1910, quando “sposò” quasi per intero le principali vette dei Pirenei, in ordine di percorrenza, il Peyresourde, l’Aspin, ed i difficilissimi Tourmalet e l’Aubisque. Ma serviva ancora qualcosa di grosso e d’impervio, soprattutto fra le Alpi.
Lì c’era una vetta che stuzzicava giorno e notte l’interesse di Desgrange. Quel colle che avrebbe fatto la differenza, arricchendo il Tour di una variabile importante sul complessivo terreno della leggenda da costruire. Qualche anno dopo, “Patron” Henri, rilasciò un’intervista dove dichiarava, a proposito di quei primi Tour de France, ed in particolare per l’edizione del 1910, quella dell’inserimento pirenaico: Quei poveri corridori non avevano tutti i torti di protestare. Ma senza quelle innovazioni rivoluzionarie, il Tour non sarebbe progredito e oggi non sarebbe quello che è. Mi hanno insultato, ma poi furono gli stessi corridori che riconobbero l’utilità di correre sulle grandi montagne per la propaganda dello sport ciclistico e mi resero giustizia, tanto che nessuno fiatò, nel 1911, quando spinsi il Tour sul terribile Galibier, a oltre 2500 metri di altezza”.
Ed eccola qua, la cima-passo che era stata per tanto tempo nelle orbite di Desgrange. S’elevava fra la neve che anche d’estate a quella altezza si poteva trovare, ed era difficile, a tratti superba forse anche troppo per i corridori, ma era quello che Henri cercava: il suo sogno.
[Immagine: 1913--Desgrange-fuma-e-guar.jpg]

Nel 1911 nasceva così il rapporto fra il Col du Galibier e il Tour de France, una leggenda nella leggenda. Su quel passo si elevò, tanti anni dopo, un monumento a Desgrange: fu una scelta giusta, legittima e, sicuramente, tanto apprezzata dal destinatario di quella ermeneutica. Il fondatore del Tour, amava il Galibier, era la sua montagna preferita.     

Il Col du Galibier e il Tour de France

Il Col du Galibier, dunque, arrivò al Tour de France come lo spettro accettato dai corridori e non mancò mai in tutti gli anni di presenza sul tracciato, di lasciare un segno, per la sua imponenza, per le fatiche che richiedeva e per quel fascino particolare che, con lo scorrere dei lustri, non è mai sceso.
Una montagna rispettata, un totem del Tour.
La sua storia nella celebre corsa e nel ciclismo più in generale cominciò, come detto, nel 1911, quando gli allora “pionieri” di questo sport, l’affrontarono con biciclette pesanti 15 chili abbondanti, senza cambio e con un sistema frenante azionato sulla sola ruota anteriore. La carreggiata del passo, non era altri che una mulattiera solo un poco più larga, come si può ben vedere dalla foto precedente, scattata sul Galibier, nell’edizione del 1913.
I primi in assoluto a transitare sulla sua cima furono nell’ordine Emile Georget, Paul Duboc e Gustave Garrigou, che la leggenda vuole come gli unici a non scendere di bicicletta per proseguire a piedi fino alla cima.
Da allora, il Col du Galibier è stato percorso dalle tappe del Tour de France per 62 volte. In 20 occasioni, colui che passò primo sulla sua cima, vinse poi anche la tappa. Potevano essere 63, perché il grande colle alpino, era presente nel tracciato dell’edizione del 1996, ma non fu poi scalato a causa delle condizioni atmosferiche proibitive.
L’unica impresa sulla quale il Galibier ha deciso direttamente le sorti del Tour de France, è stata quella di Marco Pantani, nel 1998. In un giorno da lupi, per il freddo e la pioggia che sui 2400 metri di quota divenne nevischio, a circa cinque chilometri dalla cima, con in fuga un drappello di buoni corridori, il grande campione di Cesenatico, scattò dal gruppo degli uomini di classifica e, per loro, non restò altro che vederlo sparire all’orizzonte. Si visse la leggenda di uno dei più grandi mai saliti su una bicicletta, sulla leggenda del Galibier. Pantani volò sulle pendenze di quella nobiltà, raggiunse e staccò i fuggitivi, li aspettò nella discesa che portava al Lautaret e li staccò nuovamente, con una ascesa portentosa a Les Deux Alpes, dove era posto l’arrivo. Ipotecò il Tour con quello scatto, là dove il Galibier ruggiva la sua mitologia.
L'unica volta in cui il Tour chiuse la tappa direttamente sulla cima del Galibier fu nel 2011, anno del Centenario, nel quale "il Gigante" fu scalato due volte: la prima con conclusione e la seconda con passaggio interno tappa. A passare primo sulla mitica soglia, fu in ambedue le occasioni, il lussemburghese Andy Schleck.
[Immagine: andy-schleck-galibier-tour-de-france-2011.jpeg]
2011 - L'arrivo vittorioso e solitario di Andy Schleck

Maurizio Ricci detto Morris

- continua -
 
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#2
[Immagine: Monument_Henri_Desgrange_1_%28cropped%29.jpg]
Col du Galibier - Monument Henry Desgrange

Date e tappe

Data    Tappa
10-07-1911    Chamonix-Grenoble
08-07-1912    Chamonix-Grenoble
19-07-1913    Grenoble-Genève
16-07-1914    Grenoble-Genève
19-07-1919    Grenoble-Genève
07-07-1920    Grenoble-Gex
18-07-1921    Grenoble-Genève
15-07-1922    Briancon-Genève
14-07-1923    Briancon-Genève
12-07-1924    Briancon–Gex
11-07-1925    Briancon–Evian
14-07-1926    Briancon–Evian
09-07-1927    Briancon–Evian
06-07-1928    Grenoble–Evian  
20-07-1929    Grenoble–Evian  
21-07-1930    Grenoble–Evian  
19-07-1931    Grenoble–Aix les Bains
23-07-1932    Grenoble–Aix les Bains
04-07-1933    Aix les Bains-Grenoble
10-07-1934    Aix les Bains-Grenoble
11-07-1935    Aix les Bains-Grenoble
14-07-1936    Aix les Bains-Grenoble
07-07-1937    Aix les Bains-Grenoble
23-07-1938    Briancon - Aix les Bains
27-07-1939    Briancon–Bonneval sur Arc
03-07-1947    Grenoble-Briancon
16-07-1948    Briancon-Aix-les-Bains
06-07-1952    Le Bourg-d'Oisans-Sestrières
28-07-1954    Briancon-Aix-les-Bains
14-07-1955    Thonon-les-Bains-Briancon
07-07-1957    Thonon-les-Bains-Briancon
14-07-1959    Grenoble-St-Vincent d'Aoste
29-06-1964    Thonon-les-Bains-Briancon
07-07-1966    Le Bourg-d'Oisans-Briancon
10-07-1967    Divonne-les-Bains-Briancon
08-07-1969    Chamonix-Briancon
17-07-1972    Briancon-Valloire
13-07-1973    Moutiers-Les Orres
09-07-1974    Aix-les-Bains Serre-Chevalier
15-07-1979    Les Menuires Alpe d'Huez
14-07-1980    Serre-Chevalier Morzine
17-07-1984    Alpe d'Huez - La Plagne
21-07-1986    Briançon - Alpe d'Huez
22-07-1987    Le Bourg d'Oisans-La Plagne
19-07-1989    Briancon Alpe d'Huez
19-07-1992    Sestrières - Alpe d'Huez
14-07-1993    Villard de Lans-Serre Chevalier
27-07-1998    Grenoble-Les Deux Alpes
13-07-1999    Le Grand-Bornand Sestrières
16-07-2000    Briancon-Courchevel
24-07-2002    Les Deux Alpes-La Plagne
13-07-2003    Sallanches-Alpe d'Huez
13-07-2005    Courchevel-Briançon
19-07-2006    Le Bourg d'Oisans-La Toussuire
17-07-2007    Val d'Isère-Briançon
23-07-2008    Embrun-Alpe d'Huez
21-07-2011   Pinerolo - Galibier/Serre Chevalier
22-07-2011   Modane/Valfrejus - Alpe d'Huez
19-07-2017   La Mure - Serre Chevalier
25-07-2019   Embrun - Valloire
14-07-2022   Briancon - Alpe d'Huez

Anno, primi sul Col du Galibier e vincitori di tappa

Anno    1° in Cima    Vincitore di Tappa
1911    Emile Georget (Fra)    Emile Georget (Fra)
1912    Eugene Christophe (Fra)    Eugene Christophe (Fra)
1913    Marcel Buysse (Bel)    Marcel Buysse (Bel)
1914    Henri Pélissier (Fra)    Gustave Garrigou (Fra)
1919    Honoré Barthélémy (Fra)    Honoré Barthélémy (Fra)
1920    Firmin Lambot (Bel)    Léon Scieur (Bel)
1921    Honoré Barthélémy (Fra)    Félix Goethals (Fra)
1922    Emile Masson (Bel)    Emile Masson (Bel)
1923    Henri Pélissier (Fra)    Henri Pélissier (Fra)
1924    Bartolomeo Aimo (Ita)    Nicolas Frantz (Lux)
1925    Lucien Buysse (Bel)    Hector Martin (Bel)
1926    Omer Huyse (Bel)    Joseph Van Dam (Bel)
1927    Antonin Magne (Fra)    Petrus Verhaegen (Bel)
1928    August Verdyck (Bel)    Julien Moineau (Fra)
1929    Gaston Rebry (Bel)    Julien Vervaecke (Bel)
1930    P.Magne e B.Faure  (Fra)    André Leducq (Fra)
1931    Jef Demuysere (Bel)    Max Bulla (Aut)
1932    Francesco Camusso (Ita)    André Leducq (Fra)
1933    Vicente Trueba (Spa)    Learco Guerra (Ita)
1934    Federico Ezquerra (Spa)    René Vietto (Fra)
1935    Gaby Ruozzi (Fra)    Francesco Camusso (Ita)
1936    Federico Ezquerra (Spa)    Theo Middelkamp (Hol)
1937    Gino Bartali (Ita)    Gino Bartali (Ita)
1938    Mario Vicini (Ita)    Marcel Kint (Bel)
1939    Dante Gianello (Fra)    Pierre Jaminet (Fra)
1947    Fermo Camellini (Fra)    Fermo Camellini (Fra)
1948    Lucien Teisseire (Fra)    Gino Bartali (Ita)
1952    Fausto Coppi (Ita)    Fausto Coppi (Ita)
1954    Federico Bahamontes Spa)    Jean Dotto (Fra)
1955    Charly Gaul (Lux)    Charly Gaul (Lux)
1957    Marcel Janssens (Bel)    Gastone Nencini (Ita)
1959    Charly Gaul (Lux)    Ercole Baldini (Ita)
1964    Federico Bahamontes Spa)    Federico Bahamontes (Spa)
1966    Julio Jimenez (Spa)    Julio Jimenez (Spa)
1967    Julio Jimenez (Spa)    Felice Gimondi (Ita)
1969    Eddy Merckx (Bel)    Herman Van Springel (Bel)
1972    Joop Zoetemelk (Hol)    Eddy Merckx (Bel)
1973    Luis Ocana (Spa)    Luis Ocana (Spa)
1974    Vicente Lopez Carril (Spa)    Vicente Lopez Carril (Spa)
1979    Lucien Van Impe (Bel)    Joaquim Agostinho (Por)
1980    Johan De Muynck (Bel)    Mariano Martinez (Fra)
1984    Francisco Rodriguez (Col)    Laurent Fignon (Fra)
1986    Luis Herrera (Col)    Bernard Hinault (Fra)
1987    Pedro Munoz (Spa)    Laurent Fignon (Fra)
1989    Gert-Jan Theunisse (Hol)    Gert-Jan Theunisse (Hol)
1992    Franco Chioccioli (Ita)    Andrei Hampsten (Usa)
1993    Tony Rominger (Sui)    Tony Rominger (Sui)
1998    Marco Pantani (Ita)    Marco Pantani (Ita)
1999    José Luis Arrieta (Spa)    Lance Armstrong (Usa)
2000    Pascal Hervé (Fra)    Marco Pantani (Ita)
2002    Santiago Botero (Col)    Michael Boogerd (Hol)
2003    Stefano Garzelli (Ita)    Iban Mayo (Spa)
2005    Alexandre Vinokourov (Kaz)    Alexandre Vinokourov (Kaz)
2006    Michael Rasmussen (Den)    Michael Rasmussen (Den)
2007    Mauricio Soler (Col)    Mauricio Soler (Col)
2008    Stefan Schumacher (Ger)    Carlos Sastre (Spa)
2011    Andy Schleck (Lux)  Andy Schleck (Lux)
2011    Andy Schleck (Lux)  Pierre Rolland (Fra)
2017    Primoz Roglic (Slo)  Primoz Roglic (Slo)
2019    Nairo Quintana (Col) Nairo Quintana (Col)
2022    Warren Barguil (Fra)  Tom Pidcock (Gbr)

[Immagine: tn_DSC08031.JPG]


Geografia e versanti del Galibier

[Immagine: DSCN9708.jpg]
Il passo alpino (2645 metri d’altitudine), sicuramente più intinto di mi-to, collega la valle dell'Arc, denominata Maurienne, in Savoia, con il Col du Lautaret (2058 metri s.l.m.), ovvero il punto che è da considerarsi lo spartiacque tra il bacino della Durance, con la zona di Briançon e la valle della Romanche, che conduce a Grenoble. La ci-ma del Galibier, fa spesso di questa montagna la alta del Tour de France. L’alone di notorietà che la grande corsa francese ha donato al colle, porta in estate, quando è aperto al transito, un numero elevatissimo di turisti in bicicletta: senza esagerazione alcuna, circa mezzo milione di pedalatori. L’intorno, e specificatamente nella parte meridionale del Galibier, esattamente il Rifugio del Lautaret, rappresenta il locale più frequentato al mondo, da parte di cicloturisti. In altre parole, ci troviamo sul cuore della fame di fascino da bicicletta e non c’è versante del colle, che non abbia mai spinto un amante del pedale pedalato, o un semplice appassionato in automobile, a percorrerlo, ammirarlo, potremmo dire addirittura respirarlo, con incanto davvero particolare, unico. 

Planimetria della zona del Galibier

[Immagine: Mizoen_Galibier_mapa.jpg]

I versanti


Nord - Un percorso a due fasi
L’ascesa completa del versante nord comincia da Saint Michel de Maurienne (710 metri s.l.m.), nell’omonima valle, esattamente in lo-calità Chatelard e include il Col du Telegraphe. Il tratto misura in tutto 34,8 km, compresa la discesa, poco meno di 4,9 chilometri, che dalla cima del Telegraphe porta fino a Valloire, dove inizia l’asperità vera e propria del Galibier. Sempre tenendo conto del tratto discen-dente, il dislivello che i percorrenti devono superare, è di 2.120 me-tri, per una pendenza media del 6,1%. Ovviamente, su quest’ultimo dato, incide non poco il segmento in discesa.

L’altimetria da Chatelard: 
[Immagine: col-du-galibier-bici-altimetria.jpg]

Considerazioni ed analisi.
Superato il centro di Saint Michel de Maurienne, si incontra un tratto di circa 500 metri piuttosto facile, ma poi col sopraggiungere della strada del Col de Telegraphe, le pendenze divengono impegnative, collocandosi costantemente fra l’8 e 8,6%. Ad un cicloamatore che legge, l’indicazione è quella di non forzare e di “salvare la gamba”, salendo con agilità non eccessiva e mantenendo la piena consapevolezza di possedere margini di riserva. A circa 3 km dall’ideale inizio, nei pressi della frazione di Les Seigneurs, le pendenze del Telegraphe, scendono di un punto, ma rimangono pur sempre sopra il 7%, ed il consiglio è quello di continuare l’atteggiamento precedente, senza azionare rapporti più impegnativi. Anche perché la media du-rezza del passo proseguirà fino all’ottavo chilometro. Qui, la serie di tornanti che precedono il bivio per Valmeinier, offrono la possibilità di respirare, in quanto per circa 1500 metri le pendenze scendono al 5,6%. Sui 10 chilometri d’ascesa, la strada riprende a salire in maniera progressiva, raggiungendo punte poco inferiori al 10%, proprio in prossimità della cima posta a quota 1556 metri. Insomma, il Telegraphe, è un bel gregario del Galibier, visto che nei suoi 12 km, con-tiene una pendenza media sul 7% abbondante.  Superato l’antipasto, la discesa che porta a Valloire (1430 metri), si presenta ombreggiata e con pendenze dapprima molto modeste e, solo nel finale, più sensibili (la media è il 3,4%). Valloire, è un grazioso centro turistico, con vistose linee barocche e con una stazione sciistica tra le più importanti d’Europa, ma è soprattutto….il Municipio del Galibier.

L’altimetria del Galibier da Valloire
[Immagine: profil-galibier-valloire.jpg]
Si esce dal paesino di Valloire, e qui inizia la vera e propria scalata al “Gigante” Galibier. Il lettore cicloamatore non deve dimenticare che ha alle spalle i 12 chilometri del Telegraphe. Soprattutto non deve farlo nei primi 5 chilometri, che si consumano sull’alternanza di strappi non mai inferiori all’8% e falsopiani che vanno dal 2,4 al 4,6% e dove può essere portato a buttar giù un paio di denti. Dal quinto al nono chilometro, il Galibier diviene regolare, fra il 7 e l’8% di pendenza e qui, chi lo percorre, è spinto a pensare che sia una salita più abbordabile di tante, ma non è così, anche perché si stan-no raggiungendo i 2000 metri di quota, che sono sempre una linea di demarcazione importante, dove anche le pendenze moderate divengono pesanti. Anche se poco trattato, infatti, l’argomento pendenze-altitudine, nella storia del ciclismo ha lasciato segni evidenti soprattutto in chi, passista, si era “adattato” a scalatore. In vista di Plan Lachat (quota 1961), si incontra l’ultimo tratto dolce, lungo poco meno di 1 km, dove le pendenze diminuiscono fino al 4,6%, ma gli ultimi 8300 m. sono davvero impegnativi ed i 1000 finali possono essere un calvario. Lì, con la stanchezza alle stelle per i tanti chilometri d’ascesa, si rischia di appannare fino alla non comprensione, la stupenda visione della sommità del Gigante e la stessa impressionante sequenza di tornanti che si arrampicano sulla montagna. A poco più di 2300 metri d’altitudine in Les Granges du Galibier, ed a circa 4 km dalla vetta, sulla destra della carreggiata grazie al cheraschese Sergio Piumetto, fu posta l’11 giugno 2011 la Stele dedicata a Marco Pantani e qui sempre grazie all’istrionico piemontese, ormai francese d’adozione, si concluse la 15esima tappa del Giro d’Italia 2013, nell’unica volta che la “Corsa Rosa” affrontò il Galibier, vinta da Giovanni Visconti.   Ad un chilometro dalla cima del Gigante, s’incontra il tunnel che porta direttamente dall’altra parte, verso il Col du Lautaret, evitando di affrontare l’ultima rampa. Quel traforo, è parte integrante della storia del Galibier: era l'unico punto di “passaggio alto”, ad un'altitudine di 2556 metri prima del 1976. Da quell’anno è stato chiuso per restauro fino al 2002 e, nel frattempo, s’è costruita la nuova strada che passa sopra e raggiunge la quota di 2645 metri, ovvero il teatro delle ultime aspre fatiche di chi, corridore o cicloturista, oggi scala il Galibier.
Il tunnel è stato riaperto ad una sola corsia, controllata da semafori che, vista l’altezza, sono tra i più elevati d’Europa. Per le biciclette da corsa è impossibile il transito, mentre è possibile per quelle da passeggio, dotate di luci. La strada però, che interessa l’agonismo ed il mito del Galibier, è quella che passa sopra, concedendo alla fatica di chi la percorre, l’ultima terribile impennata, con tre tornanti ravvicinati e assai ripidi. Le pendenze, qui, stanno sopra il 10%. Poi, finalmente, dopo l’ultimo ricciolo all’insù, si può vedere l’agognato cartello del passo, e si giunge a toccare la gobba rocciosa del Gigante. Che scende subito imponente, verso il Col de Lautaret.

Maurizio Ricci detto Morris

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#3
[Immagine: 0?width=3072&height=2304&crop=false&q=70]In località Les Granges du Galibier, non distante da un punto vendita di formaggio locale, nel 2011 su iniziativa dell'italiano i Sergio Piumetto "Pantani Forever", il Comune di Valloire ha eretto una stele per ricordare il punto in cui Marco Pantani attaccò nella celeberrima quindicesima tappa del Tour de France 1998.

Sud – Una spinta che si volge al maestoso

Il versante meridionale del Galibier è da considerarsi meno nobile per quanto riguarda le difficoltà dell’ascesa, ed il tratto storico recitato nel Tour de France, ma non lo è per la sua percorrenza (in salita, non solo per la discesa dall’altro versante), sul richiamo quotidiano per centinaia di migliaia di cicloturisti e per altri aspetti culturali e di costume. Deve essere fatta poi una precisazione circa quello che abbiamo definito come “antipasto”: se per il versante nord questo si chiama Col di Telegraphe, che è una salita comunque impegnativa ed essa stessa in grado di fare selezione agonistica; a sud l’impegno del Galibier ha genesi su quella che, chi scrive, ha definito la prima volta che vi è giunto, come il “Biciporto d’altura”, ovvero il Col de Lautaret (2058 s.l.m). Questo colle è un crocevia che si raggiunge con grande facilità per un cicloturista normale e senza cospicui affanni per uno abbastanza improvvisato.
Ciò avviene, in particolare per chi raggiunge il Lautaret da Briancon (la capitale alpina del ciclismo), un po’ meno per chi proviene da Les Clapiers. Insomma, il Lautaret è da considerarsi un “dolce 2000”, sopraggiunto attraverso carreggiate che sono, specie da Briancon, delle autostrade, anche se molto trafficate da auto e camper. E poi si incontrano talmente tanti pedalatori da intenerire, con la compagnia, anche le poche difficoltà. Come detto, un “Biciporto d’altura”, che si volge come nessuno al fascino e alla linfa di quel ciclismo che, nella zona, di può nutrire di un paradiso ambientale e botanico in particolare. Ecco perché il Lautaret, a differenza del Telegraphe, non è un antipasto del Galibier, ma una nutrice premurosa e sublime.
D’altronde la sua stessa formazione rappresenta un esempio stupendo, nell’ambito dei nostri studi, della spesso dimenticata evoluzione geologica. Le pendenze così smussate del Lautaret, infatti, sono figlie dell’azione modellante di un ghiacciaio su entrambe le valli d’accesso, la Romanche e la Guidane. Ma c’è un altro aspetto che rende il luogo particolarmente interessante e non solo per il paesaggio dominato dall’incanto della visione de La Meije a sud ovest e del Grand Galibier a nord. Il Lautaret, infatti, è da sempre un esem-pio di eccezionale ricchezza biologica, sia di flora che di fauna. E qui, circa un secolo fa, l’Università di Grenoble ha creato un Giardino Botanico, tra i più importanti del mondo, per comprendere la sorprendente diversità della flora alpina, nell'insieme di tutte le alte montagne del pianeta.

L’altimetria dal Col du Lautaret:



[Immagine: 008941.gif]
Considerazioni ed analisi.

Da sud, la salita inizia a 2058 metri d’altitudine, ed è lunga 8,5 km, con una pendenza media del 6,9% (dislivello: 585 metri) con una massima di 12,1% alla cima. Il vertice originale era a 2556 metri, ma, come già detto, la chiusura del tunnel nel 1976, ha dato vita ad un percorso nuovo, passante sopra il traforo e decisamente più vicino alla vetta massima possibile, con l’asfalto del passo a 2645 metri sul livello del mare.  
L’ascesa del Galibier, dal Lautaret, è molto costante fino a 1200 me-tri dal culmine. Per un cicloturista che legge, se è di buona caratura, questo tratto lungo circa 7,3 km, può essere affrontato interamente con un 39 x 19, senza andare in affanno, cercando di assorbire le non marcate variabili di pendenza, modificando un poco il numero di pedalate. In altre parole, si deve pedalare a sensazioni, prima di genuflettersi a quegli strumenti che sono patrimonio anch’esso esagerato dei ciclisti veri di oggi. La salita, come detto, è molto costante e di rara bellezza per i panorami che circondano la fatica. Nei primi due chilometri ci si trova di fronte la mole imponente del massiccio della Meije, con i suoi ghiacciai, quindi si proseguirà su un susseguirsi di verdissimi pascoli, per entrare poi su un “vallone selvaggio” che conduce alla vetta del Galibier da questo versante. Le pendenze continuano a mantenersi costanti fino a quando non si vedrà in lontananza l’imbocco del tunnel per Valloire e Saint Michel de Maurienne e dove, poco prima, svetta a bordo strada, sulla sinistra, il Monumento a Henri Desgrange, fondatore e primo patron del Tour de France.
Trattasi di un semplice ma imponente cilindro di pietra chiara con l'iscrizione commemorativa. Fu inaugurato il 19 luglio 1949. Da quel giorno ogni volta che il Tour attraversa il Galibier, una corona di fiori viene posta sul monumento e chi passa primo sulla montagna più alta della corsa, spesso proprio il Galibier, riceve il “Souvenir Henri Desgrange”.
Poco più avanti, immediatamente prima del tunnel, si incontra l'ampio parcheggio che circonda lo “Chalets du Galibier” (2656 metri di altitudine). È l’ideale locale che funge da bar-ristorante o fulcro di ritrovo, per molti amanti del ciclismo e non solo.
A quel punto, a circa un chilometro dalla vetta, la salita, dovendo scartare il traforo, arriva alla sua massima pendenza: non mai inferiore al 10% e con l’ultimo tratto al 12%. Ed anche da questo versante, si ha la prova di quanto il Galibier sia “colle”: si giunge alla cima con la pendenza massima e si passa alla discesa al 10%, senza falsopiano, spiazzi o avvallamento.

Maurizio Ricci detto Morris

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#4
Gli Angeli del Galibier

Ogni tempio ha i suoi profeti, i suoi angeli custodi. E se il Galibier è un monumento del ciclismo, chi è passato per primo sulla sua cima, è un suo angelo. Dirlo, potrà sembrare a qualcuno un eccesso di enfasi, ma quando a monte insiste quella passione che si sublima col rispetto ed i significati che in questo sport portano la nobile lezione della fatica, si cade in una forma di suggestione che risponde ad un nome-verbo: Dovere. Angeli dunque, con le loro storie, ed i loro valori di singoli, ma tutti in grado di poter dire di aver compiuto un qual-cosa che non si deve dimenticare quando si fanno disamine.
Corridori, campioni grandissimi, o solo ottimi atleti, che hanno unito i loro tratti a questo colle che continuerà a tracciare pagine importanti, anche nel romanzo assai meno nobile che il ciclismo, da tempo or-mai, intende scrivere. Ma la colpa di tutto questo, nelle entità maggiori, non sta in chi spinge i pedali, bensì in chi lo dirige, lo volge e lo incrina, con le proprie miopie.
Cento anni di passaggi, cinquantasei direttamente, sanno fare statistica, evidenziano delle linee e si portano alle attenzioni, pure delle scoperte. Succintamente, perché non è scopo di questo testo, così proiettato a far conoscere i protagonisti angeli sullo sfondo del tempio del Galibier, possiamo dire che tanti dei corridori che han fatto la storia delle corse a tappe, han avuto modo di evidenziarsi su questa cima. Certo, mancano corridori di gran peso, ma ci sta, perché non è una montagna, per quanto mitica, a fare da traguardo di carriera. E poi, va pure detto che, a volte, la collocazione di una asperità, nell’ambito di una tappa, ne può smussare i significati ed i richiami. Ad esempio, quando la si propone nelle fasi iniziali, aspetto che, nel ciclismo moderno, è decisivo per l’insorgere dell’insignificanza, in maniera enormemente più tangibile rispetto ad un tempo.
Ciononostante, una sottile tendenza emerge, al punto di non rendere integerrimo al frutto del caso, certe mancanze nell’albo d’oro del “Gigante”. Ed allora, chi scrive, non si stupisce se mancano da questo albo d’oro così particolare, Jacques Anquetil, Bernard Hinault, Miguel Indurain e Lance Armstrong, per gli eufemistici ingenui che credono al romanzo del figlio d’oltre oceano dell’UCI. Analizzando bene, tanto le loro caratteristiche, quanto le loro condotte, i loro difetti, perché anche i campioni li hanno, le entità, lo spessore e le età degli avversari che si sono frapposti sul loro percorso, nonché le linee comportamentali tipiche delle epoche nelle quali hanno corso, emergono alle disamine delle tendenze, soprattutto quando si parla di cime marcatamente superiori ai 2000 metri. Là, dove l’aria è più rarefatta e dove anche le pendenze più dolci, possiedono il loro campionario di pericolosità. Insomma, abbastanza per ribadire l’amore che coinvolge chi scrive nel cercare il cosiddetto pelo nell’uovo, sempre. Nonché per ribadire a se stesso, che il più forte dei citati, relativamente alle corse a tappe, come ha sempre pensato, fosse Jacques Anquetil, ed il più debole, nettamente, ma non sarà mai una novità, Lance Armstrong. Gli albi d’oro sono una cosa, la conoscenza e la storia un’altra. E la grandezza di un ciclista, come quella di qualsivoglia sportivo, non si misura con le conte: si vive come fossimo di fronte ad un’opera d’arte. Semplicemente perché lo sport, appartiene al mondo dell’arte.
Ma oltre un secolo di Galibier, ci consente pure di formulare statistiche anche meno spiegabili e, per tanti aspetti, incredibili. Ad esempio, è difficile credere e concepire come un simile mito, sia stato solo una volta, in 62 occasioni di percorrenza, il teatro decisivo per la vittoria finale di un Tour (Pantani ’98). È disarmante, anche il dato che solo 5 corridori che hanno superato in testa il Galibier, siano poi giunti, pochi giorni dopo, in maglia gialla a Parigi. Assai più ragionevole e sincronico al mitico colle, il dato che siano stati 16 gli angeli d’annata, a finire sul podio parigino. Nella norma, invece, la dozzina che ha poi vinto, in quell’anno, la classifica del Gran Premio della Montagna. Dati, insomma, che continueranno ad impegnarci nell’analisi, la cui fotografia da tema, vado schematicamente a riportare.

I primi sul Galibier, che hanno poi vinto il Tour:
Henri Pelissier (1923), Fausto Coppi (1952), Eddy Merckx (1969), Luis Ocana (1973), Marco Pantani (1998).

I primi, giunti sul podio a Parigi (oltre ai 5 che han vinto):
Emile Georget (3° nel 1911), Eugene Christophe (2° nel 1912), Marcel Buysse (3° nel 1913), Henri Pelissier (2° nel 1914), Firmin Lambot (3° nel 1920), Honorè Barthelemy (3° nel 1921), Lucien Buysse (2° nel 1925), Jeff Demuysere (2° nel 1931), Francesco Camusso (3° nel 1932), Charly Gaul (3° nel 1955), Marcel Janssens (2° nel 1957), Federico Bahamontes (3° nel 1964), Julio Jimenez (2° nel 1967), Vicente Lopez Carril (3° nel 1974), Tony Rominger (2° nel 1993), Andy Schlech (2° nel 2011).

I primi che hanno poi vinto la classifica degli scalatori:
Vicente Trueba (1933), Fausto Coppi (1952), Federico Bahamontes (1954 e 1964), Charly Gaul (1955), Julio Jimenez (1966 e 1967), Eddy Merckx (1969), Gert Jan Theunisse (1989), Tony Rominger (1993), Michael Rasmussen (2006), Mauricio Soler (2007).

Breve storia delle imprese dei 5 Angeli che, al passaggio in testa sul Galibier, hanno poi aggiunto la vittoria al Tour.

Henri Pelissier
[Immagine: 1261473519PELISSIERHENRI.jpg]
Nel 1923, correva in maglia gialla il giorno della Briancon-Ginevra. L’aveva conquistata con un’impresa davvero da “forzati della strada” nella tappa precedente (due giorni prima in realtà, in quanto nella sua epopea, le tappe del Tour si correvano a giorni alterni), quando giunse a Briancon, dopo aver scalato solitario l’Allos e l’Izoard, con un vantaggio sul detentore della maglia gialla Jean Alavoine, di 26’58”. Nella tappa del Galibier, percorso quel giorno da sud, se ne andò assieme al fratello Francis, ed i due dopo aver scalato insieme anche l’Aravis, giunsero a Ginevra nell’ordine, con un vantaggio di oltre 8 minuti sul connazionale Romain Bellenger, ed oltre 13, sullo sconosciuto italiano Ottavio Bottecchia. Costui, quella sera, come a fine Tour del resto, pur con una mezzora di ritardo da Pelissier, si collocò al posto d’onore in classifica.  

Fausto Coppi
[Immagine: 214px-Fausto_Coppi%2C_Tour_de_France_195...ped%29.jpg]
Anche Fausto, nel 1952, correva con la maglia gialla, conquistata il giorno prima sulla Alpe d’Huez. Il sempre acuto, sincero ed esplicito Raphael Geminiani, disse: “Fausto all’Alpe ha già vinto  il Tour e l’ha vinto con una gamba sola”. L’Airone però, non poteva vivere sugli allori o controllando, non era nel suo stile.
L’occasione della Le Bourg d'Oisans–Sestriere era ghiotta. Si arrivava in Italia e c’erano quattro grandi colli da scalare: la Croix de Fer, il Galibier, il Monginevro e il Sestriere. Ricordava troppo la Cuneo Pinerolo del 1949. Sulla Croce, assaggiò la fuga per conquistare i 40 secondi di abbuono e vi riuscì così bene da impiegare tutta la discesa per decidere se continuare o meno. Nel frattempo, con tutta calma si rifocillò e, senza forzare il tentativo, si lasciò riprendere poco prima del Col del Telegraphe. Stava risparmiandosi. Sul “Telegrafo”, attaccò il ventenne francese Jean Le Guilly che riuscì a passare solo sull’ascesa anticamera del Galibier. Ma sulle prime rampe del mitico colle, Coppi, lasciò il drappello inseguitore che comprendeva pure Bartali, col quale s’era scambiato la famosa borraccia che diede eterna notorietà al fotografo Carlo Martini dell’Omega Foto-cronache (foto sotto) e si lanciò all’inseguimento del giovanissimo alfiere di casa. 
[Immagine: coppi-bartali.jpg]
A poco più di metà salita l’Airone raggiunse e staccò il francese. In vetta al Galibier passò solo con un vantaggio di 2’35” sullo spagnolo Ruiz, che aveva scavalcato di qualche secondo, a causa di una foratura, il meritevole transalpino. A 4’35” Bartali e Ockers. Stavolta Coppi decise di proseguire.
Incrementò il vantaggio sul Monginevro e giunse a Sestriere, nel tripudio di una folla che lo voleva a tutti i costi toccare, con 7’09 su Riuz, 9’33” su Ockers, 9’56” su Le Guilly e 10’09” su Bartali. L’Airone aveva compiuto una delle sue imprese più belle del suo vasto campionario, ed aveva ipotecato il suo secondo Tour e la seconda doppietta col Giro. Non a caso era il Campionissimo.

Maurizio Ricci detto Morris

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#5
[Immagine: Scannen0035.jpg]
Pure Eddy Merckx, nel 1969, corse la tappa Chamonix-Briancon, che comprendeva il Galibier, in maglia gialla. Nel suo Tour de France più trionfale, ed uno dei più dominati della storia, Eddy, passò primo sul leggendario colle, ma non vinse la tappa. Sul Telegraphe si involò lo spagnolo Jaquim Galera, a caccia di punti utili per la classifica dei GPM, ma lo scalatore ispanico s’arenò a Valloire, ed il Galibier fu per lui atroce. Se non sprofondò, fu solo perché, in fondo, era più forte di ciò che ha detto il suo palmares. Sulla grande montagna, si formò al comando un drappello composto da Merckx che, come detto passò primo sulla vetta, indi da Felice Gimondi, Herman Van Springel, Andres Gandarias, Marinus Wagtmans, Roger Pingeon, Raymond Poulidor e Pierfranco Vianelli. Nella discesa sul Lautaret, si consumò il colpo di mano di Van Springel, che andò a vincere solitario, con 2’01” su Merckx, che regolò gli inseguitori. In sostanza, nel giorno del suo passaggio in testa sul mitico Galibier, si osservò una rarità di quel Tour (e non solo, a ben vedere): un Eddy Merckx tranquillo e, paradossalmente, calcolatore.


[Immagine: images?q=tbn:ANd9GcQhLvFlr2XnXZXxsQiJmL7...w&usqp=CAU]
Luis Ocana, nel 1973, partì per il tappone, Moutiers-Les Orres, con la maglia gialla addosso, ed un bel vantaggio sui più temuti avversari. Soprattutto sul connazionale Josè Manuel Fuente, deciso più che mai a rendergli la vita dura in montagna. La tappa prevedeva le scalate della Madeleine, del Telegraphe, del Galibier, dell’Izoard e la rampa finale d’arrivo a Les Orres. La corsa s’infiammò sul Telegraphe, con un primo attacco di Fuente, alla cui ruota rispose inizialmente solo Ocana. A Valloire, al comando erano in sette: Fuente, Ocana, Thevenet, Zoetemelk, Ovion, Pedro Torres e Lopez Carril. Il Galibier si mostrò teatro di sconvolgimenti.
[Immagine: 23380462612_2931190315_b.jpg?resize=1019%2C1122]
Ocana, decise di far vedere che era il più forte in tutto e non solo rispose a Fuente, ma lo anticipò di 5” sulla cima, mentre dietro inseguivano Bernard Thevenet a 1'10", l’occhialuto Mariano Martinez e Lopez Carril a 1'45, indi Van Impe, Poulidor, Van Springel e Ovion a 4'50. Ancor più staccato Joop Zoetemelk. I due in testa, senza perdere nulla, giunsero all’Izoard per provare a sistemare in conti, ma non si staccarono. In compenso, seppellirono gli inseguitori di minuti. Sull’erta finale di Les Orres, Ocana, decise di dare una delle tante lezioni impartite al connazionale in quel suo maestoso Tour e lo staccò. Al traguardo, anticipò Fuente di 58”, mentre terzo finì l’occhialuto Martinez a 6’57” che staccò di un paio di secondi Thevenet. Quinto la “sorpresa” Michel Perin a 12’33”. Sesto, a 20’24”, Zoetemelk regolò un drappello che comprendeva tra gli altri, Van Springel, Van Impe e Poulidor. Distacchi d’altri tempi dunque, alla corte di un re triste, ma grandioso, di nome Luis e di cognome Ocana. Per chi scrive, nelle sue punte, il più forte corridore da corse a tappe che la Spagna abbia mai avuto. Sissignori, più forte anche di Indurain, per non parlare del recente Contador.

[Immagine: marco-pantani-landscape.jpg]
L’unica impresa sul Galibier, che poi è risultata decisiva per giungere a Parigi in maglia gialla, è stata quella di Marco Pantani, nel 1998. Tra l’altro, come nel caso di Coppi, s’è tradotta nella doppietta della leggenda per antonomasia: vincere, nella stessa stagione Giro d’Italia e Tour de France.
(...da quanto ho scritto per Pantani Channel)
Alla partenza della Grenoble - Les 2 Alpes (15a tappa dell’85° Tour de France), Marco era concentratissimo: la frazione rappresentava la penultima occasione per vincere la corsa che più amava. Doveva inventarsi qualcosa. In classifica generale divideva il 3° posto con Jalabert, distanziato di 3’01” dalla maglia gialla di Ullrich e di 1’50” da Julich.
Guardò il cielo plumbeo e già piovoso a sufficienza per pensare ad un’intera giornata di pioggia e gli venne in mente l’impresa dell’amico Gaul, che in un giorno così, quaranta anni prima aveva ipotecato il Tour. Sapeva che Charly lo aspettava per abbracciarlo a Les 2 Alpes, in quella località d’arrivo che avrebbe voluto già conquistare in occasione del Giro d’Italia ’94.
In quel vortice di pensieri che Marco sapeva spostare sul pennello dell’artista, incontrò Alfredo Martini. Il vecchio nocchiero, gli portò il suggerimento di Mottet: "...Se vuoi la Gialla, devi attaccare sul punto più duro del Galibier a circa 5 chilometri dalla cima...". Marco annuì; era proprio quello che aveva pensato in cuor suo.
La tappa del Pirata si consumò a lungo sull’attesa di quel punto.
Sulla Croix de Fer erano fuggiti Serrano, Sciandri, Massi, Bourguignon, Farazijn e Rinero ma Marco un po’ innervosito per una scivolata senza conseguenze non s’era mosso dalla sua mimetizzazione.
Idem sul Telegraphe, dove aveva ceduto Jalabert. Modus che mantenne anche per metà del mitico Galibier dove, coi fuggitivi ancora ben davanti, dal gruppetto della maglia gialla era uscito Escartin. Solo dopo uno scatto di Leblanc a cui aveva risposto lo stesso Ullrich, fece capolino la sagoma del Pirata con la bandana in testa e gli occhiali. Nemmeno cento metri dopo Marco partì scavando il vuoto

[Immagine: IoGiocoPulito_marco_pantani_galibier.jpg]
Finito il primo affondo si voltò e vedendo la sagoma di Leblanc pensò di aspettarlo ma constatata la lentezza di questi, ripartì e per quelli rimasti dietro fu notte fonda. Uno dopo l'altro, riprese e staccò tutti i corridori che lo precedevano. In vetta al Galibier (tetto del Tour) passò solo. Ullrich, non ancora in crisi, giunse in cima a 2’50”. Al termine della discesa e nonostante una sosta per infilarsi l'impermeabile, Pantani (che nel frattempo poteva avvalersi della preziosa compagnia di Rinero, Massi, Jimenez, Escartin e Serrano) era virtualmente Maglia Gialla.
Salendo verso il traguardo di Les 2 Alpes fu costretto a lasciare i compagni d’avventura: lo aspettavano la Leggenda e la Maglia che più amava. Con 5’43” di ritardo, giunse Julich; Ullrich, in piena crisi finì a 8’57”.

Maurizio Ricci detto Morris

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#6
Ma ora tocca a loro, a tutti i 52 corridori protagonisti che, almeno una volta hanno raccolto il fascino di passare in testa a quel colle che per sette mesi l’anno confonde il suo letargo sotto la neve. Sono gli Angeli del Galibier, che ci fanno conoscere un po’ di loro…

Emile Georget (Fra)
[Immagine: 202px-%C3%89mile_Georget_1912.jpg]
1° sul Galibier, il 10 luglio 1911 - tappa del Tour: Chamonix-Grenoble.
Nato a Bossay sur Claise (Francia) il 21 settembre 1881 e deceduto a Chatellerault (Francia) il 16 aprile 1960.
Professionista dal 1903 al 1914 con 17 vittorie all’attivo.
Resistente come pochi, aveva bisogno per emergere, delle prove più dure del già imponente solito dell’epoca. Infatti, legò il suo nome alle due corse più massacranti del periodo: la Bordeaux-Parigi, che vinse nel '10 e nel '12 (e fu 3° nel 1908 e 1909) e la Parigi-Brest-Parigi, che lo vide vincitore nel 1911.
In quest’ultima, seppe regolare di una ventina di minuti, colui che era da considerarsi l’idolo di Francia, nonché il più grande corridore del periodo, ovvero il leggendario Octave Lapize. Georget, aveva tra l’altro battuto quel grande avver-sario anche in occasione dei Campionati Francesi del 1910.
Il Tour de France, invece, che Emile disputò nove volte, pur donan-dogli ulteriore popolarità, non riuscì mai a vincerlo. Fu 4° nel 1905, 5° nel 1906, 3° nell'11 e 6° nel '14. E non ci riuscì nemmeno nel 1907, quando lo dominò stupendamente, conquistando ben sei tappe, prima di essere penalizzato, per irregolare cambio di bicicletta. Alla fine, dovette accontentarsi del terzo posto, dopo Petit-Breton e Garrigou.
Nel grande romanzo del Tour però, Emile Georget resterà incancellabile per essere stato il primo a passare la vetta del Galibier nel 1911, quando la mitica salita venne inserita per la prima volta nel tracciato della Grande Boucle. Anche su pista si fece valere: vinse nel 1906 la 24 Ore di Bruxelles e la Sei Giorni di Tolosa, in coppia col fratello maggiore Leon. Eccellente agonista (in corsa si dice fosse cattivo come pochi), era in possesso di una pedalata non molto ortodossa, ma estremamente redditizia. Un particolare tecnico: fu tra i primi corridori ad applicare la ruota libera.

Eugene Christophe (Fra)
[Immagine: 1307454087ChristopheEugene.jpg]
1° sul Galibier, l’8 luglio 1912 - tappa del Tour: Chamonix-Grenoble.
Nato il 22 gennaio 1885 a Parigi ed ivi deceduto l’1 febbraio 1970. Professionista dal 1904 al 1926 con 19 vittorie all’attivo.
Una carriera lunghissima, grazie ad un fisico eccezionale e ad una versatilità che gli consentì di risparmiare energie, senza mai scendere in evidenza. Eroe sfortunato di un paio di Tour de France, quando, a vittorie ormai certe, fu frenato da guai meccanici. Nel 1913, ebbe un incidente lungo la discesa del Tourmalet e si sobbarcò una decina di chilometri a piedi, prima di trovare gli arnesi ed i pezzi di ricambio, che fu costretto a montare sulla bici da solo, come da regolamento dei tempi. Morale: perse 4 ore che gli costarono la grande corsa. Ancor più beffardo il suo destino nel ‘19. Dopo esser stato il primo corridore della storia a vestire la maglia gialla (scelta da Desgrange per simboleggiare il primato in classifica in occasione della Grenoble-Ginevra del 19 luglio), si trovò nella penultima tappa, nettamente in testa, a rivivere lo stesso guaio. Anche stavolta ore di lavoro per la riparazione e chiusura del Tour al terzo posto. Ma "Il Gallo" o "Cri-Cri", come veniva chiamato per la cura con la quale seguiva il suo aspetto e la capacità di intenerire i cuori femminili, non va ricordato solo per le sfortune.
Nel 1910, vinse la più massacrante edizione della Milano-Sanremo, con soli 4 ciclisti classificati. Nel 1920 conquistò, sia la Parigi-Tours che la Bordeaux-Parigi, classica, quest’ultima, che rivinse anche nel 1921. Di nota poi, i successi nel Thropèe Polymultipliée (1914) e nella Parigi Calais (1909). Al Tour de France, conquistò 3 tappe, tutte nel 1912. Forte su pista, dove era un grande richiamo, trovò nel ciclocross il terreno d'elezione, collezionando ben 7 Titoli  francesi (allora non c'erano i mondiali). Per questo, fu definito "il campionissimo del ciclismo invernale".

Marcel Buysse (Bel)
[Immagine: 16661982513538MarcelBuysse.jpg] 
1° sul Galibier, il 19 luglio 1913 - tappa del Tour: Grenoble-Genève.
Nato a Wontergem l’11 novembre 1889, deceduto a Gand il 3 ottobre 1939. Professionista dal 1909 al 1927, con 23 vittorie all’attivo.Detto “Il Grande”, fu il primogenito della celebre dinastia Buysse: gli altri fratelli ciclisti furono Lucien (1892), Cyriel (1896) e Jules (1901).
Ebbe, a sua volta, tre figli corridori: Albert (1911), grande pistard, Robert (1912), che non divenne mai professionista e Norbert (1919), nonché un nipote, Marcel II (1920), figlio di Lucien.
Marcel “Il Grande”, era un corridore completo, acuto nelle azioni e difficil-mente battibile quando giungeva agli ultimi chilometri con la possibilità di giocarsi la vittoria. Ciononostante, non si è costruito un palma-res in linea con le sue rare doti. Spesso gli è mancata una buona dose di fortuna. Dopo aver colto il quarto posto finale al Tour de France del 1912, memorabile fu la sua condotta nella Grande Boucle dell’anno seguente, nella quale seppe vincere sei delle quindici tappe (su tutte la Grenoble-Genève, di 325 km, quando, in successione passò solitario sulle cime di  Lautaret, Galibier, Telegraphe e Aravis), ma non riuscì ad andare oltre il terzo gradino del podio conclusivo, dietro a Thys e Garrigou. Ottimo pure il suo ruolino al Giro d’Italia, dove fu 3° nel 1919 e 6° l’anno successivo, concluso col successo ex equo nella frazione finale di Milano. Tra le sue altre vittorie, di gran pregio il Giro delle Fiandre del 1914, mentre di nota furono i successi al Tour di Sachsen e al Tour di Kassel nel '12, nella Parigi-Dinant e nell’Arlon-Ostenda del '21.
Importante anche il suo ruolino su pista, grazie ai successi in tre Sei Giorni: a Bruxelles in coppia con Spiessens nel ’20; a Gand nel ’22 con Egg e a New York, nel ’24, abbinato a Brocco.

Henri Pelissier (Fra)
[Immagine: 250px-Henri_Pelissier_Paris-Roubaix_1919.JPG]
1° sul Galibier, il 16 luglio 1914 - tappa del Tour: Grenoble-Genève.
1° sul Galibier, il 14 luglio 1923 - tappa del Tour: Briancon-Genève
Nato a Parigi il 22 gennaio 1889, deceduto a Dampierre l’1 maggio 1935. Professionista dal 1910 al 1928, con 43 vittorie all’attivo.Il maggiore per età e per tangibilità agonistica, dei tre famosi fratelli francesi. Sfruttò al massimo le sue doti e la sua completezza, vincendo ovunque. A differenza degli altri colleghi dell'epoca, Henri Pélissier, si mostrò capace di inquadrare il suo sport nell'ottica più ampia della società del tempo, concependone i limiti e, soprattutto, la disumanità che si richiedeva al ciclista. Un Pantani della fase eroica del pedale, potremmo dire... Infatti, per dimostrare quanto ci tenesse a non farsi schiavizzare, si ribellò, sostenuto solo dal fratello Francis e dal compagno di squadra Ville, al patron del Tour Henri Desgrange, ed in piena Grande Boucle si ritirò. Era il 26 giugno del 1924 e, proprio in quel giorno, incontrando lo scrittore Albert Londres, diede a questi i contenuti e la spinta per realizzare un reportage che ha fatto epoca "I forzati della strada". Anche questo aspetto, contribuì a fare della figura di Pélissier, un punto fermo della leggenda del Tour de France e dell’intero ciclismo.
Il palmares di Henri, è denso di vittorie , fra le quali diverse sufficienti per farne un colosso del pedale dell'era eroica. Nelle corse a tappe, vinse il Tour de France nel 1923, con tre frazioni all'attivo delle 10 conquistate complessivamente nelle 9 edizioni a cui partecipò. Indossò la maglia gialla 8 volte e finì 2° nella Classifica finale della Grande Boucle del 1914. A livello di classiche, vinse il Giro di Lombardia, la corsa che preferiva, tre volte, nel 1911-'13-'20, la Milano Sanremo nel 1912, la Parigi Roubaix nel 1919 e nel '21, la Bordeaux-Parigi '19, la Parigi-Tours '22 e il Campionato Francese nel '19 (fu 2° nel '20, nel '21 e nel '24; 3° nel '23).

Honoré Barthelemy (Fra)
[Immagine: Honor%C3%A9_Barth%C3%A9l%C3%A9my.jpg]
1° sul Galibier, il 19 luglio 1919 - tappa del Tour: Grenoble-Genève.
1° sul Galibier,  il 18 luglio 1921 - tappa del Tour: Grenoble-Genève
Nato a Parigi il 25 settembre 1891, deceduto a Champigny il 2 maggio 1964. Professionista dal 1911 al ‘27 con 13 vittorie.
Gran scalatore, ha segnato la storia del Tour de France sia per le sue significative vittorie di tappa, che per l’incredibile stoicismo dimostrato. Nel 1919, vinse da fuoriclasse, ben 4 frazioni, le più difficili. Nel tappone pirenaico, che da Bayonne si concludeva a Luchon, rintuzzò l’attacco dell’italiano Lucotti e si involò in un assolo leggendario, superando Tourmalet, Aspin e Peyresourde, fino a giungere al traguardo con 18 minuti sul belga Lambot (che poi vincerà il Tour) e oltre mezzora sugli altri grandi. Rivinse in solitudine tutte le tappe alpine, a Nizza, a Grenoble e nel “festival” finale di Genève, dopo aver superato, in solitudine ed in successione, Lautaret, Galibier e Aravis. A Parigi chiuse 5°. Nel 1920, invece, non vinse tappe, ma passò definitivamente alla storia come un’icona del ciclismo eroico, o di chi ancora intende questo sport come un sadico affresco di forzati della strada. Dopo diverse sfortune, nella frazione che si concludeva ad Aix en Provence, subì, non per colpa sua, una caduta devastante. Si rialzò dopo qualche minuto, stordito, sanguinante e con dolori lancinanti. Pensò ad una commozione cerebrale, perché all’occhio sinistro non vedeva più nulla, ciononostante ripartì e non solo finì la tappa, ma l’intero Tour, che chiuse 8°. Solo a fine gara, si seppe che in quella caduta si era rotto una clavicola, slogato un polso, ed una scheggia di pietra gli aveva tranciato irrimediabilmente una cornea. Cieco ad un occhio, con una protesi vetrosa che ogni tanto perdeva e sostituiva alla meglio, nel Tour del ’21 rivinse una tappa, ripassò primo sul già leggendario Galibier e chiuse incredibilmente 3° a Parigi. Continuò a correre ed ogni tanto a vincere, come nella famosissima Bol d’Or, sua nel 1925 e nel 1927.

Firmin Lambot (Bel)
[Immagine: firmin-lambot.jpg]
1° sul Galibier, il 7 luglio 1920 - tappa del Tour: Grenoble-Gex.
Nato a Florennes il 14 marzo 1886, deceduto ad Anversa il 19 gennaio 1964. Professionista dal 1908 al 1924 con 13 vittorie.Un belga anomalo, che alle gare di un giorno, ha preferito le massacranti prove a tappe della sua epoca. Un regolarista molto forte in salita e buono sul passo, che trovò nel Tour de France il terreno di elezione. A parte i 5 successi colti nel 1908 in gare minori in patria, le sue restanti 8 vittorie, stanno tutte nella Grande Boucle. Disputò il Tour 10 volte, lo concluse in 8 occasioni, vinse 6 tappe, tutte molto pesanti per la classifica e, soprattutto, colse 2 successi finali, nel 1919 e nel 1922. Piazzamenti di nota nel 1920, quando chiuse 3° e nel 1913, quando finì 4°. Col successo nel ’22, Lambot è stato il più anziano vincitore dell’intera storia della corsa: 36 anni, 4 mesi e 9 giorni. Un atleta che maturò lentamente e che solo oltre la trentina, trovò gli acuti giusti per entrare da protagonista nel grande romanzo della corsa a tappe francese.
Entrambe le sue vittorie al Tour, tuttavia, hanno lasciato nell’osservatorio delle riserve, visto che nel '19 fu avvantaggiato dalla rottura della forcella di Christophe, che portava la maglia gialla nella penultima tappa, mentre nel '22, il leader della classifica, il connazionale Hector Heusghem, venne penalizzato a due tappe dalla conclusione, per irregolare cambio di bici.
In questa seconda occasione però, Lambot lavorò a lungo per il capitano Jean Alavoine e solo col cedimento di questi, poté giocarsi le proprie carte. Le 6 vittorie di frazione furono colte nel ‘13 a Nizza; nel tappone pirenaico di Luchon nel ’14; a Dunkerque, nel Tour vinto del ’19; nel ‘20 a Bayonne e, nuovamente, nel tappone pirenaico di Luchon. Il suo ultimo successo di tappa, a Nizza, nel ‘21.
Grande rammarico per Lambot, la sconfitta in volata ad opera del connazionale Scieur, nella tappa di Gex, al Tour del ‘20, dopo essere passato primo e solitario sul mitico Galibier e sull’Aravis.

Emile Masson Senior (Bel)

[Immagine: masson3.jpg]
1° sul Galibier, il 15 luglio 1922 - tappa del Tour: Briancon-Genève.
Nato a Morialmé (Vallonia) il 16 ottobre 1888, deceduto a Bierset di Liegi il 25 ottobre 1973.
Professionista dal 1913 al 1925, con 14 vittorie all’attivo.
Emile Masson Sr, è stato senza dubbio uno dei più evidenti campioni del suo periodo, anche se, ad una attenta disamina, viene spontaneo chiedersi se abbia vinto in maniera congrua al suo talento.
Forte su tutti i terreni, versatile e resistente, gli è sempre mancato qualcosa per far suoi altri importanti traguardi, nonché l’insieme di acuti idonei per giocarsi la corsa che più voleva: il Tour de France. Al suo attivo, due edizioni del Giro del Belgio nel 1919 e '23 (2° nel '13, nel '21 e '22 con 4 tappe vinte), il Gran Premio Wolber (la corsa che fino all’istituzione del Campionato Mondiale, praticamente, ne faceva le veci), la prestigiosa Bordeaux-Parigi e la Sclessin-St Hubert-Sclessin nel 1923; la Parigi-Lione e la Jemeppe-Bastigne-Jemeppe nel 1924. Sette volte alla partenza del Tour de France, di cui solo tre conclusi: finì 5° nel 1919, 12° nel 1922 e 22° nel 1925.
Nel suo ruolino alla Grande Boucle, dove non indossò mai la maglia gialla, ci sono però due splendide vittorie di tappa, entrambe nel 1922, ed una di seguito all’altra: la Briancon-Geneve, dove superò in volata il connazionale Hector Tiberghien, ma prima era passato solitario sul Galibier, il Télégraphe e l’Avaris e la Genève Strasbourg, anche in questa occasione grazie ad una volata a due, stavolta sul  francese d’Alsazia, Joseph Muller. Finita la carriera, si dedicò non poco alla crescita ciclistica di suo figlio Emile junior, che fu un grande professionista dal 1937 al 1951, capace di superare il padre, sia per la quantità, che la qualità dei risultati.

Bartolomeo Aimo (Ita)
[Immagine: 185px-Bartolomeo_Aymo.JPG]
1° sul Galibier, il 12 luglio 1924 tappa del Tour: Grenoble-Gex
Nato il 25 settembre 1889 a Carignano (TO), deceduto a Torino l’11 dicembre 1970. Professionista dal 1919 al 1930 con 14 vittorie all’attivo. Aimo, dalla storia originale che lo ha eletto gran corridore, poteva essere un campione di prima grandezza, se solo avesse avuto dalla sua un po’ di fortuna, ed un approccio agonistico congruo ad un atle-ta. Ventenne, emigrò in Argentina, vi restò oltre un lustro e, solo nel 1916, provò a correre da dilettante.
Tornò in Italia per prestare servizio militare durante la Grande Guerra, nei reparti del Genio. Nel 1919, a 30 anni, passò prof alla Ganna. Nonostante l’inesperienza, si evidenziò gran scalatore e vinse persino una corsa, la Napoli Potenza. Nel ‘20 colse bei piazzamenti ed i successi in due tappe Giro dei Tre Mari. L’anno successivo si consacrò: finì 3° al Giro d'Italia e vinse il Giro delle Alpi Apuane. Nel ’22 si migliorò ancora: trionfò nelle frazioni di Napoli e Torino e chiuse il Giro 2°, dietro a Brunero. Aprì la stagione del ’23 col successo nel Giro del Piemonte e nella grande corsa della Gazzetta dello Sport, conquistò la tappa di Genova salendo ancora sul podio, 3°. A 35 anni, nel ‘24, partì fortissimo al Giro vincendo la prima frazione con 10’ sul secondo, ma fu presto costretto al ritiro, quando era in testa alla classifica. Provò però il fascino del Tour de France, la corsa che tanto amava, passando primo sul mitico Col du Galibier e chiedendo 4° a Parigi. Nell’anno vinse il Giro di Torino e finì 3° nella Parigi Tours. Pur vecchietto, spostò armi e bagagli in Francia, accasandosi all’Alcyon e nella Grande Boucke del ’25, vinse la tappa di Briancon, dopo essere passato solo su Vars e Izoard. Si ripeté l’anno dopo, vincendo la medesima frazione nello stesso modo e chiudendo ancora 3° a Parigi. A 38 anni, iniziò il declino, ma fu ancora capace, nel ’28, di finire 3° al Giro d’Italia.

Lucien Buysse (Bel)

[Immagine: 419px-Lucien_Buysse_1925.jpg?20230207204527]
1° sul Galibier, l’11 luglio 1925 - tappa del Tour: Briancon-Evian
Nato a Wontergem l’11 settembre 1892, deceduto a Deinze il 3 gennaio 1980. Professionista dal 1913 al 1933, con 14 vittorie. Lucien era il secondo, per età, della di-nastia dei Buysse. Grazie alla sua completezza tecnica, seppe emergere ovunque, sia su strada che su pista, nelle “seigiorni”.
Passò prof nel 1913, vincendo da indipendente la Bruxelles-Liegi e il Circuito del Belgio. Entrò nel ’14 all’interno della grande Alcyon e partecipò al suo primo Tour de France, ma si ritirò alla 10a tappa. Riprese a correre nel ‘19, dopo la guerra, accasandosi nell’italiana Legnano. Nella stagione finì 2° nella Gran Fondo e 3° nella Parigi Strasburgo, ma al Tour de France fu costretto al ritiro nella 2a frazione. Nel ‘20 s’accasò alla Bianchi: finì 2° alla Liegi-Bastogne-Liegi, 3° alla Parigi Roubaix e 7° nel Giro delle Fiandre. Tornò alla vittoria nel ’21, quando colse la 5a tappa del Giro del Belgio e chiuse 4° il Giro d’Italia.
Dopo un grigio ’22, tornò a pieno regime l’anno dopo, trionfando solitario con più di 16’, nella tappa di Toulon al Tour, poi chiuso 8°. Nel ruolino di stagione, anche i successi nel Criterium di Amsterdam e nella Seigiorni di Gand, in coppia con Standaert. Nel 1924 e nel 1925 corse con l’Automoto, capitanata da Bottecchia, di cui fu a lungo gregario. Concluse al 3° posto nel 1924, ed al 2° nel 1925, edizione nella quale vinse le tappe di Toulon e Nizza e si onorò di passare in testa sul Galibier. Ma il trionfo al Tour era vicino e l’edizione del ’26, la più lunga della storia, fu sua. Attaccò durante una tem-pesta sul Colle d'Aspin, nella 10° tappa, vincendo con oltre 25’ e conquistando la maglia gialla. Rafforzò il primato, trionfando solitario anche a Perpignan, ed a Parigi chiuse 1° con 1h22’25” di distacco su Frantz. Poi iniziò il declino. L’ultima vittoria nella 4° tappa del Giro dei Paesi Baschi del 1927.

Omer Huyse (Bel)
[Immagine: 16128966541325Huyse,Omer.jpg]
1° sul Galibier, il 14 luglio 1926 - tappa del Tour: Briancon-Evian
Nato a Courtrai il 22 agosto 1898, deceduto a Luigne il 2 marzo 1985. Professionista dal 1924 al 1930 con 3 vittorie all’attivo.
Le pochissime vittorie, non devono trarre in inganno, Omer Huyse era uno di quei corridori che ha pagato fortemente l’epoca in cui ha corso, fatta di precarietà, pochi mezzi e dove la sfortuna giocava ruoli ancor più decisivi. Ma era forte, resistente, generoso e bravo in salita: uno di quelli che solo una dozzina d’anni dopo, avrebbe potuto divenire spalla a caratteri evidenti nel romanzo del pedale. Nella storia però, il buon Huyse vi è entrato ugualmente, per aver vinto, nel 1924, la 5a tappa del Tour de France, la Les Sables d'Olonne – Bayonne, di 484 chilometri, la più lunga mai corsa nella “Regina” delle corse a tappe.
Ma la forza di Omer in quel Tour, non si esaurì nella frazione vinta. Combatté, nella scarsa assistenza che poteva avere un isolato, ovvero in chi era stato inserito nell’elenco dei 2a classe, o fra i Touristes-routiers, chiudendo la Grande Boucle al 9° posto assoluto, ma aggiungendovi un’altra vittoria, quella appunto degli “isolati”. E dire che durante le ultime tappe di quel Tour, alle sofferenze della corsa s’aggiunse quella atroce della morte della ventunenne moglie in Belgio. Anche nei due anni seguenti fu un protagonista della Grande Boucle: non vinse tappe, spesso per sfortuna, ma illuminò il suo ruolino, passando primo su grandi montagne come il Tourmalet e l’Aspin nel ’25 (chiuse il Tour al 7° posto); sul mitico Galibier e sull’Aravis nel ’26 (chiuse la Grande Boucle, 13°). Poi, un grosso infortunio ad una mano lo frenò, spingendolo al ritiro definitivo nel 1930. Aldilà dei bei Tour, nel suo palmares c’è la vittoria nel Giro del Belgio del ’23 (la gara che lo lanciò), il 3° nella Parigi Arras (’23), il 2° nella Parigi Menon (’25) ed il 5° nel Giro dei Paesi Baschi (’26).

Maurizio Ricci detto Morris

- continua -
 
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#7
Antonin Magne (Fra)

[Immagine: 16400335651325Magne,Antonin4.jpg]
1° sul Galibier, il 9 luglio 1927 - tappa del Tour: Briancon-Evian
Nato a Ytrac il 15 febbraio 1904, deceduto a Archacon l'8 settembre 1982. Professionista dal 1926 al 1941 con 42 vittorie all’attivo.
Antonin il saggio ed il taciturno, fratello di Pierre, fu un eccellente passista e un ottimo scalatore. Campione davvero popolarissimo in Francia, di cui è stato icona in vita e faro di ricordi.
Dieci anni dopo il suo debutto tra i professionisti, nel 1936, coronò con un trionfo la sua già illustre la carriera, conquistando la Maglia Iridata sul circuito svizzero di Berna, quel giorno reso durissimo dalla pioggia e dal freddo invernale. Fu uno dei Mondiali più belli della storia, corso senza tatticismi, in una vera e propria battaglia di sopravvivenza. Alla fine Magne emerse solitario, con quasi 10 minuti di vantaggio sull'italiano Bini. Nel palmares di Antonin c’erano già 2 Tour de France, nel 1931 e 1934, colti col portamento e la sicurezza del fuoriclasse, nonché 3 consecutivi GP delle Nazioni, nel 1934, ‘35 e ’36, praticamente il mondiale a cronometro di quell’epoca e di tante successive.
A queste vittorie, vanno aggiunte le note della Parigi-Saint Quentin (’26), del GP Wolber (’27), della  Parigi-Limoges (‘27-‘29) e della Pa-rigi-Vichy (’30). Al Tour de France, dove si segnalò alla prima partecipazione nel ’27, col passaggio solitario sul Galibier, la vittoria nella frazione di Toulon ed il 6° posto finale, ha vinto nel complesso 10 tappe su 10 partecipazioni (9 concluse), ed ha indossato la Maglia Gialla 39 volte. Finita la carriera, nel dopoguerra salì sull'ammiraglia, divenendo simbolo e maestro della Mercier, forgiando e guidando campioni come Louison Bobet, Van Steenbergen, Impanis, De Bruyne, Poulidor. Nel ruolo di direttore sportivo, fu chiamato “l’uomo dal camice bianco”, per l’abitudine di indossare, nella mansione, questa “divisa”. Antonin Magne, ha ricevuto la Legion d'Onore.  

August Verdyck (Bel)
[Immagine: 16395879961325Verdyck,Auguste2.jpg]
1° sul Galibier, il 6 luglio 1928 - tappa del Tour: Grenoble-Evian
Nato a Schoten l’8 febbraio 1902, dececeduto a Merksem il 14 febbraio 1988. Professionista dal 1924 al 1936 con 9 vittorie all’attivo.I suoi esordi furono da campione ed a lungo si pensò a lui come ad un futuro vincitore del Tour de France. Non è stato così, ed i motivi sono per una parte spiegabili, mentre l’altra fa parte di quella sfera di “perché” e di richiami perso-nali che ogni atleta di ogni epoca si porta presso e che non sempre l’osservatorio ha l’accortezza di non invadere.
Di sicuro, August Verdyck non possedeva un grande recupero e lo ha dimostrato non sorreggendo con la continuità, spesso anche nella singola giornata, gli acuti partoriti dal suo estro. Non è un caso, infatti, che nelle tappe di quella Grande Boucle, che doveva essere il suo palcoscenico ideale, sia passato solitario in testa su grandi montagne come l’Allos (1925) e sul leggendario Galibier (1928), senza poi vincere quelle frazioni, ma andando addirittura incontro a cotte notevoli.  Eppure, agli esordi nell'elite, a 22 anni, nel 1924, si dimostrò forte, volitivo e grintoso, vincendo la Parigi Nantes con 29’ sul secondo, ed il Giro del Belgio degli indipendenti. L’anno seguente fu ancora più bravo, rivincendo la Parigi-Nantes, il Giro a tappe dei Paesi Baschi ed una frazione dello stesso, una tappa del Giro del Belgio che chiuse 3°, finendo poi 2° nel Campionato Nazionale e 4° nella Parigi Bruxelles. Al Tour il suo ruolino d’esordio fu davvero da grande speranza: chiuse 8° a Parigi, dopo una decina di piazzamenti di tappa, fra i quali il migliore fu il posto d’onore nella frazione di Bayonne, battuto in volata da Bottecchia. Poi, dal 1926, iniziò il declino, nonostante i successi a Zwijndrecht nel ’28, nel GP Timbre Vert nel ’29 e a Wilrijk nel ’31, nonché qualche piazzamento di nota come il 5° posto nella Liegi Bastogne Liegi del ’32.

Gaston Rebry (Bel)

[Immagine: 16364749601325Rebry,Gaston7.jpg]
1° sul Galibier, il 20 luglio 1929 - tappa del Tour: Grenoble-Evian
Nato a Rollegem-Kapelle il 29 gennaio 1905, deceduto a Wevelgem il 13 luglio 1953. Professionista dal 1925 al 1938 con 16 vittorie all’attivo. Ad incidere sulle risultanze di una carriera ci sono sempre, con imponenza, le convinzioni e le volontà individuali.
Gaston Rebry, era nato in mezzo al pavé, aveva le corse belghe nel DNA, eppure, il richiamo del Tour de France, lo ha lungamente spinto verso sforzi e fatiche per le quali non era adattissimo.
Col sogno di vincere la Grande Boucle, ha passato i primi 8 anni da professionista, si è applicato con attenzione nelle sei partecipazioni, vincendo 4 belle tappe, indossando la Maglia Gialla per un giorno e passando in testa su mitici colli, su tutti il Galibier nel 1929, ma non è mai stato realmente in lotta per la vittoria. Protagonista sempre, ma possibile al podio nemmeno nel 1931, quando chiuse 4°. In altre parole, nelle corse a tappe era un ottimo corridore, non un campione, mentre nelle classiche era un fuoriclasse. Quando si convinse ad indirizzarsi particolarmente verso questo versante del ciclismo, i risultati giunsero vistosi. La Parigi-Roubaix fu il suo terreno d’elezione, quella che più di ogni altra gli forgiò il soprannome di “bulldog”, sia per l'espressione del suo volto, che per l'aggressività mostrata in corsa. Vinse quella classica per ben 3 volte, nel 1931, ‘34 e ‘35, piazzandosi 3° nel ‘26 e nel ‘36. Ma questo grande corridore belga non si fermò qui: s'impose anche nel Giro delle Fiandre del ’34 e, nella medesima stagione, vinse la Parigi-Nizza, unica corsa a tappe del suo palmares. Le altre sue vittorie: Parigi Nantes e Lione Belfort nel 1926, GP di Bissegem e GP Oostkam nel ’32, GP Tiekt e GP La Panne nel ’33, GP Bruges ‘35. I successi di tappa al Tour, invece, furono la Cherbourg-Dinan nel ’28, la Nizza Grenoble nel ’29 e la Charleville-Malo les Bains nel ’31 e ’32.  

Pierre Magne (Fra)
[Immagine: 16349681191325Magne,Pierre.jpg]
1° ex equo sul Galibier, il 21 luglio 1930 - tappa del Tour: Grenoble-Evian
Nato a Livry-Gargan il 9 novembre del 1906, deceduto a Clichy il 14 novembre 1980. Professionista dal 1927 al 1939 con 14 vittorie. Un buon corridore, abbastanza completo tra l’altro, in grado di ottenere tangibilità sincroniche a quanto posseduto.Essendo però il fratello più giovane di una grande figura come Antonin, scelse la strada della saggezza e divenne del congiunto una spalla preziosa, quasi la sua ombra. Alla fine, la carriera di Pierre è stata ugualmente discreta, ed ha potuto toccare strade di sicurezza che, da solo, forse, non sarebbero arrivate. Ma è sbagliato considerare il minore dei Magne come una appendice dell’imponente figura di “Tonin il saggio”, perché di qualità ne aveva e mai i suoi successi furono  regalati. Anche sulle grandi montagne era degno e non solo perché seppe passare primo ex equo una vetta come il Galibier. Che poi fosse considerato e, spesso nominato, con un semplice “Frère Tonin”, era purtroppo una variabile della sua silenziosità e della leggenda che il fratello stava costruendosi. Pierre, si segnalò ventunenne vincendo il GP Wolber per équipes nel 1927, ma già l’anno dopo, a dimostrazione di un certo spessore, vinse la tappa Evian Pontarlier al Tour de France e chiuse 10° la grande corsa. Il tutto a 21 anni e mezzo! Nel ’29 vinse il Tour de Correze e finì 9° la Grande Boucle. Dopo una stagione di intensi piazzamenti e di tanto gregariato, tornò al successo personale nel ‘31, facendo suo il Criterium d’Auvergne, il GP de Villeneuve-sur-Lot, ed i circuiti di Gers e Perpignan. Nel ’32 vinse il GP de l’Echo d’Alger ed una tappa dello stesso, mentre nella stagione seguente trionfò in una frazione e nella Classifica del Circuit de Cantal, nonché nel Circuit de Béarn. Nel ’33 s’aggiudicò il Criterium Mazamet. Sempre più ombra di Antonin, recitò il suo “canto del cigno” nella 12° tappa del Tour de Maroc, nel ‘39.

Benoit Fauré (Fra)

[Immagine: 15959495211325Faure,Benoit.jpg]
1° ex equo sul Galibier, il 21 luglio 1930 - tappa del Tour: Grenoble-Evian
Nato a Saint-Marcellin-en-Forez l’11 di gennaio 1900, deceduto a Montbrison il 16 giugno 1980. Professionista dal 1925 al 1951 con 40 vittorie. Nella storia del ciclismo, ci sono personaggi puntualmente dimenticati o sottostimati, che fa un grande piacere riportare un poco all’attenzione. Benoit Fauré, è certamente uno di costoro. Un atleta valoroso, fra i più longevi in assoluto, originale e con grandi doti di scalatore. Nato in una famiglia di ciclisti - suo padre Antoine vinse una tappa al Tour del 1904, mentre suo fratello Eugene, di due anni più giovane, fu anch’egli professionista - Benoit, fece della bici una ragione di vita. Dopo l’interminabile carriera da ciclista, infatti, divenne costruttore e meccanico. Noto per un 2° posto ad un Campionato francese all'età di 43 anni, ed aver partecipato 2 volte alla Parigi-Brest-Parigi, quando aveva già compiuto i 48 e i 51 anni (dove fu autore di una fuga di quasi 500 km), Faurè, seppe vincere il Tour de France per “isolati” sia nel ’29 (15° assoluto) che nel ’30 (8°), risultando evidente ad ogni partecipazione, perché anche quando non tagliava per primo il traguardo, ed accadde una sola volta nella tappa Cannes-Nizza del ’29, praticamente tutte le grandi montagne dei suoi anni, lo han visto, almeno in una occasione, superare in testa la cima. Su tutte: il Tourmalet e l’Allos (2 volte), l’Aubisque e il mitico Galibier (a spalla con Pierre Magne). Fra i suoi successi, inoltre, sono da segnalare: la Vichy-Nevers-Vichy e la Lyon-Genève-Lyon nel ’30; la Parigi Caen nel ’32, il Tour de Corrèze e la Bourg-Genève-Bourg nel ’34; 3 tappe del Tour de Suisse ’35; la Parigi Nantes ’36, la Parigi Angers ’37, la Marseille-Toulon-Marseille e la St. Etienne-Lyon nel ’39; il Critérium National (zone libere) nel ’41; la Valence-Annecy nel ’43, nonché il GP de Gueugnon nel ’51, a 51 anni! Lo chiamavano “La souris”, per la piccola statura e per la velocità con la quale si muoveva.

Jef Demuysere (Bel)
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1° sul Galibier, il 19 luglio 1931 - tappa del Tour: Grenoble-Aix les Bains
Nato a Wervik, in Belgio, il 26 giugno 1907, deceduto ad Anversa il 30 aprile 1969. Professionista dal 1928 al 1939 con 13 vittorie.Chi crede di conoscere i valori del pedale, fidandosi ciecamente degli albi d’oro, prende sovente delle clamorose stecche. Jef Demuysere, con 11 vittorie da prof e 2 nella anticamera degli indipendenti, secondo la logica dei contasuccessi, è stato solo un buon corridore. La realtà è diversa, perché Jeff era un campione, che ha avuto la sfortuna di scontrarsi con avversari eccezionali, quali Binda e Antonin Magne. E lui si destinava troppo, questo sì, alle grandi corse a tappe, quando poteva spendersi di più sulle classiche. Soprannominato la "Locomotiva del Belgio", era forte sul passo ed in salita, ma gli mancava lo sprint. La sua perla di carriera è stata la Milano-Sanremo del '34, ma fra il '29 e il '33, fu protagonista di primario al Tour de France prima e al Giro d'Italia poi. Nel '29 gli sfuggì il successo al Tour, per una penalizzazione inflittagli da Henri Desgrange (fu 3°). L'anno successivo si classificò 4° assoluto. Miglior prestazione nel '31, quando chiuse 2° dietro Antonin Magne, dopo aver fatto sue la Nizza-Gap e la Aix-les-Bains-Evian, ed essere passato solo su grandi vette come Galibier e Tourmalet. Nel ’32 finì soltanto 8° al Tour, ma in compenso chiuse 2° il Giro vinto da Pesenti. Stesso risultato anche nel '33, quando Binda si impose per la 5a volta nella corsa rosa e, proprio il varesino, fu l'unico a batterlo sui 62 km a crono da Bologna a Ferrara. Gli altri successi di Demuysère furono: la Parigi Arras e il Giro delle Fiandre fra gli Indipendenti nel ’28; la Parigi-Longwy, il GP Lille e il Criterium Wervik nel ’29; il Circuit du Morbihan nel ’30; il Giro delle Regioni Fiamminghe nel ’31; il Campionato belga di Ciclocross nel ’32; una tappa del “Catalogna” nel ’33 e il Criterium Poperinge nel ’35.

Francesco Camusso (Ita)

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1° sul Galibier, il 23 luglio 1932 - tappa del Tour: Grenoble-Aix les Bains
Nato a Burdini di Cumiana il 9 marzo 1908, deceduto a Torino il 23 giugno 1995. Professionista dal 1929 al 1938, con 14 vittorie.Detto "Cichìn, il camoscio di Cumiana", Camuso fu uno scalatore agilissimo, ed uno dei più forti corridori italiani degli anni '30. Passò prof a fine 1929, in tempo per giungere 2° nella Coppa Val Maira. Le vittorie arrivarono già nel ‘30, quando conquistò la Coppa “Martini & Rossi” e la  Milano-Savona.
Il suo passo in salita però, non tardò a farsi sentire a livelli di vertice e, nel ‘31, si impose nel Giro d'Italia. La svolta, nella frazione del Colle del Sestriere, da Cuneo a Torino, quando piantò tutti, conquistando la maglia rosa. Nell’anno, vinse pure una tappa del Giro di Campania. Nel ’32, dopo aver lasciato il Giro alla 7a tappa, puntò tutto sul Tour de France, risultando sempre tra i più forti in salita – passò solo su grandi montagne come il Galibier – e vinse in solitudine la 10a tappa, Cannes-Nizza, dopo aver superato il Braus e il Castillon. Chiuse il Tour al 3° posto, dietro Leducq e Stoepel. Sfortunato il suo 1933: costretto all’abbandono sia al Giro che al Tour, vinse la 6a tappa della Parigi-Nizza e il GP di Chieri. Nel '34, dopo il 3° posto alla “Sanremo”, fece sua la tappa di Torino al Giro e chiuse 2° a Milano a soli 51" da Guerra. Partecipò al Tour de Suisse, dove conquistò una frazione, la Classifica del GPM e il 3° posto finale. Anche nel ’35 fu costretto al ritiro nelle grandi corse a tappe, ma in Francia, prima dell’abbandono, conquistò la Aix les Bains-Grenoble. Nel ’36 iniziò a fungere da spalla a Bartali e nel 37, al debutto di Gino al Tour, lo scortò nella vittoriosa tappa di Grenoble. Indi, dopo il ritiro del capitano, conquistò la frazione di Narbonne, ed a Parigi chiuse 4°. Nel corso dell’anno, fece suo anche il GP Nizza. Nel ‘38 l’ultimo acuto, col successo nella classica Nizza-Mont Agel.  

Vicente Trueba (Esp)
[Immagine: 16357913041325Trueba,Vicente.jpg]
1° sul Galibier, il 4 luglio 1933 - tappa del Tour: Aix les Bains- Grenoble
Nato a Sierrapando de Torrelavega il 16 ottobre 1905, deceduto a Riotuerto il 10 novembre 1986. Professionista dal ‘28 al ‘39 con 9 vittorie.
Così piccolo, da essere chiamato “la pulce di Torrelavega”, poi, grazie alle cime del Tour de France, divenne la famosa “Pulce dei Pirenei”. Su di lui ogni storico ha aperto un capitolo e non certo per le sue rare e sconosciute vittorie. Un personaggio, alla cui elevazione contribuì il suo stesso modo di affrontare le montagne: tanto imprendibile nelle ascese, quanto disastroso in discesa.
Le migliori performance le fece registrare al Tour del 1933, quando fu spettacolare sulle vette – passò solo su Galibier, Aspin, Aubisque, Lautaret, Vars e Tourmalet – aggiudicandosi così la prima Classifica dei Gran Premi della Montagna, istituita proprio in quella edizione e chiudendo 6° nella Generale. In precedenza, aveva vinto nel ‘28 il duro Circuito Ribera del Jalon, il GP di Pamplona nel ’31, il GP Terjara e la Subida a Ecudo, nel ’32. Il suo primo Tour de France lo corse nel ’30, ma non emerse: 24°. Su ripresentò nel ’32, unico iberico in gara. Nella 5a tappa, da Pau a Luchon, era previsto il terribile Aubisque, sterrato ed inasprito da pioggia, vento e neve. Su quei tornanti, iniziò la leggenda di Trueba che passò solo in vetta, ma al traguardo si piazzò in ritardo: troppa discesa! Chiuse il Tour 27°. Nel ’33, fu il primo spagnolo a correre il Giro d'Italia, ma fu incolore: 43°. In Spagna invece, colse la 6a tappa del “Catalogna” e il Circuito di Saragozza. Si ripresentò al Tour de France nel ’34 finendo 10° e si ritirò nel ’35, per la morte del compagno Cepeda, caduto lungo la discesa del Galibier. In quell’anno, gli ultimi successi: il GP d’Eibar e la Subda ad Aranzau. Trueba ebbe tre fratelli ciclisti: José, Victoriano e Firmin, il più famoso, che fu Campione di Spagna nel ‘38.

Maurizio Ricci detto Morris

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#8
Federico Ezquerra (Esp)

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1° sul Galibier, il 10 luglio 1934 - tappa del Tour: Aix les Bains- Grenoble
1° sul Galibier, il 14 luglio 1936 - tappa del Tour: Aix les Bains- Grenoble
Nato a Valle de Gordejuela il 10 marzo 1909, deceduto a Sodupe il 30 gennaio 1986. Professionista dal 1928 al 1944, con 87 vittorie.
Con questo corridore basco, incontriamo un gigante del ciclismo spagnolo prima della seconda guerra mondiale. Il suo curriculum, impressionante nei numeri, va però considerato più “umano” per la valenza non eccelsa dei successi. Emerge comunque un atleta che ha saputo mostrarsi tangibile internazionalmente, assai determinato nel suo essere ottimo scalatore, purtroppo non altrettanto degno in discesa e solo discreto sul passo. Ha pagato sovente la precarietà dei momenti e del ciclismo iberico, ma alla fine la sua buona collocazione nel romanzo ciclistico la merita. È stato il secondo ciclista spagnolo a vincere una tappa del Tour de France.
Arrivò a partecipare per la prima volta alla Grande Boucle nel 1934 e fu subito protagonista. Nella tappa Aix les Bains-Grenoble, si doveva scalare il leggendario Galibier, ed Ezquerra giunse in cima da solo, con un buon vantaggio su Renè Vietto. In discesa però, il francese lo raggiunse e lo staccò, andando a vincere solitario. Federico chiuse il Tour 19°. Si ritirò invece alla 5a tappa nel ’35, ma nel ‘36 tornò prepotentemente in auge, vincendo la Nizza-Cannes e ripassando in testa sul mitico Galibier. A Parigi chiuse 17° nella “Generale” e 3° nella Classifica dei GPM. La sua esperienza alla Grande Boucle si concluse nel ’37, col ritiro nella 14a tappa. Nel suo palmares, fra le tante vittorie sono da segnalare: Vuelta a la Rioja Alta (’30); Campionato di Vizcaya (’31-’32); Vuelta del Levante (’31-’40); GP Valladolid (’31); Vuelta a Alava (’32-’39); GP de Vizcaya (’32-’33-’35); Vuelta de Pontevedra (’33); GP d'Eibar (’33); GP de Bilbao (’34-’35); GP Villafranca (’38-’40); Campionato Nazionale di Spagna (’40); 13a tappa Vuelta di Spagna (’41); Giro di Catalogna (’42).

Gabriel Ruozzi (Fra)
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1° sul Galibier, l’11 luglio 1935 - tappa del Tour: Aix les Bains- Grenoble
Nato a Nizza il 7 marzo 1914, deceduto a Nizza il 14 settembre 1988. Professionista dal 1935 al 1947, con 5 vittorie.
Si potrebbe definire una meteora, ma sarebbe sbagliato, perché consumò la carriera in un’epoca dove l’intreccio di cause e concause era troppo intenso. Resta il fatto che questo ragazzo, proveniente da una delle tante famiglie italiane che trovarono nella Francia il lavoro ed il pane, appena ventunenne, al debutto fra i prof, partecipò da isolato nel 1935 al Tour de France e ne uscì come un protagonista al punto di spingere l’osservatorio a predirne una luminosa carriera. Così non fu, ma Gabriel “Gaby” Ruozzi, è ancora oggi il più giovane corridore ad aver superato solitario e, per primo, la vetta di una montagna mitica come il Galibier, in una tappa della Grande Boucle. Accadde, l’11 luglio del 1935, nel corso della Aix les Bains-Grenoble, in un pomeriggio tra i più tristi della storia del Tour, perché lungo la discesa del celebre passo, lo spagnolo Francisco Cepeda, che era passato con un quarto d’ora di ritardo da Ruozzi, ed oltre una dozzina di minuti dopo di questi e dei più vicini inseguitori, gli italiani Morelli e Camusso (che poi vincerà la tappa), cadde, perse i sensi e morì tre giorni dopo all’ospedale di Grenoble, senza più riprendere conoscenza. Fu la prima vittima direttamente sulla strada, nella storia del Tour.
Ruozzi quel giorno arrivò 3° e finì la Grande Boucle al 9° posto, non-ché 4° nella Classifica del GPM. Nel ’35 colse pure 2 vittorie: il Prix de Dunières e il GP de la Ville d’Antibes. Ma nel ’36, contro le previsioni, s’aprì per “Gaby” un lungo periodo grigio: solo qualche piazzamento nelle gare della sua zona. Da isolato, tornò alla vittoria nel ’41, nella Nizza-Mont Agel, successo che bissò nel ‘42, nel corso del quale, vinse pure il GP d’Honneur de Cyclisme. Ma la sua esperienza ciclistica, praticamente, fini lì.

Gino Bartali (Ita)

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1° sul Galibier, il 7 luglio 1937 - tappa del Tour: Aix les Bains- Grenoble
Nato il 18 luglio 1914 a Ponte Ema di Firenze, ed ivi deceduto il 5 maggio 2000. Professionista dal 1935 al 1954 con 149 vittorie.
In 5a elementare il padre lo convinse a lavorare nel pomeriggio presso l’officina di biciclette di un vicino, Oscar Casamonti. Fu proprio costui ad avviarlo al ciclismo. Cominciò a correre nel 1931 e, fra allievi e dilettanti, vinse 44 corse su circa 90 partecipazioni. Esordì tra i prof nella Milano-Sanremo del ‘35 e concluse la carriera il 10 ottobre del ’54 a Cologno Monzese. Diciannove anni di attività con un bilancio di 149 successi. Portò a termine 836 gare e percorse oltre 150 mila chilometri. Religioso e militante dell’Azione Cattolica, reagì con coraggio alla morte del fratello Giulio, avvenuta nel ’36, in gara. Una leggendaria carriera, ricca di grandi vittorie, gran parte delle più importanti. Una clamorosa impresa al Tour de France del ‘48, vinto 10 anni dopo il primo successo. Il sunto delle sue vittorie. 11 gare a tappe: 3 Giri d'Italia (‘36-‘37-‘46); 2 Tour de France (‘38-‘48); 2 Giri della Svizzera (‘46-‘47); Giro dei Paesi Baschi (‘35); Giro di Romandia (‘49); GP Reus (‘35); Giro Quattro Province (‘45); 36 gare in linea: 5 Giri di Toscana (‘39-‘40-‘48-‘50-‘53); 4 Campionati italiani (‘35-‘37-‘40-‘52); 4 Milano-Sanremo (‘39-‘40-‘47-‘50); 3 Giri di Lombardia (‘36-‘39-‘40); 3 Giri del Piemonte (‘37-‘39-‘51); 2 Giri Campania (‘40-‘45); 2 Campionati  Zurigo (‘46-‘48); 2 Giri Emilia (‘52-‘53); Coppa Bernocchi (‘35); Tre Valle Varesine (‘38); Trofeo Matteotti (‘46); Giro Reggio Calabria (‘52); GP Impero (‘39); 6 prove a cronometro (5 Giri di Milano ‘36-‘38-‘39-‘40-‘42); 47 tappe (17 Giro d'Italia; 12 Tour de France; 6 Giro Svizzera). 50 giorni in maglia rosa (su 15 partecipazioni al Giro); 20 giorni in maglia gialla (su 8 partecipazioni al Tour); 7 GPM al Giro e 2 al Tour. Fu chiamato “l'uomo di ferro”.

Mario Vicini (Ita)
[Immagine: 16405086341325Vicini,Mario4.jpg]
1° sul Galibier, il 23 luglio 1938 - tappa del Tour: Briancon - Aix les Bains
Nato a Martorano di Cesena il 21 febbraio 1913, deceduto a Cesena il 6 dicembre 1995. Professionista dal 1936 al 1953, con 12 vittorie.
Correndo come isolato al Tour de France del 1937, si trovò nell’arduo compito di difendere il ciclismo italiano dopo il ritiro di Bartali, per caduta, quando era maglia gialla. Vicini compì la clamorosa impresa di terminare 2° assoluto in Classifica Generale e primo dei “Touriste-routiers”. Il grande risultato gli diede una popolarità che l’ha accompagnato per il resto della sua carriera. L'anno dopo ritornò alla Grande Boucke e, pur non deludendo (passò primo sul Galibier), non andò oltre al sesto posto.
Corridore solido e regolare, soprattutto molto forte in salita, il “rosso” di Cesena, noto con il nomignolo di "Gaibera", fu protagonista anche nel Giro d'Italia dove vinse al tappa di Sanremo nel '38, fu 3° dopo Valetti e Bartali nella vibrante edizione del '39, fu 4° nel '40, dopo essersi imposto in due tappe consecutive, a Trieste e a Pieve di Cadore, nonché 7° nel '47.
Aldilà delle grandi corse a tappe, si impose in una frazione del Giro delle 4 Province nel ’36, nella Coppa Malatesta nel ’37, nel Giro di Toscana nel ‘38, nel Giro del Lazio nel ’39, anno nel quale, con condotte di gara esemplari, si laureò Campione Italiano, risultando pri-mo in una speciale classifica a punti su tre prove. Nel 1940, si impose nella Coppa Marin e nel GP di Prato, mentre l’anno successivo, nel Circuito delle Province Lombarde. Il successo nel GP Ro-vigo nel ’42, fu la sua ultima vittoria. Superati i tempi duri della guerra, infatti, anche Vicini come tanti altri, riprese a pedalare di buona lena, ma purtroppo i risultati tardarono a venire e si dedicò al lavoro di spalla per Fausto Coppi sia nel ‘47 che nel ’48, per poi continuare stancamente fino a 40 anni, nel ’53. A fine carriera, divenne fabbricante delle bici che portano il suo nome.

Dante Gianello (Fra)

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1° sul Galibier, il 27 luglio 1939 - tappa del Tour: Briancon – Bonneval sur Arc
Nato a Chiesa (Italia) il 26 marzo 1912, deceduto a Privas (Franca) il 14 novembre 1992. Professionista dal 1935 al 1945 con 30 vittorie.
Emigrò in Francia con la famiglia nel 1925. Qui, abitò prima a Beaulieu sur Mer (Alpi Marittime) fino al ‘28, poi a Fontan fino al novembre del '29, per poi stabilirsi a Nizza. Come gran parte degli immigrati dell'epoca, seguendo le orme del padre, iniziò a praticare il mestiere di muratore, ed il 22 gennaio del ’31, ottenne la cittadinanza francese. La bicicletta fu per lui come per tanti emigranti il principale mezzo di trasporto prima, ed una occasione sportiva per integrarsi nel nuovo paese. Contrariamente a tanti altri, nella volontà sportiva, non fu osteggiato dalla famiglia e già da aspirante, con le maglie della ES Cannes, poté mettersi in bella evidenza. Passò al professionismo nel ‘35, piazzandosi spesso e cogliendo subito un paio di belle corse: il GP Peugeot di Mulhouse e, soprattutto, la Nizza-Tolone-Nizza. Già nell’anno del debutto, partecipò al Tour de France, emergendo per piazzamenti e per comportamento: a Parigi chiuse 21°. Ottimo scalatore, seppe cogliere in carriera una trentina di successi, fra i quali spicca la Cannes Dignes – 13a tappa del Tour de France del ’38 (in quello successivo passò in testa, ad una mitica montagna come il Galibier), il Circuit del Ventoux sempre nel ’38, il Tour du Vaucluse ’39, la Vichy-Limoges ’41, la Limoges-Vichy-Limoges ’42, il GP delle Alpi ’43. Nel dopoguerra, ritornò pimpante, vincendo nel luglio del ’45 la gara a tappe del Criterium du Midi. Un mese dopo però, durante la disputa del G.P. Debarcquement, venne investito da una jeep di soldati americani e perse una gamba.
Persona splendida ed assai considerata nell’ambiente, divenne giornalista sportivo e, nel ’49, fu incaricato di dirigere la Selezione Francese del Sud-Est, al Tour.

Maurizio Ricci detto Morris

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#9
Fermo Camellini (Fra)

[Immagine: fermo-camellini.jpg]
1° sul Galibier, il 3 luglio 1947 - tappa del Tour: Grenoble-Briancon
Nato a Scandiano (Italia) il 7 dicembre del 1914, deceduto a Beaulieu (Francia) il 27 luglio 2010. Professionista dal 1937 al 1951 con 38 vitto-rie.
Si trasferì coi genitori ed i 5 fratelli (fra i quali Guerrino, anch’egli poi ciclista), quando era ancora bambino, nella cittadina di Beaulieu, in Fran-cia. Qui lavorò come garzone idraulico, ed il titolare, per rendere veloci le consegne, gli affidò una bicicletta.
L’uso del mezzo, lo spinse verso il ciclismo e, compratosi coi primi risparmi una bici da corsa, provò a parlare in famiglia delle sue intenzioni, ma il padre si spazientì, ed un giorno, esasperato per quella civetteria, prese lo strumento e lo gettò in mare. La passione però, aveva conquistato Fermo che, poco dopo, con un mezzo in prestito, andò a vincere una corsa a Nizza, dove in palio c’era proprio una bici da corsa. A quel punto, anche il genitore, fu costretto a cedere. Passò prof nel 1937, nelle file della Urago, pur mantenendo sempre la tessera della Association Sportive Monegasque: aspetto non da poco, visto che, per i sui meriti sportivi, il 10 aprile 1951, il Principe di Monaco, lo decorò con la medaglia “de 1ère classe de l’Education Phisyque et des Sports”.
Ottimo corridore, forte in salita, nonostante il fisico massiccio. Fra i suoi successi, i principali furono: il Circuito delle Alpi nel ‘38, il Circuit du Mont Ventoux nel ‘39 e ‘41, la Parigi-Nizza nel ‘46 e la Freccia Vallone ’48, grazie ad un assolo da fuoriclasse. Di portata anche superiore alla classica belga, le due tappe che Camellini vinse al Tour de France ’47 (chiuso 7°): la Grenoble-Briancon vinta con oltre 8’ di vantaggio, dopo aver scalato solitario la Croix de Fer, il Télégraphe e il Galibier, e la Digne-Nizza, ancora con un arrivo in solitudine. Al Giro d’Italia fu maglia rosa per 4 giorni nel ‘46. L’8 ottobre 1948, fu naturalizzato francese. Ha sempre vissuto a Beaulieu, dove è stato a lungo titolare di un negozio di biciclette.

Lucien Teisseire (Fra)
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1° sul Galibier, il 16 luglio 1948 - tappa del Tour: Briancon-Aix les Bains
Nato a Saint Laurent du Var l’11 dicembre 1919, deceduto a Plonevez-Porzay il 22 dicembre 2007. Professionista dal 1941 al 1955 con 40 vittorie.
Un corridore anomalo alla luce delle sue prestazioni in salita, perché era alto e possente. In altre parole, un fisico da velocista odierno, che non amava le cronometro, audace e veloce, ma non velocissimo. Nel suo palmares c’è un po’ di tutto, ed alla luce della determinazione che possedeva, Lucien Teisseire, può essere considerato un riferimento della sua epoca, non solo per i confini francesi. Soprattutto perché seppe essere un evidente sia nelle classiche che nelle corse a tappe, con particolare tangibilità in quelle lunghe una sola settimana. La sua carriera in sintesi. Su otto partecipazioni al Tour de France, vinse 4 tappe: la Besancon-Lione e la Montpellier-Carcassonne nel ’47, la Boulogne su Mer-Rouen nel ’49 e la Aix les Bains-Besancon nel ’54, tutte in volate ristrette. Nell’edizione del ‘48, chiusa al 6° posto, suo miglior piazzamento di sempre, nella tappa Briancon-Aix les Bains, fu autore di una lunga fuga dove passò primo sul Galibier, prima di soccombere di fronte all’azione di un formidabile Bartali. Nel suo palmares, c’è la Parigi-Tours la classica dei “Castelli della Loira”, vinta nel ’44, piazzamenti di rilievo alla “Roubaix” (2° nel ’45), alla “Sanremo” ‘46 e al Mondiale di Vankenburg ’48 (3°), due 2° posti nel ’44 e ’45 nel Campionato francese, nonché belle vittorie nella Nizza-Puget-Theniers.Nizza ’41, nel Circuit des Villes d’Eaux d’Auvergne ‘42, GP de Provence ’44, GP Nice ‘44, GP Printemps ’45, GP du Pneumatique ‘48, GP de Cannes ’51, il Critérium du Dauphiné Libére ’53. Numerose le vittorie di tappa alla Parigi Nizza, al Critérium du Dauphiné Libére, al Giro del Marocco, al Tour della Manica, in altre gare a frazioni e nelle corse sulle Cote.

Fausto Coppi (Ita)

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1° sul Galibier, il 6 luglio 1952 - tappa del Tour: Le Bourg d’Oisans – Sestrieres
Nato a Castellania, il 15 settembre ‘19. Fausto, era pelle e ossa e sua madre, temendo per lui le fatiche dei campi, lo sistemò  presso il negozio di un salumiere. I sacrifici e l’aiuto di uno zio, consentirono al giovane Coppi di acquistare una bicicletta.
Poi, le prime corse e l'incontro con Biagio Cavanna, il massaggiatore cieco. Era il 1937. Alla fine del ‘39, passò tra i prof. La forza e la classe di Fausto si rivelarono interamente nel ‘40, quando vinse il suo primo Giro d'Italia. Correva nella Legnano, squadra di Bartali che, da capitano, si trasformò in “gregario” del nuovo asso. Iniziò così la leggenda di Coppi, “Il Campionissimo”. Le sue vittorie più importanti in sintesi. Gare a tappe: 5 Giri d'Italia (‘40-‘47-‘49-‘52-‘53); 2 Tour de France (‘49-‘52); 1 GP Mediterraneo (‘52). Gare in linea: 5 Giri Lombardia (‘46-‘47-‘48-‘49-‘54); 4 Campionati italiani (‘42-‘47-‘49-‘55); 3 Milano-Sanremo (‘46-‘48-‘49); Campionato del Mondo (Lugano ‘53); Parigi-Roubaix (‘50); Freccia Vallone (‘50), 3 Giri di Emilia (‘41-‘47-‘48); 3 Giri di Romagna (‘46-‘47-‘49); 3 Giri del Veneto (‘41-‘47-‘49); 3 Tre Valli Varesine (‘41-‘48-‘55); 2 Giri di Campania (‘54-‘55); Giro Toscana (‘41); Giro Appennino (‘55); Giro Provincia Reggio Calabria (‘50);. Prove a cronometro: 2 GP Nazioni (‘46-‘47); 3 G.P. Lugano (‘51-‘52-‘56); 4 Trofeo Baracchi (con Filippi ‘53-‘54-‘55, con Baldini ‘57). Tappe: 22 Giro d'Italia; 9 Tour de France; 3 Giro Svizzera. 31 giorni in maglia rosa e 19 in maglia gialla; 3 GPM al Giro e 2 al Tour; 5 Titoli Italiani inseguimento (‘40-‘41-‘42-‘47-’48); 2 Titoli Mondiali nell’Inseguimento (‘47-‘49); Record Mondiale dell’Ora; Desgrange Colombo (‘49); Trofeo Gentil (‘47-‘52). Nel dicembre del ‘59 volò in Africa, per una kermesse e una battuta di caccia. Lì, come l’amico Geminiani, contrasse la malaria. Rientrato in Italia, il primo gennaio ‘60, venne ricoverato all'Ospedale di Tortona e la mattina dopo, alle 8.45 morì. Contrariamente ai medici francesi per Geminiani, i colleghi italiani, non l’avevano individuata.

Federico Martin Bahamontes (Esp)
[Immagine: Federico_Bahamontes_en_1960.jpg]
1° sul Galibier, il 28 luglio 1954 - tappa del Tour: Briancon-Aix les Bains
1° il 29 giugno 1964 – tappa del Tour: Thonon les Bains-Briancon
Nato a Santo Domingo Caudilla di Toledo il 9 luglio 1928, deceduto a Valladolid l'8 agosto 2023. Professionista dal 1953 al 1965 con 78 vittorie.
Aveva una muscolatura armoniosa, sottile, tipica di uno scalatore. Bahamontes, in spagnolo, significa "scavalcamontagne": una definizione pertinente, visto che Federico divide con Gaul e Pantani, la palma di miglior scalatore di sempre. Venne pure chiamato “l’Aquila di Toledo”. Passò tardi tra i prof, a frenarne il passaggio, il timore di molti addetti, di imbattersi in un altro Trueba: tanto forte in salita quanto debole in discesa. E Federico, effettivamente, non modificò a lungo il suo strano modo di vivere la montagna. Sui mitici colli (non c’è praticamente cima che non l’abbia visto almeno una volta passare primo), dopo aver staccato gli avversari, si “fermava”, quasi a cercare compagnia per affrontare l'aspro “ostacolo” chiamato “discesa”. La leggenda narra che al suo primo Tour de France, nel ’54, sul Col de la Romeyere, dopo aver lasciato gli altri a distacchi notevoli, si sia fermato sulla vetta, ed indispettito per tutti coloro che lo incitavano, sia entrato in un bar, abbia comprato un gelato e sia sceso pian piano leccando il suo cono, fino a quando non arrivarono gli avversari. Sarà una coincidenza, ma nel ‘59, quando finalmente si decise a cercare un po’ di coraggio, sul medesimo colle, costruì il suo successo al Tour. Inutile dire che il suo valore di scalatore echeggerà eternamente. Le principali vittorie: Tour de France (‘59); 2 Vuelte Asturie; Campionato spagnolo su strada (‘58); Campionato nazionale in salita (’59); 3 Scalate del Mont Faron; 5 Scalate di Arrate; la Scalata del Montjuich (‘65); 22 tappe di Giri (7 al Tour, 3 alla Vuelta, 2 al Tour de Suisse, una al Giro). 6 Classifiche del GPM al Tour, 2 alla Vuelta, una al Giro, una al “Suisse”. Fra i suoi successi, la Sei giorni di Madrid, con Van Steenbergen.

Charly Gaul (Lux)

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1° sul Galibier, il 14 luglio 1955 - tappa del Tour: Thonon les Bains-Briancon
1° sul Galibier, il 14 luglio 1959 – tappa del Tour: Grenoble-St Vincent d’Aosta
Nato Pfaffenthal l'8 dicembre 1932, deceduto a Lussemburgo il 6 dicembre 2005. Professionista dal 1953 al 1965 con 70 vittorie.
Fu definito l’Angelo della Montagna”, per la sua grandezza eccelsa sui colli, ma pure per quel suo modo di danzare sui pedali, che rendeva il sopraggiungere dei suoi occhi azzurri, come l’arrivo di una divinità dei monti. Per 10 anni ha dipinto le fantasie di chi vede nella montagna il mito del ciclismo. Autore di imprese memorabili, come quella nella Trento-Monte Bondone in mezzo alla neve, quando si assicurò, altre alla tappa, anche il Giro d’Italia 1956. O l’ancor tecnicamente più straordinaria Briançon-Aix-les-Bains al Tour de France ’58, quando si impose con una fuga a lunga gittata che seppellì di minuti gli avversari, ipotecando una Grande Boucle, nella quale dimostrò, vincendo ogni prova a cronometro, di essere uno dei campioni più straordinari mai saliti su una bicicletta. Di rilevanza pressoché uguale la Aosta-Courmayeur, dove, in una tappa di 297 km, gli bastò una sola salita come il Piccolo San Bernardo, per far saltare il Giro ’59 e rivincerlo per la seconda volta. Formidabile nelle vittorie, ma pure nelle sconfitte. Una su tutte: al Giro del ’57, dove, col successo ormai in tasca, cadde in un agguato che si scatenò per una sua inconsueta e storica “fermata” per esaudire un bisogno fisiologico. Ha partecipato a 10 Tour, finendone 7, vincendone 1 nel ‘58 (fu 3° nel ‘55), facendo sua la Classifica del GPM 2 volte (’55- ’56) e vincendo 10 tappe. Al Giro d’Italia è stato al via 7 volte, ne ha conclusi 6, ha vinto le edizioni ’56 e ’59 (3° nel ’58 e ’60, 4° nel ‘57 e ’61), la Classifica del GPM una volta ed ha conquistato 11 tappe. Altre vittorie di nota: 3 Giri del Lussemburgo (‘56-‘59-’61), 1 Giro Sei Province (’54), 1 Giro Sud Est (’55), 6 Campionati nazionali (‘56-‘57-‘59-‘60-‘61-‘62) e il Trofeo Gentil (’58). Fu 3° nel Mondiale del '54.

Marcel Janssens (Bel)
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1° sul Galibier, il 7 luglio 1957 - tappa del Tour: Thonon les Bains-Briancon
Nato a Edegem il 30 dicembre 1931, deceduto a Nukerke il 29 luglio 1992. Professionista dal 1953 al 1965 con 28 vittorie.
Un corridore abbastanza completo, resistente, non veloce, a lungo considerato fra gli evidenti di un gruppo di atleti belgi, sui quali i connazionali puntavano per rinverdire quei successi al Tour de France, che parevano essersi arrestati con la seconda guerra mondiale. Janssens s’era messo in evidenza giovanissimo, vincendo il Titolo nazionale fra i dilettanti nel 1951, ed al suo passaggio fra gli indipendenti nel ’53, aveva sovente battuto i classificati professionisti.
Quando bastava per farne un atteso. Nei primi anni fra i prof, il suo ruolino fu altalenante: buone vittorie, ma pure qualche appannamento. L’esordio al Tour nel ’56, discreto, ma nulla di più: 32°. L’esplosione l’anno seguente, quando la sua lenta maturazione sembrò dischiudersi clamorosamente. Finì 2° a Parigi, dietro al prodigioso Jacques Anquetil, vinse la tappa del pavé a Roubaix, ma, soprattutto, sulle grandi montagne apparve brillante, passando in testa su mitici colli come il Galibier e restando costantemente fra i primi.
Avrebbe vinto più tappe, se avesse posseduto uno spunto veloce migliore. Sulle ali di quel ruolino si presentò speranzoso alla Grande Boucle del ’58, ma alla sesta tappa una caduta lo costrinse al ritiro. In non buone condizioni corse il Tour ’59, dove però seppe vincere la tappa pirenaica di Bagnères de Bigorre. Nel ’60, ancora la sfortuna si accanì su di lui. Dopo aver vinto la Bordeaux-Parigi, causa una caduta, fu colpito dal tifo che gli pregiudicò la stagione e, di fatto, anche il resto della carriera. Tra le sue altre vittorie la Polders Campine nel ‘54 e ’55; il GP del Brabante Vallone, l’Escaut-Dendre-Lys e il Tour del Ouest nel ’55; l’Anversa-Ougrée nel ’58 e la Freccia del Brabante nel ’62.

Maurizio Ricci detto Morris

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#10
Julio Jimenez (Esp)

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1° sul Galibier, il 7 luglio 1966 - tappa del Tour: Le Bourg d’Oisans – Briancon
1° sul Galibier, il 10 luglio 1967 – tappa del Tour: Divonne les Bains - Briancon
Nato ad Avila il 28 ottobre 1934. Profes-sionista dal 1959 al 1969 con 52 vittorie. Un atleta “passerotto” che maturò piuttosto tardi, poiché a lungo, a causa di origini umilissime, le sue corse in bici si alternarono al lavoro di orologiaio. Di qui il so-prannome di “l’Orologiaio di Avila”, oppure, per la sua fede scrupolosamente osservante, quello di “Sacrestano”.
Quando si trasferì a Madrid con la famiglia nel 1953, il suo trend non si modificò e per poter sostenere l’attività ciclistica che aveva abbracciato completamente la sua passione, fu costretto pure a sostenersi andando ad acquistare pezzi per lo strumento di gara ai mercatini delle pulci. La sua taglia fisica e le sue specifiche attitudini alla salita però, pian piano lo misero in luce, fino al passaggio al pro-fessionismo. Ne uscì una carriera che lo ha fatto entrare fra i grandi scalatori di ogni epoca, naturalmente indirizzato verso le maggiori gare a tappe, dove, purtroppo, la sua debolezza a cronometro e la scarsa concentrazione, hanno ridotto sensibilmente il suo comunque buon palmares. Considerato a lungo come l’alter ego del grande Bahamontes, è stato Campione di Spagna nel '64 e della Montagna nel '62 e '65. Ovviamente s’è messo in mostra nelle gare in salita, come sul Mont Faron nel ’63, indi ad Arrate nel '65, Urquiola '62, '64, '65, Poly '67. Ma i suoi pezzi forti, stanno nelle maggiori corse a tappe, dove ha vinto la Classifica del GPM 3 volte al Tour de France ('65, '66 e '67); altrettante volte nella Vuelta ('63, '64, '65), nonché le tappe a lui più congeniali: 5 al Tour, 4 al Giro d’Italia e 3 alla Vuelta. I suoi piazzamenti migliori nella classifica generale, furono il 2° posto al Tour nel ’67 dietro Roger Pingeon, il 4° al Giro d’Italia ’66 (dove per 11 tappe fu maglia rosa) e il 5° nella Vuelta di Spagna ’64.

Eddy Merckx (Bel)
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1° sul Galibier, l’8 luglio 1969 - tappa del Tour: Chamonix – Briancon
Nato a Meenzel-Kiezegem il 17 giugno 1945. Professionista dal 1965 al 1978 con 445 vittorie all’attivo. Il più forte ciclista di tutti i tempi. Nel suo palmares ci sono relativamente alle corse in linea: 4 Titoli Mondiali (3 da professionista nel '67, '71, '74; ed 1 fra i dilettanti nel ’64), un Titolo Nazionale (’70); 7 Milano-Sanremo su 10 corse (’66-’67-’69-’71-’72-’75-’76), 5 Liegi-Bastogne-Liegi (’69-’71-’72-’73-’75), 3 Parigi-Roubaix ('68-'70-'73); 2 Giri delle Fiandre (’69-’75); 2 Giri di Lombardia (’71-’72); 3 Freccia Vallone (’67-’70-’72); 3 Gand-Wevelgem (’67-’70-’72); 2 Amstel Gold Race (’73-’75), 1 Parigi Bruxelles (’73), 1 GP di Francoforte (’71); 2 Het Volk (’71-’73). Nelle corse a tappe: 5 Tour de France (’69-’70-’71-’72-’74); 5 Giri d'Italia (’68-’70-’72-’73-’74); 1 Vuelta di Spagna (’73); 1 Tour de Suisse (’74); 3 Parigi Nizza (’69-’70-’71); 4 Giri di Sardegna (’68-’71-’73-’75). Zoomando, limitatamente al professionismo: 32 classiche, 14 giri nazionali, 18 corse a tappe, 82 tappe in linea, 51 a cronometro, 10 prove a cronometro, 33 prove in salita, 164 fra criterium, circuiti, kermesse.
Su pista, da dilettante e professionista, ha corso 143 manifestazioni vincendone 98. Il record dell'ora con km 49,431 stabilito a Città del Messico il 25 ottobre ’72, unitamente a quelli dei 10 e 20 km, sono da considerarsi i più prestigiosi titoli sui velodromi, ma non si devono dimenticare altre performance di grande valore. Esattamente: 17 Sei Giorni (16 con Patrick Sercu ed 1 con Ferdinand Bracke); 1 Campionato Europeo dell’Omnium nel ‘75; 1 Campionato Europeo della Americana (con Sercu) nel ‘78; 3 Campionati Nazionali nella Americana (con Sercu) fra i dilettanti (’63-’64-’65); 5 Campionati Nazionali nell’Americana (con Sercu) fra i prof. (’66-’67-’73- ’75-‘76).
Ha praticato anche il ciclocross: partente in 3 corse, ne ha vinte 2.

Joop Zoetemelk (Ned)

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1° sul Galibier, il 17 luglio 1972 - tappa del Tour: Briancon - Valloire
Nato a Rijpwetering il 3 dicembre 1946. Professionista dal 1970 al 1987 con 205 vittorie all’attivo.
Leggermente strabico, magro, pallido in viso. Da ragazzo nessuno scommette-va su di lui. Eppure... Cominciò a correre a 17 anni, nel ciclocross e si aggiudicò il Titolo olandese. Nel 1968, vinse le Olimpiadi nella “100 km a Squadre” e, nel ’69, trionfò al Tour de l'Avvenire. Prof dal ‘70, dopo 4 anni dal debutto - dove si era segnalato come un grande regolarista nelle corse a tappe - il 22 maggio ‘74, restò vittima di una caduta nello sprint conclusivo della tappa di Valras al Midi Libre, riportando un trauma cranico ed una conseguente meningite che lo costringe a grandi sofferenze, fino a spingerlo vicino al suicidio. Dopo 14 mesi riprese a correre e vinse il Giro d'Olanda. L’anno seguente s’aggiudicò la Freccia Vallone e nel 1980, alla 10a partecipazione, il Tour de France.
Nel 1985, vinse il Campionato Mondiale e, due anni dopo, a 41 anni, nella sua ultima stagione, l'Amstel Gold Race. Ha partecipato a ben 16 Tour, portandoli tutti a termine e piazzandosi 6 volte 2° (entrambi questi dati rappresentano un record). Una carriera grandissima, che lascia all’osservatorio un rammarico: forse Zoetemelk avrebbe potuto vincere più classiche, se avesse riservato loro, le stesse attenzioni del Tour e della Vuelta.
Le sue maggiori vittorie: Campionato Mondiale (‘85); Tour de France (‘80); 2 Campionati olandesi (‘71-‘73); Freccia Vallone (‘76); Tours-Versailles (‘77); Blois-Chaville (‘79); Giro d'Olanda (‘75); Settimana Catalana (‘74); 3 Parigi-Nizza (‘74-‘75-‘79); Amstel Gold Race (‘87); Giro di Romandia (‘74); GP Lugano (‘78); Vuelta di Spagna (‘79); 5 Attraverso Losanna (‘75-‘76-‘77-‘78-‘79); Nizza-Seillans (‘73); GP Isbergues (‘75-‘77); Parigi-Camembert (‘78); Giro AltoVar (‘79-‘83); GP Cerami (‘80-‘81); 10 Tappe al Tour; 3 tappe alla Vuelta.

Luis Ocana (Esp)
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1° sul Galibier, il 13 luglio 1973 - tappa del Tour: Mountiers – Les Orres
Nato a Priego il 9 giugno 1945, deceduto a Nogaro il 19 maggio 1994. Professionista dal 1967 al 1977 con 110 vittorie all’attivo.
Un uomo sfortunato Ocana, con un volto che lasciava intravedere, in ogni occasione, anche nel successo, una tristezza di fondo, un peculiare segno di destino avverso.
Anche la sua fine tragica e voluta, come l’incidente di qualche anno prima che gli procurò cecità ad un occhio, paiono atti di un copione in-triso di cupe amarezze. Ma lo spa-gnolo triste, emigrato a tutti gli effetti in Francia a coltivare il suo vino di qualità, è stato un corridore straordinario. L’unico, che ha saputo battere con annessa umiliazione Eddy Merckx, il più forte ciclista di sempre. Accadde al Tour de France 1971. Qui, Luis fu autore di una delle più grandi imprese della storia ad Orcieres Merlette, dove lasciò Van Impe, 2°, a 5'52" e Merckx, 3°, a 8'42". Poi, in maglia gialla con un vantaggio di oltre 7’, nella tappa pirenaica che si concludeva a Luchon, nella discesa del Col de Mente, sotto un diluvio, scivolò, si rialzò prontamente, ma fu investito da Zooetemelk che lo seguiva e le conseguenze furono il ritiro e l’ospedale. Forte del titolo nazionale si presentò l'anno successivo per prendersi la rivincita, ma una polmonite lo fece abbandonare. Il Tour de France però, era nel suo DNA e nel ''73 dominò: sei tappe vinte con distacchi incredibili ed a Parigi l’apoteosi con  15'51" su Thevenet e 17'15" su Fuente.
Altre importanti corse a tappe del suo palmares: Vuelta di Spagna '70, Settimana Catalana '69 e '73, Delfinato '70-'72-'73 e Paesi Baschi '73. Bravo anche a crono: GP delle Nazioni '71, Trofeo Dicen '69-'70, GP Dissenhofen '71, GP di Lugano '71 e il “Baracchi” con Mortensen nel '71. Ocana fu Campione spagnolo a cronometro ('68) e in linea ('72). Nel ’71 e ‘73 (fu 3° al Mondiale), colse il posto d'onore, dopo Merckx, nel Superprestige Pernod.

Vicente Lopez Carril (Esp)

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1° sul Galibier, il 9 luglio 1974 - tappa del Tour: Aix les Bains – Serre Chevalier
Nato a Donas Boqueijon il 2 dicembre 1942, deceduto a Gijón il 29 marzo del 1980. Professionista dal 1965 al 1979 con 32 vittorie.
Un gran bel corridore, non un campione, ma uno di quelli che la storia del ciclismo definisce “spalle”, ovvero quei gregari particolari che sanno determinare con evidenza maggiore i successi del proprio capitano. Vicente, probabilmente era anche di più, perché ha saputo segnare la sua epoca con successi che ne testimoniano qualità. E poi non si giunge sul podio del Tour de France se non si è corridori di un certo spessore. Lo chiamavano Palillos (bastoncino) per la sua struttura filiforme, non supportata da un’altezza di nota. Altri, invece, lo identificavano semplicemente come “Candasu”, perché cresciuto in un villaggio di pescatori della Galizia, che portava quel nome. Lopez Carril era fortissimo in salita e sulle pendenze ha costruito i suoi successi, aldilà del lungo ruolo di spalla verso José Manuel Fuente "il Tarangu", in tutte le grandi corse a tappe. Qui ha saputo vincere frazioni sia al Tour, che al Giro, che alla Vuelta. Sempre tappe di peso altimetrico evidente. Nella Grande Boucle è stato un vero protagonista perché ai grandi piazzamenti finali (oltre al 3° posto citati, è finito altre 4 volte nei primi 10), di frazioni ne ha vinte 3, una per 3 anni consecutivi (1973-’74-’75). In particolare lasciò il segno nella la Aix-les-Bains Serre-Chevalier del ’74, dove superò solitario anche il mitico Galibier. Nel suo palmares ci sono inoltre, il Campionato nazionale nel ’74, 2 GP di Navarra (’72-’77), la Vuelta a Mallorca (’68), 2 Vuelta delle Valli Minerarie (’71-’73), la Vuelta del Levante (’75), 2 Vuelta delle Asturie (’73-’77), la Klasica Primavera Amorebieta (’77). La sua morte prematura, avvenne solo qualche mese dopo la chiusura della carriera: fu colpito da infarto mentre giocava a calcio fra amici.

Lucien Van Impe (Bel)
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1° sul Galibier, il 15 luglio 1979 - tappa del Tour: Les Menuries – Alpe d’Huez
Nato a Mere il 20 ottobre 1946. Professionista dal 1969 al 1987 con 73 vittorie. Van Impe, è stato un ciclista di grande efficacia in montagna. Possedeva anche un bella pedalata in pianura, nonostante non abbia mai lasciato su questo versante, tangibili segni. Tatticamente perfetto nelle scelte di tempo sulle quali affondare i suoi scatti sulle ascese. Longevo come pochi. Si è sempre preparato con l’obiettivo delle corse a tappe, sul Tour de France agli inizi e poi con l’andare degli anni anche sulle altre. Solo nel 1976 però, grazie pure alla abile regia del suo giovane ex-collega, nonché neo direttore sportivo Cyrille Guimard, è riuscito a concludere la Grande Boucle in maglia gialla (più una vittoria di tappa), ma può esibire il vanto di aver portato a termine tutte le 14 edizioni del Tour che lo hanno avuto al via.
Questo il bilancio: 12° nel ‘69, 6° nel ‘70, 3° nel ‘71 (primo nel GP della Montagna), 4° nel ‘72 (una tappa e il GP della Montagna), 5° nel ‘73 (una tappa), 18° nel ‘74, 3° nel ‘75 (due tappe e il GP della Montagna), 3° nel ‘77 (una tappa e il GP della Montagna), 9° nel ‘78, 11° nel ‘79 (una tappa), 16° nell’80, 2° nell’81 (una tappa e il GP della Montagna), 4° nell’83 (una tappa e il GP della Montagna) e 27° nell’85. Sicuramente un ottimo ruolino, anche se favorito dalla mancanza di grandi scalatori nel decennio a cavallo degli anni ’80. Buon bilancio anche al Giro d’Italia, che lo vide 4° nell’82 (primo nel GP della Montagna), 9° nell'83 (una tappa e il GP della Montagna), 7° nell'84 e 13° nell'85. Ha vinto tappe anche alla Vuelta di Spagna e al Giro della Svizzera (dove conquistò anche un GP della Montagna). Ha conquistato pure un bel numero di corse minori, soprattutto vinse a 36 anni il Campionato del Belgio nel 1983. Pure suo fratello minore Frank, ed il di questi figlio Kevin, sono divenuti professionisti.

Maurizio Ricci detto Morris

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#11
Johan De Muynck (Bel)

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1° sul Galibier, il 14 luglio 1980 - tappa del Tour: Serre Chevalier – Morzine
Nato a Sleidinge il 30 maggio 1948. Professionista dal 1971 al 1983 con 26 vittorie.
La carriera di questo corridore fiammingo, pur di pregio, si arrestò e, miracolosamente, poté ripartire, dopo una gravissima caduta, avvenuta nel corso del Giro del Nord 1972. De Muynck, ne era uscito con una grave frattura al cranio. Nonostante un fisico per nulla eccezionale, Johan possedeva una notevole completezza che gli donava regolarità: era quindi adatto alle corse a tappe, anche perché il suo pezzo forte era la salita.
Nel ‘76 stravinse il Tour de Romandie (al successo finale aggiunse 3 tappe), tradizionalmente propedeutico al Giro d’Italia e si presentò alla "corsa rosa" con l'intenzione di provare a vincere. Qui, colse la tappa di Matera e conquistò la maglia rosa a Vigo di Fassa, dopo aver staccato i più forti in salita. Due giorni dopo però, nella frazione di Bergamo cadde e gli avversari lo attaccarono. Nonostante le ammaccature e lo sconforto, riuscì a tenere la "rosa" anche in quella frazione, ma con un vantaggio troppo risicato per la crono finale, dove Gimondi gli soffiò il Giro. Johan comunque, era un predestinato, ed il Giro d’Italia lo conquistò due anni dopo. Si trattò di un vero e proprio dominio, perché vinse la terza tappa a Cascina, conquistando nell'occasione quel “rosa” che riuscì a mantenere, senza soverchi problemi, fino a Milano.
Non fortunato, invece, il suo rapporto col Tour de France, una corsa che affrontò per la prima volta già anziano e che gli regalò solo un 4° posto (’80) ed un 7° (’81), entrambe le volte senza vittorie di tappa. Nella prima occasione però, si tolse la soddisfazione di passare in testa al leggendario Galibier. Tra le sue altre vittorie, meritano citazione la Freccia del Brabante '73, una tappa del Giro del Belgio '75, una nella Vuelta di Catalogna '77 ed una del Midi Libre '78.

Francisco Rodriguez (Col)
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1° sul Galibier, il 17 luglio 1984 - tappa del Tour: Alpe d’Huez – La Plagne
Nato a Bogotà il 5 giugno 1960. Professionista dal 1984 al 1991 con 18 vittorie. Classico corridore colombiano, con spiccate attitudini di scalatore, più adatte ad una sola ascesa piuttosto che a più salite. Fu popolare in Europa, perché a differenza di altri connazionali del medesimo periodo, fra i quali il tanto più grande Lucho Herrera, Rodriguez consumò la prima parte della sua carriera professionistica, proprio in squadre europee. Soprannominato “Pacho”, si mise in luce nel 1982, quando, con la nazionale di Colombia, partecipò al Tour de l’Avenire. Era ovviamente ancora dilettante, ma le sue buone prove, spinsero la squadra belga “Splendor”, a farlo esordire nella massima categoria nel 1984. La sua prima stagione fu più che buona, perché ai successi in patria nella Clasica Buenaventura ed in due tappe del Clasico RCN, nel duro e significativo Dauphiné Libéré, fu subito capace di conquistare un paio di belle frazioni. Tornato in Colombia per il Giro del suo paese, fece sua la 12° tappa. Al Tour de France, nella corsa dominata da Laurent Fignon, si mise in luce passando primo sul mitico Galibier, ma per il resto, non andò oltre il 45° posto finale. L’anno seguente emigrò in Spagna, alla “Zor”, conquistando 4 successi: 2 tappe della Vuelta di Spagna e la Classifica Finale, nonché una frazione, del Clasico RCN. Nel 1986 subì una flessione, anche per una caduta che lo costrinse ad un repentino abbandono del Tour. Nel 1987, vinse la 21a tappa della Vuelta di Spagna, ma i piazzamenti finali modesti, sia alla Vuelta che al Tour, fecero capire definitivamente l’impossibilità di Pacho, per la classifica di queste corse. A fine anno tornò ad accasarsi in patria, vincendo nell’89, la Clasica Cundinamarca e il GP Mundo Ciclistico e, nel ’90, nuovamente la Clasica Cundinamarca, 2 tappe del Giro di Colombia e la Clasica Boyaca.

Luis Herrera (Col)

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1° sul Galibier, il 21 luglio 1986 - tappa del Tour: Briancon - Alpe d’Huez
Nato a Fusagasuga il 4 maggio 1961. Professionista dal 1984 al 1992 con 38 vittorie. Per chi scrive, il più grande ciclista colombiano di sempre. "Lucho" è stato il primo a vincere una tappa del Tour de France, proprio sul prestigioso traguardo dell’Alpe d’Huez, nella edizione 1984, anno del suo debutto fra i prof ; il primo e, per ora unico, a conquistare una di queste grandi manifestazioni: la Vuelta di Spagna 1987. Grande scalatore, pur non essendo eccelso nello scatto, sapeva mantenere un passo devastante, fu subito capace di reggere il confronto coi migliori stradisti europei. Un corridore che non ebbe una carriera lunga, probabilmente perché preferì chiudere ai primi segni di flessione, piuttosto che tramontare. Dopo il bel esordio al Tour ‘84, fece ancor meglio l’anno seguente, centrando 2 tappe (ad Avoriaz e St. Etienne), vincendo la Classifica dei GPM e chiudendo 7° a Parigi. Nell’86 non brillò, facendosi comunque notare sulle montagne e passando, fra l’altro, in testa sul Galibier. L’esplosione nell’87, quando vinse la 11a tappa e la Classifica Finale della Vuelta di Spagna, divenendo così una gloria della Colombia intera. Sempre in quella stagione, chiuse 5° il Tour e riconquistò la Classi-fica dei GPM. Lanciato, nell’88 vinse il prestigioso Dauphiné Libéré, ma fallì nuovamente il podio al Tour: 6°. Nell’89 esordì al Giro d’Italia, vincendo 2 tappe e la Classifica del GPM. Dopo un ’90 in sordina, tornò a ruggire nella stagione seguente, rivincendo il Dauphiné Libéré, una tappa e la Classifica GPM alla Vuelta di Spagna. Nel ’92, il suo canto del cigno, con la conquista di una tappa al Giro e la “solita” Classifica dei GPM. Nel suo palmares ci sono le vittorie nelle migliori corse del suo Paese: 3 Vuelta di Colombia (’84-’85-’88) e 4 Clasico RCN (’82 e ’83 - quando era gara open - indi ’84 e’86). In Europa vinse anche la Vuelta d’Aragona nel ‘92.

Pedro Munoz (Esp)
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1° sul Galibier, il 22luglio 1987- tappa del Tour: Le Bourg d'Oisans-La Plagne
Nato a Mieres il 6 novembre 1958. Professionista dal 1980 al 1991 con 22 vittorie. Il suo fisico filiforme e l’innato richiamo verso una notevole ritmicità, lo fecero divenire un corridore ottimo in salita, ma Pedro era buono pure sul passo, persino forte sulle brevissime cronometro. Il suo tallone d’Achille: l’incostanza. O meglio, non era capace di mettere sul campo la concentrazione necessaria per poter reggere l’attenzione che serve in una lunga corsa a tappe. Lo capì presto e ne fece tesoro, spendendosi al massimo nelle brevi corse a frazioni e cercando di far il meglio possibile nei Grandi Tour, con uno sguardo particolare verso le classifiche dei GPM. Il suo palmares rispecchia appieno questa letture.
Al Tour de France non vinse tappe, ed il suo miglior piazzamento fu l’8° posto del 1984. Di nota il suo passaggio in testa al Galibier nel 1987. Al Giro d’Italia, il suo miglior ruolino lo recitò nell’86, quando vinse una tappa e la Classifica dei GPM, chiedendo 10°. Alla Vuelta di Spagna vinse una tappa nell’81, anno nel quale sfiorò il successo finale, finendo 2°. Ben diverse le sue consistenze nelle corse a frazioni più brevi. Vinse la Vuelta delle 3 Province nell’82, la Vuelta a Castilla e la Vuelta delle Asturie nell’83, nonché tappe nelle stesse e nella Settimana Catalana, nella Vuelta a Burgos, nella Vuelta d’Aragona, nel Giro di Catalogna, nella Parigi Nizza e nel Giro dei Paesi Baschi. A livello di corse di un giorno o classiche, riuscì a tagliare il traguardo per primo nel GP di Navarra (’82), nel Trofeo Masferrer (’82) e nella GP Prueba Villafrance de Ordizia (’84). Nell’88, con l’arrivo nella sua squadra dell’iridato Stephen Roche, iniziò a fare il gregario. Ruolo che non cambiò anche quando passò nella famosa “ONCE”. Solo nell’ultimo anno di carriera, in “Artiach-Royal”, si riaprirono gli spazi per lui, ma era al tramonto.

Gert-Jan Theunisse (Ned)

[Immagine: 16452940891325Theunisse,Gert-Jan.jpg]
1° sul Galibier, il 19 luglio 1989 - tappa del Tour: Briancon - Alpe d’Huez
Nato a Berghem il 14 gennaio 1963. Professionista dal 1984 al 1995, con 22 vittorie. Gert-Jan Theunisse, è stato uno dei ciclisti più popolari, distinguibili e chiacchierati a cavallo degli anni ’90. Ci sono ragioni precise che spiegano questa lettura. Innanzitutto, il suo protagonismo nell’evento più importante, ma pure più televisivo al mondo, ovvero il Tour de France. Indi il suo portamento, tanto si-lenzioso quanto d’evidenza, per quei lunghi capelli biondi e l’orecchino al lobo sinistro, che lo fecero icona della modernizzazione del look. Infine, per quei suoi casi di positività, verso i quali si disquisì anche troppo, ma che non potevano cancellare la più tangibile delle sostanze: “l’Angelo Biondo”, come era chiamato, era davvero un corridore forte. Insomma, un insieme di filoni, verso i quali ogni storico è costretto a soffermarsi.
Si segnalò vincendo il Titolo olandese militari, nel 1982. Due anni dopo passò prof . Per 4 stagioni la sua crescita faticò ad emergere, nonostante qualche successo e alcuni piazzamenti che ne annunciavano qualità. Poi, nell’88, l’esplosione. Ad un terno di vittorie minori, aggiunse il successo in una grande corsa come la Clasica San Sebastian e fu autore di un Tour da protagonista, chiuso 11° anziché 4° per una penalizzazione. Nell’89, la consacrazione nella Grande Boucle, con la vittoria nella Briancon - Alpe d'Huez, tappa nella quale passò in testa a Galibier, Croix de Fer e giunse solo sull’Alpe. A Parigi vinse la Maglia a Pois di miglior scalatore e chiuse 4° nella Generale. Poi il calo, anche per talune vicende di positività all’antidoping. Vinse comunque nel ’91 il Giro del Lussemburgo e la Vuelta delle Valli Minerarie (con una vittoria di tappa su ciascuna), diversi criterium e nuovamente una frazione del “Lussemburgo” ’92. Nel ’95 chiuse col ciclismo su strada per problemi cardiaci. Continuò nella Mountain Bike.

Franco Chioccioli (Ita)
[Immagine: 16362005471325Chioccioli,Franco.jpg]
1° sul Galibier, il 19 luglio 1992 - tappa del Tour: Sestrières - Alpe d’Huez
Nato a Castelfranco di Sotto il 25 agosto 1959. Professionista dal 1982 al 1994, con 28 vittorie. Era chiamato “Il Coppino”, per la somiglianza col grande Fausto e per le speranze che nutrivano i suoi sostenitori. Non è diventato un parente stretto di Coppi, ma un bel corridore che ha raccolto meno di quanto abbia seminato, spesso per sfortuna. Passato prof nel 1982, si fece subito notare per alcuni piazzamenti, come il 2° posto al Giro dell'Etna e al significativo Giro dell'Appennino. Al suo primo Giro d'Italia chiuse 25°. Sarà proprio la “corsa rosa”, la sua croce e la sua delizia. Dopo un lento miglioramento dei suoi piazzamenti finali tra l’83 e l’87, si presentò al Giro ’88 come capitano della blasonata Del Tongo, sicuro di poter vincere. Vinse la tappa che si chiudeva sull’erta di Campitello Matese e conquistò la maglia rosa a Selvino. Ma nella frazione del Gavia, resa tremenda dalla neve e dal freddo, la perse, non ritrovandosi più. Chiuse 5°: suo miglior piaz-zamento fin lì. Idem nell’89, mentre fu 6° nel ’90, ma in entrambe le occasioni, senza acuti, grazie alla regolarità. Quasi 32enne esplose nel ’91. Conquistò la “rosa” nella 2a tappa, la riperse e la riprese, fino a dominare sulle grandi salite, vincendo le frazioni dell’Aprica e del Pordoi e, persino, la cronometro finale. Fu un’apoteosi. Nel ’92, venne al Giro Indurain e si vide. Chioccioli vinse una tappa e chiuse 3°, dietro lo spagnolo e Chiappucci. Partecipò finalmente al Tour de France, dove vinse una grande tappa a St. Etienne, transitò primo su quattro vette (tra le quali il mitico Galibier), ed a Parigi, chiuse 3° nella Classifica dei GPM e 16° nella Generale. Tra le sue altre vittorie, di nota furono: la Coppa Agostoni (’84), il Giro del Friuli (’85), il Memorial Nencini (’90), la Bicicletta Basca (’92), nonché diverse frazioni di corse a tappe.

Maurizio Ricci detto Morris

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#12
Sembra proprio di leggere di un altro sport rispetto a quello che vediamo oggi.

Senza neanche osare nominare i Gaul e i Bahamontes....ma come ci siamo passati da De Muynck e i Chioccioli agli attrezzi di oggi?

Jai Hindley e Tao quellarobalà hanno vinto il Giro d'Italia......
 
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#13
Tony Rominger (Sui)

[Immagine: 16465942631325Rominger,Tony.jpg]
1° sul Galibier, il 14 luglio 1993 - tappa del Tour: Villard de Lans - Serre Chevalier
Nato a Vojens (Danimarca) il 27 marzo 1961. Professionista dal 1986 al 1997 con 122 vittorie. Un protagonista delle corse a tappe, che arrivò solo nella maturità ad esaltare le sue qualità di scalatore resistente allo sforzo prolungato e di cronoman. Una completezza, che gli consentì, oltre i 30 anni, il primato di essere l’unico capace di vincere 3 edizioni consecutive della Vuelta di Spagna, nel 1992-’93-’94.
Passato professionista nel 1986, solo nell’89 cominciò a stabilirsi ai vertici, vincendo la Tirreno-Adriatico (successo ripetuto l'anno seguente) e il Giro di Lombardia, colto in una giornata quasi invernale. Nel ‘91 si aggiudicò la Parigi-Nizza (come pure nel ‘94) e il Giro di Romandia (rivinto poi nel ‘95). Dal 1992 al ’94, le 3 consecutive vittorie nella Vuelta, trovarono importanti e luminosi contorni nei successi in 11 tappe della stessa, in 3 vittorie nel Giro del Paesi Baschi (’92-’93-’94), ed in un nuovo successo nel Giro di Lombardia (’92). A fine ’94, fu classificato al primo posto nel ranking UCI e stabilì il Primato dell’ora, che rimase insuperato per due anni, prima di essere cancellato per il cambio del regolamento sulle biciclette. Nel ‘95 dominò il Giro d'Italia, vincendo oltre alla Generale finale, anche 4 tappe e la Classifica a punti. Fra gli altri successi di quella stagione, di nota il GP delle Nazioni a cronometro. Il miglior piazzamento al Tour de France, Rominger lo colse nel ‘93, quando finì 2° alle spalle di Indurain, ma riuscì a vincere 3 tappe e la Classifica di miglior scalatore. Nell’edizione passò in testa ai grandi colli, ma il formidabile Miguel, non perse mai la sua ruota. Prima di chiudere la carriera, dopo un '97 senza successi, fu autore di un positivo ’96, dove vinse 2 tappe della Vuelta, arrivando 3° nella Classifica finale. Nell’anno, fece sue anche l’Attraverso Losanna e la Vuelta di Burgos.

Marco Pantani (Ita)
[Immagine: 16797558981325Pantani,Marco.jpg]
1° sul Galibier, il 27 luglio 1998 - tappa del Tour: Grenoble – Les Deux Alpes
Nato a Cesena il 13 gennaio del 1970, deceduto a Rimini il 14 febbraio 2004. Professionista dal 1992 al 2003 con 50 vittorie, compresi i premi speciali. Scalatore eccezionale, da collocare di diritto assieme, a Gaul e Bahamontes, come componente il podio storico degli scalatori. Ha saputo elevare, su ogni vittoria, un alone di fascino e di mito come pochissimi nel grande romanzo del ciclismo. Soprattutto, lo ha fatto in un’epoca, dove le imprese dal sapore leggendario, si pensavano finite. E per dimostrare che è stato un ciclista moderno dal sapore antico, basti citare il fatto che è ancora, probabilmente, il corridore col maggior numero di tifosi non solo in Italia, ed è stato l’ultimo a costruire sulle monumentali pendenze del Galibier, lontane dal traguardo, non solo la vittoria di una tappa, ma dell’intera corsa che più di tutte amava: il Tour de France. Sono suoi i principali record nella percorrenza delle ascese più importanti, ed è sua l’ultima doppietta Giro-Tour. Fin da ragazzino, mostrò doti sulle salite da far rabbrividire chiunque e, nonostante su di lui si sia scritto tantissimo, pochi sanno che le sue velocità ascensionali medie, da juniores e da dilettante, erano superiori a quelle colte da fior di campioni del ciclismo prof. Fra le sue vittorie, la citata doppietta al Giro d’Italia e Tour de France nel ‘98; 8 tappe nella Grande Boucle, di cui è stato maglia gialla in 6 occasioni; 8 tappe al Giro, di cui è stato leader per 14 giorni. Ai Mondiali è giunto 3° nel ‘95. Otto giorni dopo l’evento iridato, durante la Milano Torino, fu travolto da un'auto vergognosamente contromano, che gli procurò le fratture scomposte ed esposte di tibia e perone della gamba sinistra. Ritornò più grande di prima, anche se la logica spingeva verso la fine della carriera. Poi, il più che oscuro controllo dell’ematocrito a Madonna di Campiglio, durante un dominato Giro ’99, che gli impedì di proseguire e la vergognosa ed ineguagliata campagna diffamatoria che ne seguì in Italia, lo spinsero verso depressione e crisi esistenziale. Morì tragicamente a Rimini a San Valentino ‘04, ma anche su quella morte insistono enormi ombre.

Josè Luis Arrieta (Esp)

[Immagine: 16647139091325ArrietaLujambio,Jose-Luis.jpg]
1° sul Galibier, il 13 luglio 1999 - tappa del Tour: Le Grand Bornand – Sestrières
Nato a San Sebastián il 15 giugno 1971. Professionista dal 1993 al corrente anno con 4 vittorie all’attivo. Per questo corridore basco, dal fisico longilineo, buone qualità e tanta generosità, a carriera appena conclusa, si potrebbe scrivere un romanzo dal titolo: “Una vita da gregario”.  Già, perché gran parte del suo segmento professionale nel ciclismo, lo ha passato a spalleggiare, privandosi di ogni velleità, i suoi capitani. Due su tutti: Miguel Indurain e Alex Zulle.
E dire che nelle categorie giovanili, Arrieta non era pronosticabile al ruolo, visto che era un vincente capace di far suo, tra gli altri successi, il titolo nazionale juniores nel 1989. Anche da dilettante fu un evidente e l’ingaggio nella “Banesto” del grande Indurain, apparve a tutto l’osservatorio come un segno del riconoscimento delle sue qualità. Poi, tra i professionisti le cose cambiarono e Josè Luis si dedicò al ruolo di spalla. In questa squadra spagnola, che nel corso degli anni assunse altre denominazioni come “iBanesto.com” nel 2001 e “Illes Balears” nel 2004, Arrieta passò 13 anni, indi, dal 2006, iniziò il suo rapporto con la francese “AG2R La Mondiale”.
Nel 2002, vinse la prima tappa della Vuelta delle Asturie, nel 2005 il Circuito di Pamplona, mentre nel 2006 colse il successo nella 19a frazione della Vuelta di Spagna. A queste vittorie individuali ha aggiunto una cronosquadre alla vuelta Castilla y Leon nel 2004. Notevoli i ruoli che seppe recitare a fianco dei capitani al Tour de France. Due fra i tanti. Nel ‘99, fu autore di una bella fuga in appoggio a Zulle, nella tappa che si concludeva al Sestriere, in Italia, e nella quale passò in testa al Telegraphe e sul leggendario Galibier. Nel 2006, si rese protagonista di una pregevole azione durante l’11a tappa, al servizio del compagno in maglia gialla Cyril Dessel, guidandolo per tutta la salita e la discesa del Col d’Aspin.

Pascal Hervè (Fra)
[Immagine: 16580585771325Herve,Pascal.jpg]
1° sul Galibier, il 16 luglio 2000 - tappa del Tour: Briancon  – Courchevel
Nato a Tours il 13 luglio 1964. Professionista dal 1994 al 2001 con 13 vittorie. Nella storia del ciclismo si incontrano sovente dei corridori che sono passati inspiegabilmente tardi al professionismo, ovvero al versante di questo sport che lascia le tracce più evidenti e riconosciute. Pascal Hervé è senza dubbio uno di questi. Era infatti stato un ottimo dilettante, certo maturato con lentezza, ma con costanza. Nel 1992, vinse il Campionato francese della categoria e il suo spessore internazionale lo si vide compiutamente l’anno seguente, quando vinse il Regio Tour, in Germania.
Finalmente, nel ‘94, nella stagione delle 30 primavere, Pascal poté fare quel salto a cui ogni corridore ambisce. Lo fece con la “Festina”, all’epoca squadra tra le primissime a livello mondiale.
Hervè si mise in luce subito, per buone doti di scalatore, ed una discreta capacità sul passo. Nell’anno vinse la 5a tappa del Dauphiné Libéré (chiuso poi 5°), ed il Criterium di Bergerac. Al Tour de France raccolse diversi piazzamenti nei primi dieci di tappa. Nel ’95 non riuscì a vincere, ma l’andamento medio fu buono. Molto positivo, invece, il suo ’96, con la vittoria nell’8a tappa del Dupont Tour e nella 6a frazione del Giro d'Italia, nella quale conquistò anche la maglia rosa che, tuttavia, conservò per una sola giornata. Dopo un ’97 dove conquistò solo una tappa del Giro del Cile, tornò prepotentemente al successo nel ’98, dove a tre successi, minori aggiunse il prestigioso GP di Plouay. Nel ’99 non vinse e fra i suoi piazzamenti ci fu il posto d’onore nel Campionato francese. Il nuovo millennio lo portò in Italia, alla “Polti” e, nella stagione, vinse una tappa del Tour de Suisse, due criterium e, soprattutto, fu protagonista sulle montagne della Grande Boucle, passando primo sul Galibier. Nel 2001, una positività all’antidoping lo costrinse, di fatto, a chiudere la carriera.

Santiago Botero (Col)

[Immagine: 16821589861325BoteroEcheverry,Santiago.jpg]
1° sul Galibier, il 24 luglio 2002 - tappa del Tour: Les Deux Alpes – La Plagne
Nato a Medellin il 27 ottobre 1972. Professionista dal 1996 al 2010 con 40 vittorie. Divenuto professionista con la Kelme, squadra spagnola, faticò diversi anni prima di emergere. La sua prima vittoria di un certo peso, la colse nel 1999, in una tappa della Vuelta dell’Andalusia. L’esplosione al Tour de France 2000, dove vinse la tappa che si concludeva a Briancon, con-quistò la Classifica dei GPM e chiuse 7° nella Generale Finale di Parigi. Molto forte a cronometro e più che discreto in salita, deve alla gara contro il tempo il suo maggiore successo. Accadde ai Mondiali Crono del 2002, il suo anno migliore, quando si tolse anche la soddisfazione di vincere una tappa del Dauphiné Libéré, due tappe al Tour de France (dove finì 4° assoluto e passò in testa sul leggendario Galibier), una frazione della Vuelta di Spagna, nonché la Classica delle Alpi. Nel 2003 decise di trasferirsi alla tedesca T-Mobile, ma passò un paio di stagioni piuttosto grigie. Nel 2005, finì alla svizzera Phonak e vinse il Giro di Romandia, ma nel 2006 la sua carriera si fermò poco prima del Tour de France, a causa del suo coinvolgimento nello scandalo doping scoppiato in Spagna, attorno alle attività del dottor Eufemiano Fuentes. Botero, fu prima sospeso e poi licenziato dal suo team, ma nel 2007, riuscì a trovare un ingaggio in un sodalizio colombiano di categoria Continental, l’Orbitel. Ed ha continuato a correre, tanto è vero che ha saputo vincere il Giro di Colombia (2007), i Giochi Panamericani a cronometro (2007), il Campionato nazionale a cronometro (2007-‘09) e, nel 2010 i Campionati Sudamericani, sia in linea che a cronometro. Tra le sue altre vittorie, da segnalare una miriade di tappe di vari tour, fra le quali ben 5 alla Vuelta di Spagna e 6 nella Vuelta di Colombia.

Stefano Garzelli (Ita)
[Immagine: 16821796181325Garzelli,Stefano.jpg]
1° sul Galibier, il 13 luglio 2003 - tappa del Tour: Sallanches – Alpe d’Huez
Nato a Varese il 16 luglio 1973. Professionista dal 1998 al 2013, con un palmares di 43 vittorie. Corridore molto longevo e completo, anche se non eccelso su nessun versante. In carriera vanta un Giro d’Italia ed un protagonismo che lo ha evidenziato come uno dei migliori corridori italiani degli ultimi cinque lustri. Notevoli anche i piazzamenti di prestigio che ha ottenuto.  
Tutte le sue vittorie:
1998: 3 vittorie (4a e 5a tappa Tour de Suisse; Classifica generale Tour de Suisse). 1999: 2 vittorie (GP Miguel Indurain; 3a tappa Giro dei Paesi Baschi). 2000: 5 vittorie (4a tappa Settimana Ciclistica Lombarda; 3a tappa Giro d'Italia; Classifica generale Giro d'Italia; Memorial Fabio Casartelli; 8a tappa Giro di Svizzera). 2001: 3 vittorie (5ª tappa Giro dei Paesi Baschi; Gran Premio Industria e Artigianato; 7ª tappa Giro di Svizzera. 2002: 3 vittorie (Gran Premio Industria e Artigianato; 2a e 5a tappa Giro d'Italia). 2003: 3 vittorie (1a tappa Giro del Trentino; 3a e 7a tappa Giro d'Italia). 2004: 3 vittorie (Classifica generale Vuelta d’Aragona; 2a tappa Giro di Romandia; 19a tappa Giro d'Italia). 2005: 2 vittorie (Tre Valli Varesine; Trittico Lombardo). 2006: 5 vittorie (Rund um den Henninger-Turm; 4a tappa Giro del Lussemburgo; Tre Valli Varesine; Trittico Lombardo; Trofeo Melinda). 2007: 4 vittorie (3a tappa Giro del Trentino; 14a tappa Giro d'Italia; 16a tappa Giro d'Italia; 2a tappa Giro di Slovenia). 2008: 5 vittorie (2a tappa Giro del Trentino; 4a tappa Giro del Trentino; 2a tappa Giro delle Asturie; 3a tappa Giro delle Asturie; Classifica generale GP di Vallonia). 2009: 1 vittoria (Classifica GPM Giro d’Italia). 2010: 3 vittorie (Classifica generale Tirreno-Adriatico; Classifica a punti della Tirreno Adriatico; 16a tappa Giro d'Italia). 2011: 1 vittoria (Classifica GPM Giro d’Italia).

Maurizio Ricci detto Morris

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#14
Alexandre Vinokourov (Kaz)

[Immagine: 15655058911325Vinokourov,Alexandre.jpg]
1° sul Galibier, il 13 luglio 2005 - tappa del Tour: Courchevel – Briancon
Nato a Petropavslovsk il 16 settembre 1973. Prof dal 1998 al 2012 con 78 vittorie. Corridore che aldilà di talune vicende di doping, è da considerarsi uno dei più spettacolari, forti ed evidenti degli ultimi 25 anni. Le sue vittorie nelle classiche, quanto nei GT (ha vinto una Vuelta), sono sempre state perle da manuale ciclistico. Ed è rimasto forte fino al ritiro. Tutti i suoi successi. 1998: 8 vittorie (4a tappa Circuit Mines, Circuit Lorraine, 4a tappa Circuit Lorraine, Circuit Mines, Quattro Giorni Dunkerque, 2a tappa (a) Tour Picardie, Tour Picardie, 6a tappa Giro Polonia. 1999: 7 vittorie (Vuelta Communidad Valenciana, 5a tappa (b) Vuelta Ciclista Communidad Valenciana, 2a e 6a tappa Midi Libre, 2a tappa Dauphinè Libéré, Criterium Dauphiné Libéré, 3a tappa Tour Limousin). 2000: 2 vittorie (1a tappa “cronosquadre” Tour de Suisse, 18a tappa Vuelta a Espana, Medaglia d’Argento Sydney 2000 prova su strada). 2001: 4 vittorie (Giro di Germania, 6a tappa Giro di Germania, 4a tappa Tour de Suisse, Criterium di Montpon). 2002: 3 vittorie (Parigi Nizza, 4a tappa Parigi Nizza, 3a tappa Tour de Suisse). 2003: 10 vittorie (Amstel Gold Race, Parigi-Nizza, Tour de Suisse, 5a tappa Parigi-Nizza, 1a tappa del Tour de Suisse, Criterium Draai van de Kaai, City Night Rhede, Circuit Castillon, Galà Tour de France, Memorial Kivilev). 2004: 6 vittorie (5a, 7a, 8° tappa Parigi-Nizza, Regio Tour, 2° e 3° tappa Regio Tour). 2005: 11 vittorie (Liegi-Bastogne-Liegi, 11a e 21a tappa Tour de France, Campionato Kazako, 4a tappa Dauphiné Libéré, Criterium Pau, GP Jyske Bank, Circuit Castillon, Criterium Vergt, Criterium Bavikhove, Memorial Kivilev). 2006: 6 vittorie (Vuelta di Spagna, 8a, 9a, 20a tappa Vuelta di Spagna, Vuelta Castilla y Leon, 5a tappa Vuelta Castilla y Leon). 2007: 5 vittorie (Criterium Dauphine Libere, 3a e 7a tappa Criterium Dauphine Libere, 13a e 15a tappa Tour de France). 2009: 2 vittorie (3a tappa (b) del Tour de L'Ain, Campionati d’Asia Crono, Chrono Herbiers. 2010: 6 vittorie (Liegi-Bastogne-Liegi, 13a tappa Tour de France, 1a tappa e Classifica Finale Giro del Trentino, Chihuahua Criterium, Marcoles Criterium). 2011: 2 vittorie (3a tappa del Giro dei Paesi Baschi e 3a tappa del Giro di Romandia). 2012: 1 vittoria (Giochi Olimpici Prova su strada).

Michael Rasmussen (Den)
[Immagine: 15639606501325Rasmussen,Michael.jpg]
1° sul Galibier, il 19 luglio 2006 - tappa del Tour: Bourg d’Osains-La Toussuire
Nato a Holbaek il primo giugno 1974. Professionista dal 2001, con 20 vittorie. Iniziò la carriera ciclistica con la mountain bike dove vinse il Mondiale nel ‘99. Dopo l’iride iniziò a frequentare le gare sull’asfalto e, nell’agosto del 2001, debuttò fra i professionisti con la squadra danese Glud & Marstrand Horsens, un sodalizio GS3, equiparabile alle odierne continental. Vinse subito la prima tappa della Jadranska Magistrala, al punto che il Team CSC Tiscali, lo chiamò come “Tirocinante” per l’ultimo scorcio di stagione e gli offrì un contratto per il 2002, anno nel quale si aggiudicò la 4a tappa, molto dura, della Vuelta a Burgos. Nel 2003 Rasmussen, passò all’olandese Rabobank, ed il tenore delle sue vittorie iniziò a farsi più consistente e significativo. Colse infatti il successo nella 7a tappa della Vuelta di Spagna, a Cauterets, nel 2003, mentre nel 2004 s’aggiudicò la 6a tappa del Giro del Delfinato, a Grenoble e, nel 2005 esplose al Tour de France. Durante quella Grande Boucle, infatti, con una splendida fuga da lontano, trionfò nella 9a tappa che si concludeva a Mulhouse e restò fra i prota-gonisti del Tour fino alla fine, con la conquista della Classifica del GPM e il 7° posto assoluto.
Grandissimo anche il suo Tour de France 2006, dove fece sua la 16a tappa, Bourg d’Osains-La Toussuire, con una fuga d’altri tempi di ben 176 chilometri, attraverso le solitarie scalate del Galibier, della Croix de Fer, del Mollard e della salita d’arrivo della frazione. A Parigi, riconquistò la “Maglia a Pois” di miglior scalatore del Tour. Più forte che mai, nel 2007, stava vincendo la Grande Boucle, quando il tutto fu vanificato dal licenziamento immediato della Rabobank, per aver dribblato dei controlli antidoping prima del Tour. Ne seguì pure una squalifica di due anni. Tornato a correre a fine 2009 colse ancora qualche traguardo (7) soprattutto in Messico ed in Serbia.

Juan Mauricio Soler (Col)

[Immagine: 15547462261325SolerHernandez,Juan-Mauricio.jpg]
1° sul Galibier, il 17 luglio 2007 - tappa del Tour: Val d’Isère - Briancon
Nato a Ramariquì il 14 gennaio del 1983. Professionista dal 2006 al 2011 con 11 vittorie.
Un corridore che alle buonissime qualità in salita ha accostato una incredibile precarietà nell’uso del mezzo che gli ha favorito un esagerato coinvolgimento sugli incidenti possibili in una gara ciclistica. In discesa, le sue lacune si sono dimostrate di una evidenza assai preoccupante. Ciononostante, s’è ritagliato uno spazio di interesse che gli è valso contratti in formazioni di buono o, addirittura, ottimo livello.
Si segnalò nel 2005, vincendo ancora dilettante la 14 tappa del Giro di Colombia open. Nel 2006 la squadra italiana “Acqua & Sapone” gli offrì la possibilità di passare al professionismo e Mauricio rispose bene, vincendo una tappa e la Classifica finale del Circuit de Lorraine, in Francia. Ciò gli valse il passaggio alla più blasonata “Barloworld” nel 2007. Con la muova squadra, si piazzò al posto d’onore alle spalle di Danilo Di Luca, nella Milano-Torino, ed al Tour de France esplose, dando spettacolo sulle salite. Nella 7a tappa, un suo scatto sul Col de la Colombière, annunciò quella che dopo due giorni fu la vittoria che lo consacrò, come un possibile protagonista del ciclismo contemporaneo. Nella 9a tappa, infatti, la Val d’Isère – Briancon, dove si dovevano affrontare le asperità del Col de l'Iseran, il colle più alto affrontato da quel Tour, il Telegraphe e il leggendario Galibier, Soler scattò proprio su quest’ultimo colle e giunse solo al traguardo. A Parigi chiuse 5° nella Classifica generale e vinse la Maglia a Pois di miglior scalatore del Tour. Un mese dopo la Grande Boucle, s’aggiudicò la 2a tappa e la Classifica finale della Vuelta a Burgos, in Spagna. Ma dal 2007, non ha più vinto nonostante la militanza in grosse squadre e nelle corse più importanti, ha rimediato una lunga serie di cadute, anche gravi, che l'anno costretto allo stop definitivo nel 2011.

Stefan Schumacher (Ger)
[Immagine: 15629619571325SchumacherStefan.jpg]
1° sul Galibier, il 23 luglio 2008 - tappa del Tour: Embrun Alpe d’Huez
Nato a Nurtingen il 21 luglio 1981. Professionista dal 2002 al 2017, con 54 vittorie.
Ciclista dal fisico possente e dalla tipica sparata del finisseur, che s’è poi dimostrata la sua dote migliore. Nel suo palmares sono finite classiche come l’Amstel Gold Race, nonché passaggi in testa su mitiche vette come il Galibier, e persino vittorie nelle tappe a cronometro al Tour de France, a dimostrazione di una completezza di nota, anche se insufficiente per farlo emergere con compiutezza nelle corse a tappe. Soprattutto gli sono sempre mancate continuità e attenzione necessarie, che sono le basi per emergere e lottare per salire sul podio di un Grande Tour. Squalificato per uso di C.E.R.A, l’Epo di 3a generazione nel 2008 rientrò dopo tre anni di stop e riuscì ancora a vincere diverse corse, 20 per la precisione. Fra queste le migliori per tradizione e partecipazione furono la prima e la seconda tappa della Vuelta delle Asturie nel 2011, nonchè la Classifica finale del Giro di Serbia nel '12 e il Tour del Marocco nel 2016. Prima dello stop per doping, i suoi migliori successi furono la 3a e la 18a tappa del Giro d'Italia, il Giro del Benelux ed il Giro di Polonia nel 2006; la 5a tappa della Tirreno Adriatico, la citata Amstel Gold Race e il Giro di Baviera nel 2007; la 4a e la 20a Tappa del Tour de France nel 2008.

Maurizio Ricci detto Morris

- continua -
 
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#15
Rasmussen era un vincitore di Tour molto più dignitoso dell'odierno danese.
 
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#16
(25-02-2024, 11:12 AM)Morris Ha scritto: Franco Chioccioli (Ita)
[Immagine: 16362005471325Chioccioli,Franco.jpg]
1° sul Galibier, il 19 luglio 1992 - tappa del Tour: Sestrières - Alpe d’Huez
Nato a Castelfranco di Sotto il 25 agosto 1959. Professionista dal 1982 al 1994, con 28 vittorie. Era chiamato “Il Coppino”, per la somiglianza col grande Fausto e per le speranze che nutrivano i suoi sostenitori. Non è diventato un parente stretto di Coppi, ma un bel corridore che ha raccolto meno di quanto abbia seminato, spesso per sfortuna. Passato prof nel 1982, si fece subito notare per alcuni piazzamenti, come il 2° posto al Giro dell'Etna e al significativo Giro dell'Appennino. Al suo primo Giro d'Italia chiuse 25°. Sarà proprio la “corsa rosa”, la sua croce e la sua delizia. Dopo un lento miglioramento dei suoi piazzamenti finali tra l’83 e l’87, si presentò al Giro ’88 come capitano della blasonata Del Tongo, sicuro di poter vincere. Vinse la tappa che si chiudeva sull’erta di Campitello Matese e conquistò la maglia rosa a Selvino. Ma nella frazione del Gavia, resa tremenda dalla neve e dal freddo, la perse, non ritrovandosi più. Chiuse 5°: suo miglior piaz-zamento fin lì. Idem nell’89, mentre fu 6° nel ’90, ma in entrambe le occasioni, senza acuti, grazie alla regolarità. Quasi 32enne esplose nel ’91. Conquistò la “rosa” nella 2a tappa, la riperse e la riprese, fino a dominare sulle grandi salite, vincendo le frazioni dell’Aprica e del Pordoi e, persino, la cronometro finale. Fu un’apoteosi. Nel ’92, venne al Giro Indurain e si vide. Chioccioli vinse una tappa e chiuse 3°, dietro lo spagnolo e Chiappucci. Partecipò finalmente al Tour de France, dove vinse una grande tappa a St. Etienne, transitò primo su quattro vette (tra le quali il mitico Galibier), ed a Parigi, chiuse 3° nella Classifica dei GPM e 16° nella Generale. Tra le sue altre vittorie, di nota furono: la Coppa Agostoni (’84), il Giro del Friuli (’85), il Memorial Nencini (’90), la Bicicletta Basca (’92), nonché diverse frazioni di corse a tappe.

Maurizio Ricci detto Morris

- continua -

Peraltro mi fa ridere che ci sia gente che cerca di vendere la vittoria di Chioccioli su Bugno e Chiappucci, al Giro '91, come qualcosa di surreale....quando dei tre era quello con le evidenze migliori nelle corse a tappe prima del 1990.

Che, poi, per una porzione abbondante della loro carriera erano tutti e tre inferiori a Flavio Giupponi.
 
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#17
Bel topic, complimenti sopratutto per la voglia e la dedizione nello scrivere papiri del genere.
Ancora qualche giorno di pazienza per me :)
 
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#18
Niente quello sfigato di Andy non ci entra in questo topic Asd
 
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#19
Completo questo thread con ritardo perché impossibilitato prima. Uno spezzone finale che si inquadra nel contemporaneo ciclismo dell’eufemistico e buonista (sfiorante il ridicolo) pedale “dei troppi cambiamenti negativi”.

….. e non è sempre naturale scrivere senza dare il minimo spago allo schifo che personalmente provo, quando penso che al ciclismo ho dato decisamente troppo della mia vita.

Andy Schleck
[Immagine: Andy_Schleck_2013.JPG]
1° sul Galibier il 21 luglio 2011 - tappa del Tour: Pinerolo (Ita)-Galibier/Serre-Chevalier
1° sul Galibier il 22 luglio 2011 - tappa del Tour: Modane/Valfréjus-Alpe d'Huez
Nato a Lussemburgo, il 10 giugno 1985.  Figlio di Johny Schleck e fratello minore di Frank. Professionista dal 2005 al 2014 con 26 vittorie, comprese le speciali classifiche. A fine anni novanta   mentre ero nel Granducato dall’amico Charly Gaul, mi capitò di sentir dire da Johnny Schleck (anch’egli figlio d’arte, il padre Auguste era stato un buon corridore indipendente a fine anni ’20) che i suoi figli, Steve allora dilettante d’elite (poi divenuto un politico) e Frank appena passato fra i dilettanti, erano bravi ciclisti, ma che il vero talento di famiglia era il più piccolino, Andy, anche se ancora esordiente. Oltre un lustro dopo, Johnny, in TV, ribadì in maniera ben più circostanziata quella convinzione. Frank, andò oltre le previsioni per una dedizione incredibile, mentre il talento di Andy fu ben visibile e tracciò vistosi segni, anche se alla storia non passerà per aver ottenuto risultati pari al prevedibile. Molteplici sono stati i motivi. Di sicuro la sua magrezza, che ne fece involontario progenitore di una tendenza mi si permetta assurda e/o pericolosa, non aiutò il più giovane degli Schleck, anche se chiamarlo “Biafra”, come faceva un noto forumista era eccessivo, perché Andy era decisamente più stilistico e decoroso in ogni poro ciclistico, rispetto, ad esempio, al più vistoso palo con la faccia da ET e l’orrendo frullismo, sempre difeso dallo stesso forumista.
Le qualità e lo stile del più giovane degli Schleck, quando sviluppava quelle belle accelerazioni in salita, erano ben altra roba, rispetto a quanto partorito dai suoi avversari e al penoso venuto dopo sulla scuola dei padroni padrini monarchici, anoressici e sospinti. Personalmente ho sempre parteggiato per lui contro l’ispanico allievo dello “strofinaccio del texano” e giudico l’impresa sul Galibier di Andy nel 2011, come la più bella ed importante del dopo Pantani. Così come sul successo alla Liegi Bastogne Liegi 2009 del giovane Schleck, va posto il circoletto rosso come direbbe Rino Tommasi. Certo, “schlecchino” s’è ritirato presto, a soli 29 anni, ma per reggere lo stress del ciclismo dei figli dei sudditi, ci volevano corazze ed anticorpi che il bravo Andy non aveva. Destinato alle corse a tappe, il posto d’onore al Giro d’Italia 2007, ci mostrò quanto fosse talentuoso. Ne seguì un altro secondo posto stavolta al Tour de France 2009, mentre nel 2010, sempre alla Grande Boucle, dopo aver conquistato la Gialla fu vittima sull’arrivo di Bagnères-de-Luchon di un salto di catena che gli fece perdere 39 secondi su Contador che vincerà quel Tour relegando Andy ad un altro secondo posto. Ma con la squalifica per doping dello spagnolo quel Tour venne consegnato postumo a Schleck, il quale apprezzò poco quell’investitura, anche perché consapevole che senza sfortuna l’avrebbe potuto vincere su strada. L’anno seguente nell’anno del centenario del Galibier il lussemburghese si dimostrò davvero di nota storica passando due volte primo sul mitico colle, la seconda, dove era posto il traguardo, vinse in netta solitudine, firmando una impresa di gran significato che, però, non gli valse il successo a Parigi: ancora un secondo posto, stavolta dietro all’australiano Evans. Poi il lento declino, con tanti acciacchi, che lo spinse a ritirarsi a soli 29 anni, nel 2014.
Tutte le vittorie di Andy Schleck.
2004 (una vittoria): Flèche du Sud. 2005 (Team CSC, una vittoria):Campionati lussemburghesi a cronometro. 2006 (Team CSC, cinque vittorie): 3a e 5a tappa Sachsen-Tour International, Classifica scalatori Sachsen-Tour International, Classifica combinata Sachsen-Tour International, Classifica scalatori Tour of Britain. 2007 (Team CSC, una vittoria): Classifica giovani Giro d'Italia. 2008 (Team CSC, due vittorie): Classifica giovani Tour de France, Amstel Curaçao Race (Kermesse). 2009 (Team Saxo Bank, quattro vittorie): Liegi-Bastogne-Liegi, Classifica giovani Tour de France, 2a tappa Tour de Luxembourg, Campionati lussemburghesi su strada. 2010 (Team Saxo Bank, otto vittorie): 8a e 17a tappa del Tour de France, Classifica generale Tour de France, Classifica giovani Tour de France, Gala Tour de France, Cibel Na-Tourcriterium Sint-Niklaas,  Draai van de Kaai Criterium, Campionati lussemburghesi a  cronometro. 2011 (Team Leopard-Trek, quattro vittorie): 18a tappa del Tour de France, Classifica scalatori Tour de Suisse, RaboRonde Heerlen, Antwerpen na-Tour Dernyspektakel (Derny).

Primoz Roglic
[Immagine: Primo%C5%BE_Rogli%C4%8D_%28Team_Jumbo-Vi...019%29.jpg]
1° sul Galibier il 19 luglio 2017 - tappa del Tour: La Mure/Serre-Chevalier
Nato a Trbovlje (Slovenia) il 29 ottobre 1989. Professionista dal 2013 è ancora in attività, ed è a tutti gli effetti un big del ciclismo mondiale. Ad oggi, comprese le speciali classifiche, ha primeggiato 105 volte. In altre parole, un campione che regge più di altri quella tara di poca credibilità di questo sport negli ultimi cinque lustri, ed uno che non ha mai solo pedalato come da credo assurdo dei cosiddetti tecnici italici. Uno che è stato iridato nel salto con gli sci e che ha iniziato il ciclismo agonistico ben oltre i 20 anni e che, proprio perché dotato atleticamente, ha saputo sfruttare al meglio l’odioso “frullinismo”, quasi obbligatorio, sulle bicibombe di oggi. Uno poi, che in uno sport che ha l’ente mondiale più scarso e distruttivo, s’è pure trovato a vivere la parte giusta del modus di figli pochissimi e di figliastri tantissimi, come vuole l’impero becero del tumore di Aigle. Primoz però, è davvero un campione e non è colpa sua se oggi il ciclismo è sport minorato, anche grazie alle ali della distruzione avviata 25 anni fa dalla solita lingua dell’ipocrisia e del business costi quel che costi. Il fisico dello sloveno è proporzionato, con un IMC che non è sul sentiero anoressico come i dogmi maggioritari di oggi vorrebbero; possiede muscoli dorsali di nota che richiamano quelli di campioni di un ciclismo tanto vero quanto sepolto, ed è poi uno che traduce sulla strada una tangibile completezza che gli consente di vincere nei modi più vari ogni tipo di corsa, salvo i volatoni prodotti da percorsi tavolieri. Ad oggi, fra i suoi 105 acuti vittoriosi spiccano tre Vuelta di Spagna nel 2019, 2020 e 2021, la Liegi Bastogne Liegi e la prova a cronometro ai Giochi Olimpici di Tokyo nel 2020, nonché il Giro d’Italia nel 2023. Nei GT ha vinto ad oggi 19 tappe: 3 al Tour, 4 al Giro e 12 alla Vuelta. Nel suo palmares un gran numero di corse a tappe di una settimana come la Tirreno Adriatico (2019 – 2023), la Parigi Nizza (2022), il Giro del Delfinato (2022), il Giro di Romandia (2018 – 2019), il Giro dei Paesi Baschi (2018 – 2021) la Volta Ciclista a Catalunya (2023), la Vuelta a Burgos (2023), UAE Tour (2019), il Tour de l'Ain (2018), il Giro di Slovenia (2015 – 2018), la Volta ao Algarve (2017), il Tour d'Azerbaidjan (2015). Fra le corse di un giorno ha colto ben tre Giri dell’Emilia (2019-’21-’23), la Tre Valli Varesine (2019) e la Milano-Torino (2021).
Nella stagione appena iniziata, Primoz correrà con la tedesca Bora Hansgrohe, una squadra d’evidenza, ma non con gli aloni interrogativi per troppa efficacia della Jumbo. A dispetto dell’età di mezzo fra trenta e quaranta, Roglic potrà dimostrare ancora di essere quel comunque campione capace di convincere sufficientemente anche uno come me, che non ama più il ciclismo.

Nairo Quintana
[Immagine: Nairo_Quintana_with_fans%2C_2019_Paris-N...ped%29.jpg]
1° sul Galibier il 25 luglio 2019 - tappa del Tour: Embrun-Valloire
Nato a Combita (Col) il 4 febbraio 1990. Professionista dal 2009, ha colto fino ad oggi 81 successi comprese le speciali classifiche. Scalatore più puro dei più è stato fortemente penalizzato dall’insorgere della più becera ondata di poca credibilità di questo sport, che ha aggiunto fieno alla via tracciata in concertazione-sinergia-collaborazione col palazzo che conta, da un soggetto della stessa lingua ormai da leggersi siamese ai non naturali cambiamenti. Quintana, “Nairoman” o “Condor”, per chi ama i nomignoli, ha continuato a pedalare sui monti con quel che gli ha dato la natura, dimostrandosi ad oggi il miglior scalatore del dopo Pantani, anche se trafitto dal confondente frullinismo delle bicibombe contemporanee e dall’insorgere di sempre più sofisticate metodologie di indirizzo anoressico, lungo quei viali depressivi che i Consigliori Zambottini definiscono controllati. Ed a coloro che leggono, immediatamente pronti a ricordare la recente squalifica per doping di Quintana, va ricordata la sicura positività del collega-padrone, tanto brutto sulla bici quanto vergognosamente vincente per voleri, non penalizzata, anzi premiata con un GT e l’aggiunta di relativo ricatto-obbligo all’organizzazione del Tour de France, che non lo voleva al via. Uno scandalo pari a quanto visto per il tipo della terra dei pistoleri.
Quintana dunque, a carriera non ancora finita, passerà senz’altro all’archivio ciclistico per un “non completamente giudicabile”, a causa della contemporaneità col ciclismo geneticamente modificato. Per questo, chi scrive, continua a vedere Herrera come il più forte colombiano di sempre, semplicemente perché, per lui, si può parlare di accertato. E l’altro di Colombia anch’egli contemporaneo? Poteva essere, forse, ripeto forse, ma ha fatto scelte diverse, che non giudico per mal di stomaco.
Resta il fatto che Nairo Quintana, con la sola bravura in salita, e tutto quel pessimo contorno, ha vinto un Giro d'Italia nel 2014 e una Vuelta di Spagna nel 2016, classificandosi poi due volte secondo e una volta terzo al Tour de France. A seguire le sue vittorie principali fino ad oggi.
2010 - 3 vittorie: 6a e 7a tappa Tour de l'Avenir, Classifica Generale Tour de l'Avenir.  2011 - 3 vittorie: 1a tappa Circuito de Combita, Classifica Generale Circuito de Combita, (Cómbita), Classifica GPM Volta a Catalunya. 2012 - 7 vittorie: 1a tappa Vuelta a Murcia, Classifica Generale Vuelta a Murcia, 6a tappa Critérium du Dauphiné Libéré, 3a tappa Tour Midi Pyrénées, Classifica Generale Tour Midi Pyrénées, 1a tappa Vuelta di Spagna Cronosquadre, Giro dell'Emilia. 2013 - 12 vittorie: 3a tappa Volta a Catalunya, 4a tappa Vuelta al País Vasco, Classifica Generale Vuelta al País Vasco, Classifica a punti Vuelta al País Vasco, 20a tappa Tour de France, Classifica GPM Tour de France, Classifica giovani Tour de France, Criterium Ninove, Criterium Roosendaal, Criterium Heist-op-den-Berg Derny, 5a tappa Vuelta a Burgos, Classifica Generale Vuelta a Burgos. 2014 - 9 vittorie: 4a tappa Tour de San Luis, Classifica Generale Tour de San Luis, 16a tappa Giro d'Italia, 19a tappa Giro d'Italia, Classifica Generale Giro d'Italia, Classifica giovani Giro d'Italia, 3a tappa Vuelta a Burgos, Classifica Generale Vuelta a Burgos, 1a tappa Vuelta di Spagna Cronosquadre.  2015 - 5 vittorie: 5a tappa Tirreno - Adriatico, Classifica Generale Tirreno - Adriatico, Classifica giovani Tour de France, Criterium Roeselare, Criterium Draai van de Kaai. 2016 - 7 vittorie: Classifica Generale Volta a Catalunya, 2a tappa Tour de Romandie, Classifica Generale Tour de Romandie, 3a tappa Tour Midi Pyrénées, Classifica Generale Tour Midi Pyrénées , 10a tappa Vuelta di Spagna, Classifica Generale Vuelta di Spagna. 2017 - 7 vittorie: 4a tappa Volta a la Comunitat Valenciana, Classifica Generale Volta a la Comunitat Valenciana, 4a tappa Tirreno - Adriatico, Classifica Generale Tirreno - Adriatico, 2a tappa Vuelta a Asturias, Classifica Generale Vuelta a Asturias, 9a tappa Giro d'Italia. 2018 - 2 vittorie: 7a tappa Tour de Suisse, 17a tappa Tour de France.   2019 - 3 vittorie: 6a tappa Tour Colombia, 18a tappa Tour de France, 2a tappa Vuelta di Spagna. 2020 - 5 vittorie: 3a tappa Tour International La Provence, Classifica Generale Tour International La Provence, 2a tappa Tour du Haut, Classifica Generale Tour du Var, 7a tappa Paris - Nice. 2021 - 2 vittorie: 1a tappa Vuelta a Asturias, Classifica Generale Vuelta a Asturias. 2022 - 4 vittorie: 3a tappa Tour International La Provence, Classifica Generale Tour International La Provence, 3a tappa Tour du Var et des Alpes Maritimes, Classifica Generale Tour du Var.

Warren Barguil
[Immagine: Warren_BARGUIL_-_TDF2022.jpg]
1° sul Galibier il 13 luglio 2022 - tappa del Tour: Albertville - Col du Granon
Nato a Hennebont (Fra) il 28 ottobre 1991. Professionista dal 2013 con 17 vittorie comprese le speciali classifiche, ad oggi. Un corridore di tipico esempio del tanto reclamizzato peso del ciclista, ovvero un misto fra il denutrito e l’anoressico, diretto con l’indulto chetonico a dirigere l’orchestra. Va comunque rimarcato che il francese in questione, appare più naturale dei più, in quanto non ancora colpito (almeno così pare), dalle molto comuni controindicazioni depressive, fra i ciclisti odierni. Alla faccia di quei tipi di infimo QI, che sostengono siano gli anni 90, quelli del doping. Barguil è uno scalatore nato nel BMX, che oggi corre per il Team olandese DSM-Firmenich.  Fra i suoi successi spiccano due tappe al Tour de France e due alla Vuelta di Spagna, nonché alla classifica scalatori al Tour de France 2017, il Campionato Francese nel 2019 ed una tappa della Tirreno Adriatico 2022.
Tutte le sue vittorie.
2013 (2 successi): 13esima e 16esima tappa della Vuelta di Spagna. 2014 (un successo): Criterium Ronde des Korrigans-Carmos. 2015 (un successo): Critérium de Lisieux. 2017 (6 successi): 13esima e 18esima tappa Tour de France, Classifica scalatori Tour de France, Premio della Combattività Tour de France, Critérium de Lisieux, Criterium Profronde van Etten-Leur. 2019 (4 successi): Campionato Francese su strada, Critérium de Lisieux, Critérium de Marcolès, Critérium du Guidon d'Or d'Hellemmes. 2021 (un successo): Classifica generale Tour du Limousin. 2022 (due successi): 5a tappa Tirreno-Adriatico, Gran Premio Miguel Indurain.

Morris
 
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#20
Bellissimo post come sempre Morris!
Una piccola nota: la tappa che Andy vinse sul Galibier fu il primo passaggio dei due previsti quell'anno, non il secondo.
A memoria credo anche che il fratello, alto uguale a Andy, fosse il più magro dei due valutando il peso. Andy andò anche in palestra per la prima volta fra 2010 e 2011.
 
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