12-03-2021, 08:10 PM
Diversi anni fa vi ho propinato un mio racconto di molti anni prima (l'ho aggiornato oggi con qualche immagine). Il fatto che si trattasse dell'unico racconto che avessi mai scritto era, credo, rassicurante. Si sa, però, a volte ritornano...
(febbraio 2021)
(p.s.: ovviamente, la statua di Alessandro Farnese non sarebbe comparsa in questo racconto se non ci fossero stati i topic di Giugy!)
La regina perduta
Vienna!
Adagiata sulle rive del Danubio come Venezia lo è sulla laguna. Riccardo annotò quel pensiero curioso, era arduo dire che si somigliassero, eppure questa era la sua percezione. Con la stessa sensazione che aveva avuto a Venezia, se poneva attenzione alla città, se la guardava, le persone non c’erano, o erano irrilevanti, figure sfocate al cospetto di quella grande ed elegante dama, assorta nei suoi pensieri. Palazzi come scrigni di ricordi, antiche grida di bimbi ad animarla, abbracci appassionati a darle vita, sordi boati di cannone a ferirla, musiche impalpabili come respiro. Riccardo poteva immaginare facilmente un grande salone illuminato, l’orchestra che si apprestava ad iniziare. Un valzer, naturalmente, ampio e maestoso, colmo di vita. Era come se lo immaginasse con lei, Vienna, come se fosse il vento a portare ad entrambi quel cullare di note. Era bellissima.
Non sapeva del tutto perché fosse lì, una breve vacanza improvvisata, da solo. Non l’aveva mai visitata eppure era stato un sentimento di radici a spingerlo. Di Vienna gli parlava suo nonno che, dopo la laurea, vi aveva vissuto per quattro anni, nell’epoca pionieristica della psicoanalisi. Raramente, però, erano Freud e gli studi di psichiatria ad emergere dai suoi racconti. Vivide si stagliavano le serate nei caffè, l’allegra e musicale parlata dei viennesi, le partite a scacchi, le chiacchierate sull’universo mondo, sul futuro, il suo gruppo di amici, un fervore di vita e pensiero che non aveva più incontrato, così limpido, libero e forte. Sarà che si usciva dalla guerra, erano anche gli anni della sua gioventù. E c’erano gli occhi di una ragazza. Suo nonno non la nominava ma si avvertiva quella presenza, quell’energia che dava ai ricordi un sapore dolce amaro, di ciò che è perduto e che pure ti accompagna e, a volte, ti accarezza. Ne aveva citato il nome solo una volta, ricordando il gruppo della sua “compagnia”: Sarah. Dopo una pausa impercettibile, la voce sottilmente diversa. Riccardo aveva sentito quella nota particolare ma non aveva detto nulla.
Spesso erano le loro partite a scacchi il viatico di quei ricordi. Da discreto prima nazionale se la cavava ma non era all’altezza di suo nonno, Maestro Internazionale per corrispondenza. Dopo “l’epoca dei caffè” il nonno non aveva più giocato a tavolino ma aveva conservato quello spazio per il gioco dei re. E adesso, dopo talmente tanti anni, un Riccardo Sentieri camminava di nuovo su quelle strade: “Occhio Vienna!”. Sorrise alla semplice stupidità di quel pensiero.
Quanto agli scacchi, i caffè erano stati una delusione, anche se non si aspettava molto. Solo in uno aveva visto un paio di tavolini con una scacchiera dipinta, senza nessuno che giocasse. C’erano i giornali, e qualcuno li leggeva, forse la sacher poteva sovrapporsi alle sue antenate, ma solo questo… Semplicemente, un mondo che non c’era più. Andava bene lo stesso, le deboli eco di quella Vienna erano state sufficienti per vestire un poco di più i ricordi di suo nonno. La bellezza che lo aveva incantato, poi, ripagava ampiamente quelle giornate. L’indomani sarebbe tornato a casa. Aveva in animo di cenare presso un ristorantino, indicatogli da amici fiorentini, ma era presto e stava passeggiando, senza una meta precisa.
Stava per attraversare una strada quando la coda dell’occhio richiamò alla sua mente gli scacchi. Una insegna, con una regina stilizzata: “Die Verlorene Konigin”. Non capiva il tedesco e armeggiò con il piccolo vocabolario: “La Regina Perduta”.
Entrò e salì al primo piano, seguendo l’indicazione. Il negozio di scacchi si sviluppava su più stanze e lo accolse con una atmosfera che gli era familiare. Libri, tantissimi, orologi e scacchiere, di plastica, di legno. Un saluto melodioso e si voltò verso la voce. La donna più bella che avesse mai visto, disse la sua mente, una ragazza piacevole secondo i suoi occhi. Castana, non alta, tratti lievemente irregolari, occhi chiari, tra il verde e il grigio, splendidi, su questo vista e mente potevano concordare. Riccardo pronunciò un incerto “Good evening, I…”
“Ma lei è italiano!”. Solo un lieve accento.
“Si.” rispose “E lei parla un italiano eccellente, mi sembra.”
“Grazie, ma non lo parlo spesso, non credo che è così buono. Ho studiato a Perugia, lettere, ma è passato qualche anno. Troppi anni!” Sorrise.
Rispose al sorriso: “Se avessi studiato qui a Vienna dubito che il mio tedesco sarebbe altrettanto fluente. Piacere, Riccardo Sentieri, sono di Firenze. Ho visto l’insegna e volevo dare una occhiata.”
“Hannah, Hannah Weber. Guardi pure, io sono qui se vuole chiedere.”
Girovagò un poco, un occhio al materiale esposto e uno alla negoziante. Era carina, nulla di più, ma la sensazione restava: bella, immensamente, da renderlo teso, consapevole del suo battito.
Passò nella stanza adiacente, con un sospiro di sollievo. C’erano molte scacchiere, con bei pezzi artigianali. Poi restò a bocca aperta. Una grande scacchiera di legno, più o meno il doppio delle dimensioni da torneo, sfoggiava pezzi intagliati a mano di straordinaria bellezza, cesellati con arte. I quattro cavalli erano simili eppure diversi, ciascuno con una propria posizione della testa, accomunati dalla abbondante criniera. Uno dei cavalli ricordava quello del monumento di Alessandro Farnese, a Piacenza. Sospettò che anche gli altri si ispirassero a statue famose. Non era stato questo a sbalordirlo, però: mancava la regina bianca e quella nera era virtualmente identica alla donna, bianca, che suo nonno teneva sulla scrivania!
“Splendida, vero?” La donna era entrata nella stanza per riporre dei libri e aveva notato la sua espressione meravigliata. “Dà il nome al negozio: la regina perduta. Parlando di pezzi degli scacchi si dovrebbe dire “dame”, veramente, ma quello è il nome che gli ha dato mia zia, la sorella maggiore di mia nonna.”
“È bellissima. Come è possibile che manchi la donna bianca?”
“C’è una storia. Mia zia aprì questo negozio nel 1931. La scacchiera era il dono di un artigiano che, credo, ne fosse innamorato. Era molto bella, e giocava a scacchi, era anche abbastanza brava. Frequentava l’ambiente scacchistico, ovvero i caffè, forse, sospetto, ne era un po’ la reginetta. In un ambiente tanto maschile! Aspetti…” Si avvicinò a uno scaffale e ne trasse un libro. Sulla copertina una foto d’epoca del Cafè Central. La donna lo aprì e gli mostrò una foto: “Guardi, questa è mia zia Sarah, qui è giovanissima, 16 o 17 anni credo, con Carl Schlechter. Parlava di lui, come dire, con tenerezza. Era un uomo colto, geniale, d’una cortesia unica.”
Riccardo avvertì un brivido: Sarah…
La donna proseguì: “Anche in questa foto c’è mia zia, diversi anni dopo, qui è con la sua “brigata”, come lei la chiamava. Che incanto quando mi raccontava di quei giorni! La donna bianca fu presa da uno di questi uomini. Era italiano, l’amava e voleva che andasse con lui. Lei avvertiva un sentimento ma era incerta, non voleva lasciare Vienna. Rifiutò. L’uomo prese la regina e guardò mia zia, poi andò via, senza dire nulla. Quando, anni dopo, aprì il negozio, mise la scacchiera qui, dove la vede adesso. L’amore parla tanti linguaggi diversi: il gesto e lo sguardo di quell’uomo, il nome che mia zia ha dato al negozio…”
“Posso?” Chiese Riccardo. Guardò attentamente la foto, suo nonno era in piedi, in seconda fila, proprio alle spalle di Sarah. “Posso acquistarlo? Adoro l’epoca dei caffè, oltre due secoli in realtà, gli scacchi vi approdarono insieme ai tanti fermenti di cambiamento, anche da lì iniziò il viaggio verso l’era moderna. Un libro come questo è una gemma.”
“Certamente. Me ne sono rimaste solo due copie. Ovviamente ho la copia di zia Sarah, a casa, con diversi suoi appunti. Metto il libro accanto alla cassa.” Hannah tornò nella prima stanza.
Riccardo restò a guardare la scacchiera e scattò una foto. Era incerto se raccontare di suo nonno e della regina che, ormai ne era certo, era proprio quella mancante. Doveva trovarsi in soffitta, conservata con altri oggetti di suo nonno, nella casa di campagna. Non ne era sicuro, però. Andò a pagare il libro, senza aver deciso. “Buonasera signora Weber.”
“Buonasera. Come dice quella canzone? Porti un mio bacio a Firenze, è così bella!”
Riccardo era sulla porta quando si voltò: “Mi scusi, pensavo… Sto per andare al ristorante. Mi chiedevo… Posso invitarla a cena?”
La donna lo guardò con espressione… Incuriosita? Infastidita? Non sapeva dirlo.
“Mi dispiace, ho già un impegno.”
“Buona serata, allora.” Tornò in strada, con emozioni che faticava a riordinare. Quell’incredibile legame con suo nonno, scoperto per caso. E la sensazione di bellezza che Hannah gli aveva dato… Le sue gambe capirono che non poteva tornare al negozio e mossero un passo, poi un altro.
Gent.ma sig.ra Weber,
sono stato nel suo negozio, circa un mese fa, lei mi ha parlato della sorella di sua nonna e mi ha mostrato un libro, che ho acquistato, sugli scacchi nei caffè viennesi. Credo possa ricordarlo. Nella foto di gruppo che mi ha mostrato ho riconosciuto mio nonno. Quando ho visto quella magnifica scacchiera che mancava della donna bianca, la regina perduta, ero quasi sicuro che si trattasse della regina che mio nonno teneva sulla sua scrivania. L’ho confrontata con la foto che ho scattato nel suo negozio e le invio una foto di questa regina bianca. Ero enormemente sorpreso e lei mi ha raccontato quella storia, di quell’amore che, ora sembra evidente, aveva legato mio nonno e sua zia Sarah. Mio nonno, Riccardo Sentieri, ne porto il nome, in quegli anni ha studiato psichiatria a Vienna, giocava anche a scacchi e ho compreso, da quanto raccontava, come abbia vissuto un amore importante, anche se non me ne ha mai parlato, né mi ha raccontato la storia di quella regina. Una volta la presi in mano, per guardarla meglio, mio nonno non disse nulla ma si irrigidì. La posai subito.
Forse ero troppo stupito ed emotivamente coinvolto per parlagliene quel giorno, al negozio, ero tentato di farlo ma non sono riuscito a deciderlo in quel momento. E forse era difficile riportare alla luce quel loro amore, completarne volti e nomi, senza aver metabolizzato quella incredibile coincidenza. Non lo so. Come non so a chi appartenga questa regina. A mio nonno, che l’ha tenuta sempre con sé? A sua zia? A quella scacchiera? Sono solo sicuro che dovevo parlargliene. Decida lei il destino di questa regina.
Con i miei più cortesi saluti,
Riccardo Sentieri
Gent.mo sig. Sentieri,
non so descrivere la mia sorpresa. Dopo così tanto tempo un racconto di mia zia riprende vita, diventa presente. Sono emozionata. Vede, io ho avuto la fortuna di avere tre nonne, perché mia zia Sarah era questo per me. Sapeva essere severa, esigente, più di mia madre, ma i suoi occhi brillavano quando mi guardava e mi ha colmata d’amore. Gli ultimi anni badavo io al negozio, la accompagnavo e lei restava seduta qui per ore, in quella che in fondo era la sua casa. Quando è mancata ho deciso di portare avanti il negozio.
Ho rivisto la copia di quel libro, quella che ho a casa, con le note di mia zia, e sotto quella foto di gruppo ho trovato scritto anche il nome Riccardo. Non so molto di più di quanto ho raccontato. Quando mia zia parlava di quell’epoca citava aneddoti, si illuminava ma, al tempo stesso, un velo scendeva sul suo viso.
Sulla regina non so cosa dire. Forse sarebbe bello rimetterla al suo posto dopo tanto tempo. Come dare completezza ad una parte della vita di mia zia. Eppure, per lei è un ricordo di suo nonno, se capisco, anche importante.
Non so rispondere. Grazie per avermi scritto.
Hannah Weber
Quando l’uomo entrò nel negozio Hannah lo riconobbe subito, dinoccolato, l’aria distratta. Aveva pensato molte volte a quella storia. Erano passati due mesi e l’uomo non aveva più scritto.
“Buongiorno signora Weber.”
“Signor Sentieri, buongiorno… Non mi aspettavo di rivederla.”
“Beh, ecco, non le ho risposto, dovevo pensarci. Non sapevo cosa decidere, poi ho fatto come la scorsa volta, sono salito in macchina…”. Tirò fuori dalla borsa la regina bianca. “Io…” Riccardo non disse altro e gliela porse.
Lei la prese con cautela e la guardò attentamente, in preda ad una forte emozione. Quanto tempo era passato! Guardò l’uomo, che le fece un cenno di assenso. Hannah si avviò verso la scacchiera. Si soffermò sulla donna bianca ancora qualche istante prima di allungare il braccio, per metterla accanto al re. Si fermò, con la regina a mezz’aria, una espressione di sorpresa sul viso. Le ci volle qualche secondo per parlare.
“Non posso…” esclamò Hannah “Sarebbe come… Come cancellare il loro amore. Quella regina che non c’era lo rendeva presente, era l’ultima traccia del loro sentimento, ciò che non consentiva che svanisse completamente. Un sentimento amato…” Ritrasse il braccio. “Sono una stupida, le ho scritto senza riflettere.” Tenne la donna bianca tra entrambe le mani, quasi a cullarla, poi la porse all’uomo. Aveva gli occhi lucidi. “Non è questo il suo posto.”
Riccardo la prese. Era pensieroso, a sua volta emozionato. “Non avrei saputo dirlo così ma anch’io l’ho avvertito, nello stesso istante in cui si è fermata. Forse dovevamo arrivare a questo momento per capirlo. La rimetterò sulla scrivania di mio nonno.” Mentre la riponeva nella borsa vide Hannah assorta. Parlò come se si rivolgesse a se stessa.
“Ecco perché “konigin”, regina, e non “dame”. Ora che l’ho vista, qui, vicino alla scacchiera… La regina perduta non era questa donna bianca, era lei, zia Sarah. Era la regina della sua “brigata”, negli anni meravigliosi della sua gioventù, in un mondo che adorava e da cui non era riuscita a staccarsi per quell’amore, che pure le aveva toccato il cuore. Parte di lei era rimasta a quei giorni. La regina perduta… Era come lei si sentiva.” Una lacrima le rigò il viso.
Riccardo si sentiva impacciato, come spesso accade agli uomini di fronte alle lacrime di una donna. “Mi spiace, io… Mi viene in mente una frase: una lacrima ha radici più profonde di un sorriso.” Cosa c’entra, si disse, mio Dio che stupido.
Hannah lo guardò: “Ho già sentito questa frase, di chi è?”
Lui aggrottò la fronte, poi sorrise lievemente, come a scusarsi: “Non lo ricordo.”
“Mi sembra che considerai che questo permetteva ai sorrisi di essere molti di più delle lacrime! Sto pensando però che forse, a volte, un sorriso con radici molto profonde diventa una lacrima.”
Riccardo non riusciva a governare quel momento e i suoi pensieri. Girò lo sguardo per la stanza, come a orientarsi: “Sono contento di aver ritrovato questa storia, questo ricordo di mio nonno. Spesso conosciamo di nuovo i genitori, da adulti, non sempre abbiamo modo di farlo con gli anziani che ci sono cari.” Si fermò su quel pensiero. Si sentiva “sospeso”.
Fu Hannah a interrompere il breve silenzio: “So che gli italiani sono diffidenti, quando sono all’estero, riguardo alla loro cucina ma conosco un ristorante, non lontano da qui. Sono stata ad Amatrice una volta, per la sagra. Credo che l’amatriciana di “zio Mario” potrebbe sorprenderla. E mi piacerebbe sapere qualcosa di più su suo nonno. Posso invitarla a cena?”
Lui inspirò prima di rispondere. “Davvero volentieri, mi piacerebbe molto signora Weber.”
“Hannah.” Disse lei.
Sin da quando era entrato, pochi minuti prima, Riccardo aveva compreso che la sua mente aveva ragione e i suoi occhi torto. Era la donna più bella che avesse mai incontrato.
(febbraio 2021)
(p.s.: ovviamente, la statua di Alessandro Farnese non sarebbe comparsa in questo racconto se non ci fossero stati i topic di Giugy!)