17-10-2020, 09:12 PM
Una corsa che anche in questo anno così nero, resta un Monumento vero per un popolo che va letto nella sua profonda ermeneutica dagli storici: quelli orizzontali, non di solo ciclismo o sport più in generale. E' il summa supremo che tocca l’azione umana d’un luogo, fra antropologia, filosofia, sociologia e, ovviamente, politica ed analisi dei fatti, dei pensieri e delle azioni.
Il Ronde van Vlaanderen (è maschile in lingua fiamminga), significa dunque davvero un Monumento, per un ciclismo dove i propri storici ed una marea di scrivani propagatori, sono soliti inflazionare, mortificare e ridicolizzare la storia di questo tassello dello sport ciclistico, quintuplicando quella definizione. Il Fiandre infatti, ciclisticamente, va visto con quel protagonismo e quella continuità, oltre che anzianità, che dovrebbero esser l’asse di quella definizione, solo dal dopoguerra. Prima non era mondializzabile nel ciclismo affermato: era dietro a Parigi Roubaix, Parigi Tours, Parigi Bruxelles, Milano Sanremo e Liegi Bastogne Liegi nell’ordine, pari al Giro di Lombardia. Il Fiandre era visto come gara nazionale per eccellenza e, poi, nel primo quinquennio del dopoguerra, fu solo grazie ai successi di Fiorenzo Magni che riuscì ad impattare l’avvenuto ed ulteriore sorpasso della assai più giovane Freccia Vallone. Tutto ciò però, se da una parte rende esempio di come sia ridicolo classificare "monumento" quelle cinque nel ciclismo, dall’altra, urla una verità: nessuna corsa ciclistica mondiale è Monumento per un popolo come il (o la per italianizzare) Ronde van Vlaanderen. Non lo è nemmeno la Parigi Roubaix che, ciclisticamente, è stata l’unica delle cinque elette, a possedere una continuità quasi totale, pur essendo nata come “corsa di scorta” della “Tours”.
Monumento di un popolo, ma pure esempio di come quella particolare forma artistica che è lo sport, assieme all’antropologia culturale possan generare pensieri, intrecciare lampi di convinzioni e constatazioni, intagliare l’ignavia paradossalmente sempre becera, fino a dischiudersi in quel qualcosa che anche i piccini come me… riescono a partorire. Posto qui quel che scrissi undici anni fa sull'onda di una conferenza.
Fiandre di religione
Vorrei che i sentieri
del mio cammino quotidiano
s’illuminassero del laico credo
di quei sassi squadrati
sulle aspre ed irriverenti pendenze
tanto brevi quanto irte
per assorbire maledizione e sopportazione.
Vorrei che la tanta gente che assiste
sappia cogliere i segni dell’immane
che dovrebbero essere di tutti
dove preti corridori ed ignavi
lasciano sulle biciclette della vita
l’impareggiabile convinzione che l’essere
viene prima della sottomissione.
Vorrei che il sole
rendesse specchi quelle pietre
per ingigantire i volti scavati
tinteggiati ed ombrosi
per il fango e l’umida polvere
sollevata dai rivoli lasciati
fra gli scuri e duri ciottoli.
Vorrei che l’incanto di guardare le ruote
mentre ondeggiano cercando energia
come unico confine di sollevazione
s’impalmasse di cornici
per far dire ad ogni togato reale o figurato
quanto sia fessa la testimonianza
senza l’universale distinguo del buon senso.
Vorrei che la festosità della fatica,
il sunto d’un percorso che dischiude
per chi ha occhi, cuore e cervello
l’incenso più vero dell’eguaglianza
non dimenticasse quanto l’esistenza
ci cosparga volontariamente
di quadri e di figure retoriche.
Vorrei che i Leman ed i Van Hooydonck
fossero riferimenti di collettive conquiste
lontanissimi dalle microbiche note
di chi non va oltre la miopia dei numeri,
alfieri della mirra che viene dall’umano albero
involontari pensatori d’accostare a filosofia
non barbariche accozzaglie dei principi di latta.
Vorrei che si gridasse all’effige di cultura
che sgorga a cascate di quei paesaggi,
perché nel freddo e nel plumbeo di quei cieli
s’espone un affresco su cui scorre poesia,
come un canto vissuto nel baccano
da raccogliere nei sensi intingendosi di vero
e col colore dell’intenso, vivo il Giro delle Fiandre.
Morris (05/04/2009)
.....segue....
Il Ronde van Vlaanderen (è maschile in lingua fiamminga), significa dunque davvero un Monumento, per un ciclismo dove i propri storici ed una marea di scrivani propagatori, sono soliti inflazionare, mortificare e ridicolizzare la storia di questo tassello dello sport ciclistico, quintuplicando quella definizione. Il Fiandre infatti, ciclisticamente, va visto con quel protagonismo e quella continuità, oltre che anzianità, che dovrebbero esser l’asse di quella definizione, solo dal dopoguerra. Prima non era mondializzabile nel ciclismo affermato: era dietro a Parigi Roubaix, Parigi Tours, Parigi Bruxelles, Milano Sanremo e Liegi Bastogne Liegi nell’ordine, pari al Giro di Lombardia. Il Fiandre era visto come gara nazionale per eccellenza e, poi, nel primo quinquennio del dopoguerra, fu solo grazie ai successi di Fiorenzo Magni che riuscì ad impattare l’avvenuto ed ulteriore sorpasso della assai più giovane Freccia Vallone. Tutto ciò però, se da una parte rende esempio di come sia ridicolo classificare "monumento" quelle cinque nel ciclismo, dall’altra, urla una verità: nessuna corsa ciclistica mondiale è Monumento per un popolo come il (o la per italianizzare) Ronde van Vlaanderen. Non lo è nemmeno la Parigi Roubaix che, ciclisticamente, è stata l’unica delle cinque elette, a possedere una continuità quasi totale, pur essendo nata come “corsa di scorta” della “Tours”.
Monumento di un popolo, ma pure esempio di come quella particolare forma artistica che è lo sport, assieme all’antropologia culturale possan generare pensieri, intrecciare lampi di convinzioni e constatazioni, intagliare l’ignavia paradossalmente sempre becera, fino a dischiudersi in quel qualcosa che anche i piccini come me… riescono a partorire. Posto qui quel che scrissi undici anni fa sull'onda di una conferenza.
Fiandre di religione
Vorrei che i sentieri
del mio cammino quotidiano
s’illuminassero del laico credo
di quei sassi squadrati
sulle aspre ed irriverenti pendenze
tanto brevi quanto irte
per assorbire maledizione e sopportazione.
Vorrei che la tanta gente che assiste
sappia cogliere i segni dell’immane
che dovrebbero essere di tutti
dove preti corridori ed ignavi
lasciano sulle biciclette della vita
l’impareggiabile convinzione che l’essere
viene prima della sottomissione.
Vorrei che il sole
rendesse specchi quelle pietre
per ingigantire i volti scavati
tinteggiati ed ombrosi
per il fango e l’umida polvere
sollevata dai rivoli lasciati
fra gli scuri e duri ciottoli.
Vorrei che l’incanto di guardare le ruote
mentre ondeggiano cercando energia
come unico confine di sollevazione
s’impalmasse di cornici
per far dire ad ogni togato reale o figurato
quanto sia fessa la testimonianza
senza l’universale distinguo del buon senso.
Vorrei che la festosità della fatica,
il sunto d’un percorso che dischiude
per chi ha occhi, cuore e cervello
l’incenso più vero dell’eguaglianza
non dimenticasse quanto l’esistenza
ci cosparga volontariamente
di quadri e di figure retoriche.
Vorrei che i Leman ed i Van Hooydonck
fossero riferimenti di collettive conquiste
lontanissimi dalle microbiche note
di chi non va oltre la miopia dei numeri,
alfieri della mirra che viene dall’umano albero
involontari pensatori d’accostare a filosofia
non barbariche accozzaglie dei principi di latta.
Vorrei che si gridasse all’effige di cultura
che sgorga a cascate di quei paesaggi,
perché nel freddo e nel plumbeo di quei cieli
s’espone un affresco su cui scorre poesia,
come un canto vissuto nel baccano
da raccogliere nei sensi intingendosi di vero
e col colore dell’intenso, vivo il Giro delle Fiandre.
Morris (05/04/2009)
.....segue....