05-03-2013, 05:41 PM
AleJet è ancora in pista
Un inverno di lavoro con Bartoli e la scoperta della pista
È ancora in pista: è proprio il caso di dirlo. Alessandro Petacchi, 39 anni compiuti il 3 gennaio scorso (è del 1974), si ributta nella mischia con l’entusiasmo e la curiosità di un ragazzino.
«Se è per questo anche di più - dice lui dall’Argentina, dove è volato per dare inizio alla sua stagione numero 18, la terza in maglia Lampre Merida -. Quella dello scorso anno è stata per me davvero una stagione difficile e complicata. Proprio da numero 17. Una delle più buie e problematiche della mia carriera. Non mi sono mai sentito a mio agio a livello fisico e soprattutto a livello personale ero davvero stremato. Troppi problemi, troppi pensieri, alla fine ho ritrovato la serenità, ho ripreso il bandolo della matassa e sono pronto a vivere una stagione come dico io, anche per ripagare Saronni e i Galbusera, che mi hanno nuovamente dato la loro incondizionata fiducia».
È ancora in pista AleJet, e dalla pista ha ricominciato.
«In verità ho cominciato, non ricominciato, perché io in pista ci sono salito per la prima volta in assoluto questo inverno - ci racconta con la sua flemmatica parlata toscoligure -. Io in vita mia non ero mai stato in pista. Ho sempre avuto paura, non mi sono mai applicato ad una disciplina che mi si è prospettata come propedeutica alla mia preparazione questo inverno. In passato avevo fatto solo una piccolissima comparsata sull’anello di Brema (166 metri, ndr) una delle piste più tecniche e difficili del mondo. Ero alla Milram e fui chiamato a dare il via, e a fare una piccolissima esibizione con Erik (Zabel, ndr). Quest’anno, invece, con la nuova collaborazione con il Centro di Michele Bartoli (la “Light Clinic Sport Service” di Lunata, a Capannori, un centro nato dall’idea di Mauro Marrucci, titolare della Sixtus, e che ha come responsabile sanitario il dottor Giovanni Bei e si avvale della consulenza del dottor Carlo Giammattei, medico del reparto di Medicina e Traumatologia dello sport dell’ospedale di Lucca, oltre che medico della Nazionale azzurra, ndr), mi sono avvicinato anche alla pista. Sono andato a Montichiari diverse volte e ho svolto dei lavori specifici, anche e soprattutto dietro moto, grazie all’aiuto fondamentale di Davide Viganò, al quale va il vero merito di avermi aperto le porte della pista, ma un grazie particolare va anche a Marco Villa, che mi ha letteralmente insegnato a stare in sella, a gestire il mezzo nel traffico del gruppo, a pedalare su un anello con relativa sicurezza. Al velodromo di Montichiari ho svolto una seduta alla settimana, seguendo l’agenda di lavoro di Michele Bartoli e i consigli preziosissimi di due esperti come il ct Villa e Viganò (campione europeo dietro derny con Cordiano Dagnoni, ndr). Un lavoro mai fatto prima proprio per ritrovare quella brillantezza, quello scatto, quella agilità unita ad una freschezza atletica che in un atleta di 39 anni non è facile da mostrare. D’altra parte lo sanno tutti, più vai avanti negli anni e più migliori nella resistenza e nella tenuta, e perdi proprio quelle qualità di agilità che sono proprie della giovinezza, di un fisico più elastico e reattivo. Io, che nonostante i miei 39 anni mi sento ancora uno sprinter e soprattutto sento di poter dire ancora la mia, ho dovuto per forza di cose trovare qualche strada alternativa per poter provare a ritrovare un po’ di smalto. Così ho fatto. Tanto lavoro di qualità, per reclutare forza e un bel lavoro per migliorare l’agilità. Non so come andrà a finire, ma per il momento io sono soddisfatto del lavoro svolto e soprattutto sono molto fiducioso».
Felice di lavorare con Michele Bartoli?
«Sì, molto. Per me Michele è davvero il fratello che non ho. Posso dire, in ogni caso, che i suoi metodi sono molto duri. Lui è un precisino, e per me è un grande stimolo poter lavorare con lui. Soprattutto potermi confrontare con un amico che è stato un atleta di grande livello ed esperienza».
Con chi non ti sei trovato benissimo è Roberto Damiani…
«È stato scritto molto su questa storia, addirittura secondo la Gazzetta sono stato io l’artefice del suo allontanamento dalla squadra, ma non è così. Io sono uno che parla poco ma quando parla non ha problemi a farlo in maniera chiara e diretta. Non è un mistero che io e Roberto non ci siamo presi neanche un po’, ma la decisione di proseguire il nostro cammino da soli è stata una decisione collettiva, di squadra, di corridori e di personale. Non so se sia meglio o peggio, ma questa è la pura verità. Roberto è una persona preparata, però forse le sue idee e il suo modo di lavorare non si sposavano perfettamente con la filosofia della squadra. Non è un mistero: tra persone scattano delle alchimie, con Roberto non è mai successo. Questo cambio è stata una grossa rivoluzione, vedremo se sarà stata la scelta giusta».
Cosa ti ha spinto ad andare avanti?
«La fiducia della squadra. La considerazione di Beppe Saronni, che parla poco ma sa quando parlare e lo fa sempre a ragion veduta. E poi in me c’è la voglia di fare il meglio possibile per avere un commiato più degno di me. Io non posso lasciare così male. Io so di poter pedalare ancora bene, e al Tour dello scorso anno l’ho anche dimostrato in alcune circostanze, come nella tappa di Rouen, quando fui battuto da un magistrale André Greipel. Quel secondo posto (sette, nel 2012, oltre tre vittorie, ndr) mi brucia ancora, ma quello che più mi da fastidio è il fatto di aver lasciato il Tour in quel modo: sono finito a terra nella tappa della Croix-de-Fer, mi sono rotto una costola e la mia stagione è stata definitivamente compromessa. Ora nei miei programmi c’è una buona ripartenza, soprattutto una buona primavera, con la Sanremo in cima a tutti i miei pensieri, e poi il Tour. Insomma lo ripeto: negli anni passati non credo ci sia stato un problema di preparazione, ma questo inverno mi sono allenato molto meglio, e sento di aver fatto le cose con più intensità, costanza e determinazione. Alla mia età non si può tralasciare nulla. L’anno scorso purtroppo ho avuto troppi problemi fisici e cadute».
Quindi sarà la tua ultima stagione, il tuo ultimo giro di pista?
«Assolutamente no. Se vado come spero di andare, io uno o due anni li voglio fare ancora. Andiamo per gradi. Sono un velocista, ma le cose le faccio sempre con grande calma e serenità».
Quest’anno avrai al tuo fianco anche un corridore di peso come Filippo Pozzato, in grado di fare il solista ma anche di portare la croce…
«Siamo una buona squadra, e con Pippo, Viganò, Richeze e Malori ho anche a disposizione atleti di gradissimo valore per le volate. Avere poi al mio fianco uno come Pippo fa solo che comodo. Come si dice in questi casi? Meglio averlo compagno di squadra che contro».
Cosa chiedi al 2013?
«Serenità e salute. Se non avrò contrattempi, sarò a metà dell’opera».
Un anno fa solo tre vittorie, ma ben 154 in carriera…
«Io sono juventino e come la vecchia Signora che considera 30 i suoi campionati conquistati sul campo, io rivendico anche le mie cinque vittorie al Giro e le otto gare che mi hanno tolto. Quindi per me sono 167 le vittorie, e mi piacerebbe rimpinguare il più possibile il mio palmares. Perché è vero che ho 39 anni e sono prossimo al capolinea ma, come ti ho detto, sono pronto a stupirvi ancora un po’».
Contento dell’arrivo di Roberto Ferrari?
«Molto. Faremo attività parallela, una opportunità in più per la Lampre Merida. Roberto lo conoscevo già, avendoci corso in Lpr. Era molto più giovane, adesso è cresciuto, ha disputato un ottimo Giro d’Italia, ha vinto una tappa ed è stato nelle prime posizioni in tutte le volate. Spero che continui così e che quest’anno riconfermi quanto di buono ha fatto vedere».
Ma tra i velocisti italiani, tu sembri essere ancora il migliore. È così?
«Corridori veloci ce ne sono, ma hanno caratteristiche diverse: Guardini, ad esempio, è veloce ma non so quanto possa migliorare in salita. Sicuramente deve dimostrare di saper stare in una grande squadra e quest’anno alla Astana ne ha la possibilità. Un altro ragazzo che secondo me è molto bravo è Jacopo Guarnieri, anche se si è un po’ fermato. A Jacopo piace molto anche il Belgio, ha capito che nelle volate non riesce a battere certi velocisti, ma può ancora trovare il suo spazio: deve metterci un po’ più di cattiveria e determinazione. Poi c’è Elia Viviani, forse quello più talentuoso di tutti, ma dopo aver diviso la sua attività tra strada e pista a questo punto deve scegliere e dimostrare qualcosa in più di quanto ha fatto vedere fino ad ora. Siamo alla resa dei conti, per Elia quest’anno è una stagione molto importante: può davvero fare un salto di qualità. Questi sono senz’altro degli ottimi corridori, con i quali io dovrò misurarmi e fare in modo che non mi svernicino. Sai, io sembro pacato e tranquillo, ma quando perdo mi girano come a pochi… Mi dicono: “dai Peta, ormai hai una certa età…”. Ma perdere non piace mai a nessuno, l’età non c’entra. E io sono convinto di poter far piangere ancora qualcuno. Per questo ho deciso di essere ancora in pista».
di Pier Augusto Stagi, da tuttoBICI di febbraio
http://www.tuttobiciweb.it/detectUA.php?...56801&tp=n
Un inverno di lavoro con Bartoli e la scoperta della pista
È ancora in pista: è proprio il caso di dirlo. Alessandro Petacchi, 39 anni compiuti il 3 gennaio scorso (è del 1974), si ributta nella mischia con l’entusiasmo e la curiosità di un ragazzino.
«Se è per questo anche di più - dice lui dall’Argentina, dove è volato per dare inizio alla sua stagione numero 18, la terza in maglia Lampre Merida -. Quella dello scorso anno è stata per me davvero una stagione difficile e complicata. Proprio da numero 17. Una delle più buie e problematiche della mia carriera. Non mi sono mai sentito a mio agio a livello fisico e soprattutto a livello personale ero davvero stremato. Troppi problemi, troppi pensieri, alla fine ho ritrovato la serenità, ho ripreso il bandolo della matassa e sono pronto a vivere una stagione come dico io, anche per ripagare Saronni e i Galbusera, che mi hanno nuovamente dato la loro incondizionata fiducia».
È ancora in pista AleJet, e dalla pista ha ricominciato.
«In verità ho cominciato, non ricominciato, perché io in pista ci sono salito per la prima volta in assoluto questo inverno - ci racconta con la sua flemmatica parlata toscoligure -. Io in vita mia non ero mai stato in pista. Ho sempre avuto paura, non mi sono mai applicato ad una disciplina che mi si è prospettata come propedeutica alla mia preparazione questo inverno. In passato avevo fatto solo una piccolissima comparsata sull’anello di Brema (166 metri, ndr) una delle piste più tecniche e difficili del mondo. Ero alla Milram e fui chiamato a dare il via, e a fare una piccolissima esibizione con Erik (Zabel, ndr). Quest’anno, invece, con la nuova collaborazione con il Centro di Michele Bartoli (la “Light Clinic Sport Service” di Lunata, a Capannori, un centro nato dall’idea di Mauro Marrucci, titolare della Sixtus, e che ha come responsabile sanitario il dottor Giovanni Bei e si avvale della consulenza del dottor Carlo Giammattei, medico del reparto di Medicina e Traumatologia dello sport dell’ospedale di Lucca, oltre che medico della Nazionale azzurra, ndr), mi sono avvicinato anche alla pista. Sono andato a Montichiari diverse volte e ho svolto dei lavori specifici, anche e soprattutto dietro moto, grazie all’aiuto fondamentale di Davide Viganò, al quale va il vero merito di avermi aperto le porte della pista, ma un grazie particolare va anche a Marco Villa, che mi ha letteralmente insegnato a stare in sella, a gestire il mezzo nel traffico del gruppo, a pedalare su un anello con relativa sicurezza. Al velodromo di Montichiari ho svolto una seduta alla settimana, seguendo l’agenda di lavoro di Michele Bartoli e i consigli preziosissimi di due esperti come il ct Villa e Viganò (campione europeo dietro derny con Cordiano Dagnoni, ndr). Un lavoro mai fatto prima proprio per ritrovare quella brillantezza, quello scatto, quella agilità unita ad una freschezza atletica che in un atleta di 39 anni non è facile da mostrare. D’altra parte lo sanno tutti, più vai avanti negli anni e più migliori nella resistenza e nella tenuta, e perdi proprio quelle qualità di agilità che sono proprie della giovinezza, di un fisico più elastico e reattivo. Io, che nonostante i miei 39 anni mi sento ancora uno sprinter e soprattutto sento di poter dire ancora la mia, ho dovuto per forza di cose trovare qualche strada alternativa per poter provare a ritrovare un po’ di smalto. Così ho fatto. Tanto lavoro di qualità, per reclutare forza e un bel lavoro per migliorare l’agilità. Non so come andrà a finire, ma per il momento io sono soddisfatto del lavoro svolto e soprattutto sono molto fiducioso».
Felice di lavorare con Michele Bartoli?
«Sì, molto. Per me Michele è davvero il fratello che non ho. Posso dire, in ogni caso, che i suoi metodi sono molto duri. Lui è un precisino, e per me è un grande stimolo poter lavorare con lui. Soprattutto potermi confrontare con un amico che è stato un atleta di grande livello ed esperienza».
Con chi non ti sei trovato benissimo è Roberto Damiani…
«È stato scritto molto su questa storia, addirittura secondo la Gazzetta sono stato io l’artefice del suo allontanamento dalla squadra, ma non è così. Io sono uno che parla poco ma quando parla non ha problemi a farlo in maniera chiara e diretta. Non è un mistero che io e Roberto non ci siamo presi neanche un po’, ma la decisione di proseguire il nostro cammino da soli è stata una decisione collettiva, di squadra, di corridori e di personale. Non so se sia meglio o peggio, ma questa è la pura verità. Roberto è una persona preparata, però forse le sue idee e il suo modo di lavorare non si sposavano perfettamente con la filosofia della squadra. Non è un mistero: tra persone scattano delle alchimie, con Roberto non è mai successo. Questo cambio è stata una grossa rivoluzione, vedremo se sarà stata la scelta giusta».
Cosa ti ha spinto ad andare avanti?
«La fiducia della squadra. La considerazione di Beppe Saronni, che parla poco ma sa quando parlare e lo fa sempre a ragion veduta. E poi in me c’è la voglia di fare il meglio possibile per avere un commiato più degno di me. Io non posso lasciare così male. Io so di poter pedalare ancora bene, e al Tour dello scorso anno l’ho anche dimostrato in alcune circostanze, come nella tappa di Rouen, quando fui battuto da un magistrale André Greipel. Quel secondo posto (sette, nel 2012, oltre tre vittorie, ndr) mi brucia ancora, ma quello che più mi da fastidio è il fatto di aver lasciato il Tour in quel modo: sono finito a terra nella tappa della Croix-de-Fer, mi sono rotto una costola e la mia stagione è stata definitivamente compromessa. Ora nei miei programmi c’è una buona ripartenza, soprattutto una buona primavera, con la Sanremo in cima a tutti i miei pensieri, e poi il Tour. Insomma lo ripeto: negli anni passati non credo ci sia stato un problema di preparazione, ma questo inverno mi sono allenato molto meglio, e sento di aver fatto le cose con più intensità, costanza e determinazione. Alla mia età non si può tralasciare nulla. L’anno scorso purtroppo ho avuto troppi problemi fisici e cadute».
Quindi sarà la tua ultima stagione, il tuo ultimo giro di pista?
«Assolutamente no. Se vado come spero di andare, io uno o due anni li voglio fare ancora. Andiamo per gradi. Sono un velocista, ma le cose le faccio sempre con grande calma e serenità».
Quest’anno avrai al tuo fianco anche un corridore di peso come Filippo Pozzato, in grado di fare il solista ma anche di portare la croce…
«Siamo una buona squadra, e con Pippo, Viganò, Richeze e Malori ho anche a disposizione atleti di gradissimo valore per le volate. Avere poi al mio fianco uno come Pippo fa solo che comodo. Come si dice in questi casi? Meglio averlo compagno di squadra che contro».
Cosa chiedi al 2013?
«Serenità e salute. Se non avrò contrattempi, sarò a metà dell’opera».
Un anno fa solo tre vittorie, ma ben 154 in carriera…
«Io sono juventino e come la vecchia Signora che considera 30 i suoi campionati conquistati sul campo, io rivendico anche le mie cinque vittorie al Giro e le otto gare che mi hanno tolto. Quindi per me sono 167 le vittorie, e mi piacerebbe rimpinguare il più possibile il mio palmares. Perché è vero che ho 39 anni e sono prossimo al capolinea ma, come ti ho detto, sono pronto a stupirvi ancora un po’».
Contento dell’arrivo di Roberto Ferrari?
«Molto. Faremo attività parallela, una opportunità in più per la Lampre Merida. Roberto lo conoscevo già, avendoci corso in Lpr. Era molto più giovane, adesso è cresciuto, ha disputato un ottimo Giro d’Italia, ha vinto una tappa ed è stato nelle prime posizioni in tutte le volate. Spero che continui così e che quest’anno riconfermi quanto di buono ha fatto vedere».
Ma tra i velocisti italiani, tu sembri essere ancora il migliore. È così?
«Corridori veloci ce ne sono, ma hanno caratteristiche diverse: Guardini, ad esempio, è veloce ma non so quanto possa migliorare in salita. Sicuramente deve dimostrare di saper stare in una grande squadra e quest’anno alla Astana ne ha la possibilità. Un altro ragazzo che secondo me è molto bravo è Jacopo Guarnieri, anche se si è un po’ fermato. A Jacopo piace molto anche il Belgio, ha capito che nelle volate non riesce a battere certi velocisti, ma può ancora trovare il suo spazio: deve metterci un po’ più di cattiveria e determinazione. Poi c’è Elia Viviani, forse quello più talentuoso di tutti, ma dopo aver diviso la sua attività tra strada e pista a questo punto deve scegliere e dimostrare qualcosa in più di quanto ha fatto vedere fino ad ora. Siamo alla resa dei conti, per Elia quest’anno è una stagione molto importante: può davvero fare un salto di qualità. Questi sono senz’altro degli ottimi corridori, con i quali io dovrò misurarmi e fare in modo che non mi svernicino. Sai, io sembro pacato e tranquillo, ma quando perdo mi girano come a pochi… Mi dicono: “dai Peta, ormai hai una certa età…”. Ma perdere non piace mai a nessuno, l’età non c’entra. E io sono convinto di poter far piangere ancora qualcuno. Per questo ho deciso di essere ancora in pista».
di Pier Augusto Stagi, da tuttoBICI di febbraio
http://www.tuttobiciweb.it/detectUA.php?...56801&tp=n